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1970. LED ZEPPELIN III, QUEI RITI MAGICI A HEADLEY GRANGE

Il disco che aprì al folk acustico e prese i critici in contropiede

Parte V

Spinti da Grant ma anche dal loro entusiasmo, nei primi due anni della loro esistenza i Led Zeppelin galoppano tra concerti, session in studio, party selvaggi e groupie assatanate. Così, quando il troppo finisce per stroppiare, agli inizi del 1970 tutti capiscono che è il momento di prendersi una pausa. Jones e Bonham decidono di riposarsi godendo i piaceri casalinghi insieme alle loro famiglie. Page e Plant, invece, per un attimo salutano la civiltà metropolitana e si rifugiano nel cottage Bron-Yr-Aur, una villetta priva di acqua corrente ed elettricità sperduta nel centro del Galles.

“Robert ci era stato in vacanza con i suoi genitori”, racconta Page nel 2014. “Sapevo che era un ottimo posto per allontanarsi da tutto. Robert era con la figlia Carmen e sua moglie. Poi c’erano la mia ragazza e due roadies. A un certo punto, le famiglie sono tornate a casa e noi siamo rimasti da soli”. Con sé, Page e Plant hanno dei registratori a cassetta, un paio di chitarre acustiche e la voglia di esplorare nuovi territori.

“A quell’epoca non avevo idea di quello che volevo facessero gli Zeppelin”, aggiunge Plant. “Speravo che avremmo potuto combinare acustica ed elettrica, che non era facile da fare dal vivo, e anche avvicinarci a cose nordafricane. Penso che tutto sia iniziato con Friends. La famiglia di mia moglie viveva in una parte del West Midlands dove c’erano un sacco di indiani del Gujarat, così potevi ascoltare tutta quella loro grande musica, come anche band americane quali i Big Brother o i Kaleidoscope e il loro A BEACON FROM MARS. E poi, eravamo molto affascinati da Bert Jansch, Davy Graham e i primi Fairport Convention”.

In più, adesso Page è parecchio preso dal west coast sound, Joni Mitchell in particolare, e la natura che circonda Bron-Yr-Aur in tal senso lo ispira molto. L’atmosfera che si respira nel cottage è insomma molto lontana dai deliri elettrici di Whole Lotta Love, ed è qui che finiscono per nascere o svilupparsi That’s The Way, Bron-Yr-Aur Stomp, Friends e altri brani destinati a trovare spazio in successivi dischi della formazione (Over The Hills And Far Away, The Crunge, Poor Tom, The Rover, Down By The Seaside e Bron-Yr- Aur). A maggio, tutti i Led Zeppelin si ritrovano nel verde dell’East Hampshire. Hanno affittato il Rolling Stones Mobile Studio, ma l’iniziale suggerimento del tecnico del suono Andy Johns di incidere il nuovo disco nello studio della tenuta di Mick Jagger a Stargroves viene bocciata da Page, perché troppo costosa.

Così, attraverso un annuncio immobiliare, viene trovata Headley Grange, una grande dimora campagnola costruita alla fine del Settecento: per alcuni anni, questo sarà il luogo eletto, ma non l’unico, dagli Zeppelin per incidere i loro brani. Non è una location comodissima: come riporta Trampled Under Foot: The Power and Excess of Led Zeppelin di Barney Hoskyns, Jones ricorda che il posto “era orribile. Praticamente niente mobilio, niente biliardo, nessun pub nelle vicinanze. Quando siamo arrivati, ci siamo messi a girare come matti per trovare le stanze meno umide”. “Registravano nei peggiori posti del cazzo immaginabili”, aggiunge l’ex tour Richard Cole, “e non so se questo accadeva perché nella parte oscura del suo cervello Jimmy riteneva che rendere l’ambiente esterno il più sgradevole possibile potesse permettere agli altri di procedere meglio con il lavoro”.

