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A COSA SERVE “ALLUNGARSI”

È una disciplina molto popolare, tra gli sportivi e non. E, con la ripresa, ne abbiamo tutti un po’ bisogno. Ecco perché funziona

Si ricomincia: bambini da andare a prendere a scuola, lavoro nuovamente “in presenza” (almeno per alcuni), qualche uscita con gli amici. Dopo mesi di semi-immobilità (e pigrizia) è inevitabile sentirsi un po’ “incriccati” al rientro nel turbine degli impegni. Ci vorrebbe un po’ di stretching per attivare il corpo?

CORPI “DA DIVANO”

Probabilmente sì. «Stare seduti molte ore o addirittura passare dalla sedia dello smart working al divano allena i muscoli… al divano. Nel senso che, poiché il nostro corpo è adattabile, se la muscolatura delle articolazioni viene poco sollecitata da una vita sedentaria, deve poi riabituarsi a lavorare di più. E in molti casi lo stretching aiuta molto», afferma Maurizio Tripodi, docente del Laboratorio di Mobilità articolare e stretching all’Università Cattolica di Milano (facoltà di Scienze motorie). Chi sta 6-8 ore di fronte a un monitor ha infatti la tendenza a subire un accorciamento dei muscoli flessori dell’anca a causa della posizione seduta. Lo stesso vale per i pettorali e gli intrarotatori della spalla che determinano la chiusura delle spalle in avanti, tipica di chi sta molto chino alla scrivania.

Anche quando stiamo fermi, infatti, soprattutto in piedi, il corpo è sottoposto alla forza di gravità, e la controbilancia mantenendo la postura con piccoli aggiustamenti, contrazioni e rilassamenti di alcuni muscoli. Se si prendono però abitudini sbagliate, si può avere una cattiva postura e quindi dolore. Alla base di queste “posizioni sbagliate” (che interessano soprattutto l’anca, la zona cervicale e lombare e la spalla, le zone più mobili del corpo) c’è spesso qualche rigidità nelle articolazioni. Ecco perché lo stretching è utile: gli studi per esempio provano che una buona mobilità della colonna vertebrale (che si può ottenere proprio con esercizi di allungamento) aiuta in caso di mal di schiena, mentre un’eccessiva mobilità può provocare lombalgie e altri tipi di dolori dorsali. Non in tutti i casi infatti è necessario intervenire: «Prima di buttarsi sugli esercizi bisognerebbe fare un’analisi posturale per capire quanto i movi menti sono estesi, se ci sono squilibri tra i muscoli ecc.

Perché se una articolazione fosse già molto mobile, intervenire con esercizi di allungamento sarebbe sbagliato: potrebbe diventare instabile e causare infortuni», aggiunge Tripdi.

FINO AL PUNTO DI RESISTENZA

Lo stretching consiste infatti nell’eseguire il movimento di un segmento corporeo fino al punto di resistennza, all’interno del range di mobilità di un’articolazione e nell aplicare una forza che tende a forzare quella resitenza. Si sfruttano così alcuni “aggiustamenti” che fa il muscolo spontaneamente quando viene sottoposto agli esercizi di allungamento. Uno di questi aggiustamenti è, secondo molti studiosi, la produzione di nuovi sarcomeri (le subunità contrattili di cui sono costituiti i muscoli scheletrici) che ne aumenta la lunghezza.

Le tecniche di stretching sono diverse, ma ciò che le accomuna è arrivare al punto di resistenza. Per esempio il quadricipite è un flessore dell’anca e un estensore del ginocchio: per “stretcharlo” bisogna quindi estendere al massimo l’anca e flettere il ginocchio. Molte ricerche scientifiche hanno messo a confronto i vari metodi (vedi riquadro nella pagina precedente) per stabilire quale sia il più efficace, ma senza arrivare a un risultato netto: a volte risulta migliore uno dei metodi, a volte non si rilevano differenze. Sembrerebbe però che per migliorare la flessibilità gli esercizi più dinamici siano meno efficaci di quelli statici. In generale, comunque, lo stretching funziona: una ri icercadel 2018 condotta da David Behm all’Università di Terranova (Canada) ha provato che basta una sessio ne di stretching statico per migliorare la mobilità dell’artico (e dunque la flessibilità) per un tempo sucessivo che dura da 5 a 120 minuti a seconda delle occasioni. E specifici programmi di allenamento con sessioni regolari di stretching per 3-8 settimane possono far durare la flessibilità nel tempo: in questo caso secondo alcuni studiosi avvengono cambiamenti a livello del muscolo, si “riorganizzano” le strutture cellulari all’interno dei fasci neuromuscolari e aumenta la tolleranza al dolore. Del resto, ormai da una decina d’anni lo stretching è tra i metodi raccomandati dall’American College of Sports medicine per mantenere una buona salute fisica accanto agli esercizi cardiorespiratori, agli allenamenti per la forza e a quelli neuromotori. Con una avvertenza: per mantenere l’allungamento occorre un programma settimanale, basta uno stop di un mese per tornare alla condizione pre-alenamento. Gli studi sullo stretching statico hanno dimostrato che per avere effetto bisogna mantenere la posizione per 15-30 secondi (per gli anziani un po’ di più: 30-60 secondi). La tensione applicata non deve però essere quella massima possibile, altrimenti il muscolo tende a contrarsi.

