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A BOCCA APERTA

Lo facciamo tutti, circa otto volte al giorno. Sbadigliare mantiene in allerta e comunica empatia. Indica anche fame o noia. È un segnale che ha molte funzioni, alcune ancora da indagare.

Innanzitutto, non spaventatevi: se durante la lettura di questo articolo vi verrà più volte da sbadigliare, è perfettamente normale. Non state crollando dal sonno e (almeno speriamo) non è perché questo articolo sia incredibilmente noioso. È tutta colpa della caratteristica più “strana” dello sbadiglio, quella che lo rende più misterioso: spalancare la bocca e contrarre i muscoli proprio in quel modo è contagioso perché è un segnale sociale. Che la scienza sta ancora studiando.

ISTINTO INSOPPRIMIBILE

E non si sbadiglia solo “per contagio”. Lo facciamo anche quando siamo completamente soli: per sonno, per noia, per fame… Non a caso gli studiosi distinguono due tipi di sbadiglio, quello fisiologico che segnala un’esigenza del nostro corpo (il sonno o la fame appunto), e quello psicologico dettato dalla noia o dall’imitazione di qualcuno che sbadiglia. Una spinta così forte che non serve osservare bene una bocca che si spalanca per essere portati a fare lo stesso. Le ricerche hanno dimostrato che basta vedere uno sbadigliatore di profilo e perfino solo “ascoltarlo” per essere indotti a imitarlo, non importa se tiene la mano davanti alle labbra. È stato addirittura provato che si ottengono più sbadigli leggendo un testo che parla di sbadiglio rispetto a uno che parla di singhiozzi (che invece non fa singhiozzare!). Insomma, persino la parola “sbadiglio” ha un potere… sbadigliogeno.

E anche se non è l’unico segnale che ci capita di imitare da altre persone (succede di canticchiare la stessa melodia, grattarsi la fronte o il naso, toccarsi i capelli come chi ci sta di fronte) è il più difficile da controllare.

Di più: gli studi dimostrano che, nei momenti di socialità, lo sbadiglio viene più ricambiato di un sorriso. Del resto si tratta di un segnale pressoché impossibile da nascondere: anche chi è abile nel fare questo gesto a bocca chiusa viene tradito dall’intensa contrazione dei muscoli del collo e di quelli che circondano la bocca, inevitabile per impedire alle mascelle di aprirsi. Tutti i presenti, insomma, capiscono che si tratta di uno sbadiglio.

COME È FATTO

Secondo gli studi, uno sbadiglio dura tra i 3 e i 10 secondi (mediamente sei secondi) e ognuna delle fasi descritte qui sotto può andare tra 1 e 4 secondi. La frequenza media degli sbadigli umani è 7 o 8 volte al giorno. Ma c’è una variabilità enorme tra individuo e individuo: si va da 0 a ben 28-30 sbadigli nell’arco della giornata. E non ci sono differenze tra maschi e femmine, mentre in alcune specie animali (soprattutto scimmie) i maschi sbadigliano di più.

Esistono però momenti della giornata in cui gli sbadigli sono al picco: uno studio condotto negli Stati Uniti sulla distribuzione di questo fenomeno nelle ventiquattr’ore ha mostrato che alle 23:00 si sbadiglia di più in assoluto e che gli altri due momenti in cui ci si lascia andare facilmente allo “yaaaawn!” sono le 18:00 e il risveglio. Con alcune differenze tra le persone che si definiscono allodole (quelle che non hanno difficoltà a svegliarsi ed essere attive già la mattina presto) e i cosiddetti gufi (le persone che “carburano” solo verso sera), come mostrato nel grafico qui sopra.

In effetti, a sbadigliare si comincia già prima di nascere (tra le 12 e le 14 settimane di età gestazionale). Ma in questo caso non c’è un legame con il sonno: il bambino non ha ancora acquisito il ritmo sonno-veglia. Nelle ecografie, però, si osservano chiaramente lente aperture della bocca contemporanee a un abbassamento della lingua, che occupano il 50-75% dello sbadiglio: la bocca resta completamente aperta per 2-8 secondi per poi ritornare lentamente in posizione di riposo. Nei feti che crescono poco perché arriva loro meno nutrimento sono stati osservati molti sbadigli in sequenza, tanto che alcuni studiosi hanno ipotizzato che questo meccanismo aumenti il ritorno di sangue al cuore. Dopo la nascita, però, cambia tutto: secondo una teoria, gli sbadigli del lattante e del bimbo un po’ più grande avrebbero soprattutto lo scopo di stringere legami con gli adulti che se ne prendono cura, inducendoli a imitarli.

