
1979, IN THROUGH THE OUT DOOR. USCITA DI EMERGENZA
Il peggior volo del dirigibile? O quello che salvò il loro nome?
Parte XII
Per una curiosa coincidenza, pochi giorni prima di scrivere queste righe, su una community musicale online partiva una delle tante discussioni “da pub” in cui si rivendicano preferenze e antipatie verso questo o quel disco: qual è il peggior album dei Led Zeppelin?
PRESENCE, rispondeva un utente. IN THROUGH THE OUT DOOR, ribatteva il suo interlocutore. E se non riesco a spiegarmi il perché di una scelta come PRESENCE, per me un capolavoro, posso capire, pur non condividendole, le ragioni di chi ritiene IN THROUGH THE OUT DOOR un passo falso. Un disco, quello, con cui la stampa dell’epoca fu tutt’altro che clemente. L’edizione americana di «Rolling Stone» lo fece letteralmente a pezzi, infierendo sui testi di Plant, condannando senza appello certe velleità sperimentali e lamentandosi dello scarso apporto compositivo e strumentale di Jimmy Page.
Alcune critiche erano fondate, soprattutto la scarsa incisività di Page, perso nell’eroina (così come John Bonham nell’alcol). Ciò di cui pochi sul momento si resero conto, però, è che con tutti i suoi pregi e i suoi difetti IN THROUGH THE OUT DOOR aveva salvato i Led Zeppelin dal baratro, avviandoli verso una seconda vita artistica. Quella precedente era affondata nel 1977, durante il tour americano di supporto a PRESENCE, con la band che si trascinava a fatica. Dietro di sé, una scia di negatività che, tra disordini pubblici e risse, trovò il suo devastante epilogo quando a Robert Plant venne comunicata la scomparsa, a causa di un virus gastrico, di Karac, il suo figlioletto di cinque anni.
Cancellati tutti i programmi, il gruppo a quel punto, di fatto, non esisteva più. “Durante quel tour, qualcosa si era rotto già prima della perdita di mio figlio”, prova a riflettere lucidamente il cantante. “Ero arrivato a chiedermi quale fosse lo scopo di quello che stavamo facendo. Dopo, mi resi conto che non avrei potuto sforzare me stesso. Dovevo aspettare che l’entusiasmo tornasse in maniera naturale”. Ci volle un anno, ma nel 1978 Plant decise che il momento di rimettere insieme i cocci e provare a scrivere musica per un nuovo album era arrivato. Con Page e Bonham a mezzo servizio, a cementarsi fu il legame personale e artistico tra il cantante e John Paul Jones: “Robert e io eravamo sempre i primi ad arrivare alle prove – racconta il bassista – e io avevo questa nuova tastiera che usavamo per comporre. Quando in sala arrivavano anche gli altri, io e Robert avevamo già tre o quattro canzoni pronte e così rifinivamo quelle”.
L’analisi di Plant è significativa: “Quel modo di lavorare insolito originò cose per noi nuove come All My Love – toccante dedica del cantante al piccolo Karac – o I’m Gonna Crawl. Non ci interessava scrivere una nuova Communication Breakdown”. Pur non nascondendo i suoi problemi con gli stupefacenti, Page ha sempre affermato che il suo input minore alla genesi del disco fu in realtà una conseguenza del nuovo strumento acquistato da John Paul Jones: “Quella tastiera della Yamaha – modello GX-1 – la chiamavamo dream machine, il che lascia ben intendere cosa fosse in grado di fare. Era incredibile per l’epoca, e presumo che abbia stimolato molto la creatività di John, che la usava per comporre a raffica brani completi, arrangiati e strutturati, cosa che prima non aveva mai fatto”.
Per incidere quel gruzzoletto di nuove canzoni, nel novembre del ’78 i ragazzi volarono fino a Stoccolma, esperienza che Jimmy Page ricorda così: “I Polar Studios, quelli degli Abba, stavano cercando di internazionalizzarsi, e pensarono che ospitare i Led Zeppelin fosse adattissimo allo scopo. Così mi chiamarono e si offrirono di affittarci gli studi a un prezzo molto vantaggioso. Avevano apparecchiature avanzatissime, e già per questo motivo era chiaro che IN THROUGH THE OUT DOOR avrebbe avuto un suono differente dai nostri album precedenti. D’altronde, ogni disco degli Zeppelin è sempre stato diverso dal precedente”. Intanto, col disco pronto a uscire, i dubbi aumentavano: in Inghilterra, dopo il boom del punk, quasi tutte le rock band della generazione precedente erano viste come dinosauri. “La cosa fastidiosa – rifletteva John Paul Jones – è quando certe band ti dicono che sei fuori moda. Poi le ascolti, e fanno la stessa roba che facevi tu dieci anni fa”. Molto più rilassato era invece Jimmy Page: “I Led Zeppelin non suonano datati: l’identità della band è ancora al suo posto. Abbiamo usato un approccio più fresco per guadagnare mordente, ma senza accodarci a qualcosa che va di moda adesso. Non è che ci siamo messi a giocare con ritmi disco music e cose così”.
Sempre il chitarrista tornerà sul tema qualche anno dopo, offrendo un simpatico aneddoto: “A me comunque il punk piaceva. Andai anche a vedere i Damned a Londra. Robert venne con me, anche se oggi probabilmente girerebbe alla larga da qualcosa del genere! Comunque, non mi importava cosa andasse di moda, perché la musica dei Led Zeppelin aveva un carattere abbastanza forte da poter resistere”. Quelle nuove canzoni allo stesso tempo melodiche e sperimentali, più tastieristiche che ruggenti, alla fine si rivelarono una scommessa vinta, almeno con il pubblico: nonostante la gestazione tribolata e il non voler giocare sul sicuro, IN THROUGH THE OUT DOOR balzò infatti al primo posto in classifica su entrambe le sponde dell’oceano. Tanto entusiasmo in realtà era tangibile già qualche settimana prima dell’uscita del disco, quando gli Zeppelin, dopo qualche data di riscaldamento, si lanciarono nella più importante esperienza concertistica da anni a quella parte: due date da headliner all’enorme festival di Knebworth.
John Paul Jones ricorda così la prima, il 4 agosto del 1979: “Eravamo piuttosto guardinghi. Stavamo per suonare davanti a 250.000 persone e non sapevamo come sarebbe andata. La tensione sui nostri volti era palese, ma facemmo quel che avevamo sempre fatto: testa bassa e concentrati sulla musica. E dopo un paio di pezzi finalmente iniziammo a rilassarci, le cose stavano andando bene: c’eravamo ancora”. Dopo quasi tre ore di concerto, con le note di Heartbreaker, ultimo bis della serata, che ancora riecheggiavano nell’aria, il trionfo era palese: la seconda vita dei Led Zeppelin era iniziata. E Jimmy Page stava già pensando all’appuntamento successivo: “Io e Bonzo stavamo già pianificando un album dalle sonorità molto più hard. Entrambi ritenevamo IN THROUGH THE OUT DOOR troppo morbido. In quel momento andava bene, ma per il futuro volevamo qualcosa di diverso”. Prima che quel futuro potesse arrivare, l’ennesima bottiglia si portò via per sempre John Bonham. Era il 25 settembre del 1980.