SERVE DAVVERO?

L’efficacia dello stretching per aumentare il range di movimento di un’articolazione è quindi fuori discussione, tanto che, nello sport, la flessibilità non è importante solo per danzatori e ginnasti: anche i saltatori in lungo, i calciatori e perfino i sollevatori di pesi ne hanno bisogno almeno un po’ per mantenere il corpo efficiente. Ma la sua vera utilità sui risultati sportivi e perfino sulla prevenzione degli infortuni è ancora controversa. In effetti, i benefici di una maggiore flessibilità non sono dimostrati, lo sono invece quelli dell’attività fisica in generale: è stata provata scientificamente una diminuzione della mortalità prematura, delle malattie cardiovascolari, dell’ipertensione e poi di ictus, osteoporosi, diabete, tumori del colon e del seno, obesità, depressione, caduta delle funzioni cognitive.

Se lo stretching protegga dagli infortuni, per esempio, è ancora dubbio. Perché è sì noto che con una migliore flessibilità articolare si prevengono traumi, ma non è provato che l’allenamento con lo stretching sia decisivo. Due studi condotti su un campione di reclute dell’esercito australiano sottoposti per 12 settimane a stretching mirato alla caviglia per aumentarne la flessibilità non ha diminuito il numero di distorsioni. Mentre una ricerca condotta nel 2016 che ha messo a confronto 8 studi che valutavano i benefici nella riduzione degli infortuni ha concluso che nelle discipline basate sullo sprint lo stretching ha davvero il potere di prevenire danni (in particolare gli infortuni muscolo-tendinei, i cosiddetti strappi), ma comunque non riduce il normale dolore muscolare che si ha dopo l’attività sportiva, come molti invece pensano.

NELLO SPORT MEGLIO UN PO’ DI PRUDENZA

Alle prestazioni di gara, poi, sembrerebbe proprio che lo stretching (soprattutto quello statico) non faccia bene affatto. Già alcuni studi effettuati alla fine del Novecento su atleti che eseguivano esercizi di stretching ai muscoli flessori del ginocchio hanno dimostrato una perdita del 7% della forza e del 28% della resistenza di questi muscoli subito dopo gli esercizi. Il motivo potrebbe essere una temporanea perdita di eccitabilità dei motoneuroni (le cellule nervose che informano le fibre muscolari che devono contrarsi), che fa scendere la performance del 3-7,5%. Poco per uno sportivo della domenica, ma per un agonista può fare la differenza tra la vittoria e un secondo posto. Per questi motivi, gran parte degli allenatori propongono esercizi di stretching dinamico che, in base a una ricerca condotta da Anthony Blazevich, docente di Biomeccanica alla Edit Cowen University (Australia), non sembrerebbe diminuire la performance. Secondo lo studioso canadese David Behm, che ha esaminato tutti gli studi sull’argomento nel 2018, l’ideale sarebbe alternare esercizi di stretching di breve durata (meno di un minuto) a quelli di stretching dinamico (per più di un minuto e mezzo) per ogni gruppo muscolare interessato dall’attività che si vuole praticare. Questi momenti di allungamento andrebbero preceduti da 5-15 minuti di attività aerobica e seguiti da 5-15 minuti di esercizi tecnici mirati all’attività.

Ma allora lo stretching va fatto prima o dopo l’attività fisica? Dipende da ciò che si vuole ottenere. Se lo scopo è rendere più ampio il movimento dell’articolazione, può essere fatto in modo isolato, senza legarlo a una gara o prima di un allenamento di un altro tipo (un allenamento della forza per esempio). Dopo una gara, invece, quando il corpo è caldo lo stretching deve servire al rilassamento dei muscoli che hanno lavorato di più e quindi essere leggero. «Bisogna insomma trovare un punto di equilibrio tra l’obiettivo di avere più mobilità articolare senza peggiorare la performance, ma prevenendo gli infortuni. Tutto dipende dall’abilità degli allenatori, soprattutto in sport ad alto rischio dove è richiesta una grande mobilità come la ginnastica o i tuffi», fa notare Tripodi.