FUNZIONE CONTROVERSA

Insomma, perché si sbadiglia? Sembra incredibile, ma dopo secoli di studi (già Ippocrate diceva che “così si scaccia l’aria cattiva dai polmoni”) la risposta a questa domanda è ancora controversa. Una cosa è certa: non serve a fornire ossigeno al cervello, come si ipotizzava fino a qualche decennio fa, spiegano gli esperti del sonno. Quest’ipotesi è stata definitivamente smontata da un celebre esperimento condotto nel 1987. Alcune persone hanno inalato aria con livelli di CO2 più alti del normale (circa 8 volte di più). Risultato: la frequenza respiratoria dei soggetti è aumentata, ma non hanno sbadigliato. Allo stesso modo, se i partecipanti inalavano ossigeno, lo sbadiglio spontaneo non veniva inibito. Il che significa che non si tratta di un riflesso fisiologico per migliorare l’ossigenazione cerebrale. Allora che cos’è? Probabilmente un riflesso di attivazione del cervello: dopo che si sbadiglia di solito si diventa più attenti, un po’ come quando si sbattono e si stringono gli occhi (ammiccamento). Non a caso quest’ultimo segnale attiva i sistemi montati sulle auto più moderne che avvisano il guidatore che è il momento di fare una pausa. Però non si sa se sia lo sbadiglio a svegliare il cervello o piuttosto sia il cervello che, svegliandosi, produce lo sbadiglio. La verifica sperimentale che lo “yaaaawn!” mantenga il cervello più sveglio anche di fronte a un compito noioso è di pochi anni fa. A un piccolo gruppo di persone è stato fatto indossare sul polso un apparecchio detto actigrafo, che misura il livello di attività della persona (quanto si muove): nei 15 minuti che seguivano ognuno dei 747 sbadigli osservati, la motilità aumentava.

C’è però chi afferma che sbadigliare sia più il segno di un imminente cambiamento di stato piuttosto che un segnale di stanchezza: in effetti si spalanca la bocca quando si passa dal sonno alla veglia, dalla sazietà alla fame, dalla noia all’attenzione. Tant’è vero che le persone che si aspettano che accada qualcosa di nuovo si abbandonano allo sbadiglio di frequente: è stato osservato, per esempio, che i paracadutisti che stanno per lanciarsi tendono a farlo. Lo si vede anche negli animali: nei gelada, scimmie simili ai babbuini, si sbadiglia a denti sia scoperti sia coperti. Ma sono entrambi segni di un “passaggio”. Nel primo caso si segnala aggressività, nel secondo invece desiderio di essere più in sintonia con gli altri membri del gruppo, e in questo caso lo sbadiglio è contagioso.

QUESTIONE DI EMPATIA

Il mistero più intrigante riguarda appunto la contagiosità di questo atto. Di recente e scoperto che tra i leoni, se un individuo sbadiglia, un altro fa lo stesso. Poi, il primo leone si alza e si incammina in una direzione, il secondo leone, qualche attimo dopo, fa lo stesso seguendo pure un’identica traiettoria. Insomma, i due individui si “sintonizzano” tra loro. E così fanno molte altre specie di mammiferi che vivono in gruppo. Nell’uomo, il meccanismo non è molto diverso. Ci sono ormai molte prove del fatto che la contagiosità dello sbadiglio ha a che fare con la capacità di entrare in empatia con gli altri. Secondo le ricerche dello psicologo evoluzionista statunitense Steven Platek, che ha a lungo studiato questo aspetto, la suscettibilità allo sbadiglio contagioso è infatti associata all’attivazione delle regioni del cervello implicate nei processi cognitivi sociali. Il che significa che chi riesce a mettersi meglio nei panni degli altri si fa anche contagiare di più dagli sbadigli rispetto a chi resta abbastanza indifferente alle emozioni altrui. Lo sbadiglio è quindi un “collante sociale”. Non a caso, i bambini cominciano a imitarlo solo dopo i due anni, quando acquisiscono la capacità detta “teoria della mente” che consiste appunto nell’immaginare che cosa stanno pensando gli altri.