La realizzazione del disco, comunque, non è continua e lascia spazi anche per alcuni appuntamenti live: due concerti a Reykjavík, la trionfale esibizione al festival di Bath e quattro date in Germania. In estate ci sono ulteriori session ai londinesi Olympic Studios e al termine di un nuovo tour americano, il sesto in due anni, la lavorazione finalmente si conclude agli Ardent Studios di Memphis, con il missaggio e il mastering a opera di Terry Manning. Il disco esce in ottobre: si presenta con una copertina gimmick molto psichedelica (che più tardi Page liquiderà come “un giochetto per tennybopper”) e di prima botta, per la sua forte componente acustica, ottiene critiche spesso non esattamente positive.

“Con il senno di poi”, dice con polemica ironia Plant a «Uncut» nel 2005, “potrei pensare che qualcuno ricevette LED ZEPPELIN III, che era molto differente da quello che avevamo fatto in precedenza, e avendo poco tempo a disposizione per recensirlo lo ascoltò sul giradischi della redazione e non colse il contenuto. Avevano fretta, cercavano la nuova Whole Lotta Love e non hanno ompreso bene ciò che il disco era veramente”. Va anche detto che nel disco la porzione heavy è indubbiamente limitata, ma è da urlo. Immigrant Song, con il testo sugli invasori vichinghi ispirato a Plant dall’esperienza islandese, è un qualcosa di assolutamente esplosivo. E poi c’è Celebration Day, la potenza della felicità espressa con un ipnotico riff molto ritmico e una performance vocale a dir poco euforica.

Sempre sull’hard è Out On The Tiles, dove il dio del tuono Bonham esprime le sue alcoliche voglie di fare baldoria (“fuori a fare le ore piccole” è la traduzione del titolo) picchiando durissimo sui tamburi. Il blues più coinvolgente, invece, è l’anima di Since I’ve Been Loving You: è in chiave minore e nasce velocemente. Nel suo ruolo di sfortunato in amore, Plant è struggente; l’organo di Jones è puro calore e dal primo minuto all’ultimo Page giganteggia. In più c’è Bonham, sempre tonante e con quel pedale della cassa cigolante frutto di una distrazione in sede di produzione che conferisce al tutto una maggiore umanità.

Friends, posto subito dopo Immigrant Song, è il pezzo che nella scaletta anticipa la caratteristica presenza acustica dell’opera. Il tema è quello dell’amicizia e, grazie all’accordatura della chitarra, alle percussioni e alle linee mediorientali del sintetizzatore, alla sua base folk s’innestano intriganti tinte esotiche. Più strettamente legato alla musica popolare angloamericana è invece il traditional Gallow’s Pole. È una ballad del repertorio dei cantastorie afroamericani negli Stati Uniti, ma le sue origini sono inglesi (The Maid Freed From The Gallows). Racconta la storia di una ragazza condannata a morte per aver perso una biglia d’oro, il simbolo della castità. Il pezzo procede in un crescendo frenetico, quasi spiritual, con un possente drumming, un mandolino indemoniato e Plant che canta come posseduto da uno spirito parossistico.

Delicata, invece, è la bella Tangerine, che affonda le sue origini nei giorni degli Yardbirds; Bron-Yr-Aur Stomp è una festa danzante rurale dedicata a Strider, il border collie di Plant; That’s The Way è un malinconico country con pedal steel e ancora il mandolino. A chiudere c’è Hat’s Off To (Roy) Harper. Sia nel testo sia nella musica, combina insieme vari frammenti della storia del blues e nel titolo rende omaggio allo psycho-folk singer Roy Harper, che Page ha conosciuto a Bath e di cui è divenuto amico. Nei solchi vuoti del primo pressing del disco sono riportate frasi in inglese arcaico ispirate a Aleister Crowley (“So mote be it” e “Do what thou wilt”, che unite significano “fai ciò che vuoi così potrai essere”). Le ha fatte incidere Manning su richiesta di Page, che pochi mesi prima aveva acquistato la Boleskine House, la sinistrissima villa in Scozia dove aveva vissuto Crowley.

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