MOLTI SCOPI

Sbadigliare, dunque, indica un passaggio di stato, un’attivazione del cervello, un bisogno come dormire o mangiare, ma anche quello di sentirsi più vicini ad altri individui. È un atto che si è evoluto in tempi antichissimi, è normale che in molti milioni di anni abbia acquisito più scopi. E che questi scopi siano anche un po’ differenti in specie diverse. I centri cerebrali che producono lo sbadiglio si trovano infatti nel tronco encefalico, una zona molto antica del cervello, vicino ai centri respiratori e a quelli che controllano i muscoli mimici del volto, della respirazione e della deglutizione. Strettamente connessa a queste zone è la cosiddetta formazione reticolare ascendente che arriva alla corteccia cerebrale e ne modula proprio la vigilanza. Ma esiste anche un controllo superiore dello sbadiglio, che dall’ipotalamo arriva alle strutture cerebrali che lo generano e che spiegano l’origine degli sbadigli “da fame” (regolata appunto a livello dell’ipotalamo). Devono però, secondo gli studiosi, esistere anche legami con la corteccia superiore, dato che molte persone – se vogliono – riescono a sbadigliare “a comando” (lo fanno anche gli attori in alcuni esercizi di recitazione). Del resto, in alcune circostanze, sbadigliare può essere una gran soddisfazione. Tanto che molti lo considerano piacevole, come bere quando si ha sete o mangiare quando si ha fame (si tratta pur sempre del soddisfacimento di un bisogno fisico). E se siete arrivati fin qui, leggendo di questo argomento di sicuro avrete sbadigliato almeno due o tre volte. Speriamo di piacere e non di noia!


UN MOVIMENTO IN TRE FASI

Lo sbadiglio ha tre momenti, evidenziate oltre mezzo secolo fa da Jacques Barbizet, un medico francese che studiò una sequenza di radiografie della bocca e del collo ottenute ogni mezzo secondo durante l’atto.

Prima fase:
la bocca si apre e la faringe si dilata insieme a laringe e torace. Il diaframma scende. L’osso ioide si abbassa dal livello della seconda vertebra cervicale a quello della sesta o settima vertebra, mentre la lingua si retroverte. Il classico suono inspiratorio di questa fase (non sempre presente) è prodotto dal palato e dall’istmo faringeo.

Seconda fase:
è il momento in cui la dilatazione faringea è massima. Arriva a essere 3 o 4 volte più ampia del normale e non raggiunge questa dimensione in nessun’altra circostanza. Bocca e narici sono dilatate e i muscoli delle palpebre si contraggono causando la semichiusura degli occhi. Le sopracciglia si sollevano e la pelle alla base del naso fa qualche piega più profonda.

Terza fase:
mentre la bocca si richiude avviene una lenta espirazione, accompagnata di solito dal tipico suono prodotto dalla laringe. Gli occhi piano piano si riaprono. Nel corso di questa fase (ma anche delle prime due) è possibile esagerare o limitare l’azione dei gruppi muscolari rendendo lo sbadiglio più o meno evidente (e più o meno “sonoro”).


GESTO MALEDUCATO?

In India, si ritiene che i “bhuts” (spiriti) preferiscano entrare nel corpo attraverso la bocca. Sbadigliare comporta quindi un duplice rischio: o i demoni penetrano nel corpo dalla gola, oppure una parte dell’anima potrebbe scappare dal corpo. Una credenza molto simile si affermò anche in Europa intorno al 590 d.C., al tempo di papa Gregorio Magno, quando un’epidemia di peste bubbonica decimò la popolazione. Inoltre, nella società occidentale lo sbadiglio non è mai stato apprezzato, anche perché viene associato alla noia. E non da oggi: Vespasiano rischiò di essere condannato a morte perché sorpreso a sbadigliare mentre Nerone cantava nel teatro di Roma, atto che equivaleva a “delitto di lesa maestà”. Per tutti questi motivi, sbadigliare senza mettere la mano davanti alla bocca ancora oggi è considerato maleducato. Anche per i musulmani sbadigliare in pubblico è riprovevole, e lo stesso vale in Giappone. Poche società apprezzano il gesto. Come alcune comunità di nativi americani, visto che tra gli appellativi dell’apache Geronimo c’era il nome Goyathlay, che significa “colui che sbadiglia”.

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