NON TUTTI SONO ELASTICI ALLO STESSO MODO

Il livello di flessibilità varia comunque con il sesso e l’età. I bambini sono molto “elastici” fino ai 6-8 anni ma poi questa caratteristica diminuisce fino alla pubertà, probabilmente perché in questi anni le ossa crescono molto più velocemente dei muscoli. Dopo la pubertà, la flessibilità migliora un po’ e torna ai valori fisiologici. Nella seconda parte dell’età adulta e con l’invecchiamento, però, diminuisce di nuovo perché muscoli, tendini e legamenti si arricchiscono di collagene, che li rende un po’ più rigidi, e perché i tessuti in generale contengono meno acqua. Ma questa diminuzione di mobilità articolare si può attenuare con esercizi di stretching ripetuti in modo regolare.

Anche la fase pre-puberale, quando la crescita ossea è veloce, richiederebbe un po’ di stretching per una buona mobilità negli anni seguenti (del resto molti ragazzini che non fanno sport sono un po’ “legati” nel movimento in età adulta). In ogni caso, quando si parla di flessibilità, le donne sono favorite: si calcola che abbiano i muscoli del 44% meno rigidi. In parte a causa delle differenze nella struttura delle articolazioni (quella dell’anca per esempio, per ragioni legate al parto, permette un maggiore arco di movimento) e agli ormoni estrogeni che, secondo alcuni studi, rendono i tendini un po’ più elastici. Di conseguenza, in genere gli uomini hanno bisogno di esercizi di stretching più prolungati per avere lo stesso risultato delle donne. Allora, a meno che non siate già dei contorsionisti, sotto con lo stretching!


A OGNUNO IL SUO

La resistenza al movimento è dovuta, secondo uno studio di Paul Comfort, ricercatore dell’Università di Salford (Uk), per il 47% alla capsula articolare e ai legamenti, per il 41% ai muscoli, per il 10% ai tendini e per il 2% alla pelle. Lo stretching agisce sui muscoli, sulla fascia di tessuto connettivo che li riveste e sui tendini. Ci sono quattro tipi di stretching.

STATICO: è l’allungamento di un muscolo fino al massimo raggiungibile finché si ha una sensazione quasi dolorosa e occorre mantenere questo allungamento per un tempo definito. È provato che questo tipo di stretching migliora l’ampiezza dell’arco di movimento di un’articolazione. Secondo molti studi però, utilizzarlo prima di una competizione può peggiorare i risultati.

DINAMICO: è l’allungamento ottenuto con esercizi e quindi con il movimento (come estendere la gamba dritta in avanti e portarla su al massimo più volte). È migliore di quello statico per il riscaldamento pre-gara perché permette anche di riprodurre movimenti poi utilizzati durante la competizione vera e propria.

BALISTICO: è una variante dello stretching dinamico e consiste in esercizi con piccole e veloci oscillazioni del movimento di estensione massima di un muscolo. Da alcune ricerche emerge che però è meno efficace dello stretching statico.

FACILITAZIONE NEUROMUSCOLARE PROPRIOCETTIVA: per effettuarla bisogna essere in due. Consiste nell’allungamento di un muscolo subito seguito dalla contrazione isometrica del muscolo opposto (agonista). È usata negli sport di squadra dove è più facile trovare un compagno per eseguirla.


LE PAROLE GIUSTE

Quando si parla di stretching, non sempre scienziati e fisioterapisti usano la stessa terminologia. Facciamo allora un po’ di chiarezza.

Flessibilità: è la capacità del muscolo scheletrico di allungarsi (o di lasciarsi allungare) permettendo il movimento di un’articolazione senza subire traumi. Questa capacità è influenzata da fattori genetici (morfologia del muscolo, dei tendini ecc.) e da età, sesso, temperatura, ritmi circadiani.

Elasticità: è la capacità di allungarsi (o lasciarsi allungare) e recuperare velocemente la lunghezza fisiologica senza subire traumi.

Mobilità articolare: è la capacità di un’articolazione di consentire un gesto nella sua massima ampiezza (ovviamente il suo valore dipende molto dalla flessibilità).


TRE PROGRAMMI DI ALLENAMENTO

Stretching per migliorare la flessibilità di un adulto
Da fare 2/3 volte alla settimana. Usare il tipo statico: 2 allungamenti di 30 secondi per ogni esercizio (60 secondi per una persona anziana).

Stretching nel riscaldamento per l’allenamento generico di un adulto
Esercizi statici: allungamenti tra i 10 e i 30 secondi. Esercizi dinamici: 2 serie da 10 ripetizioni per ogni esercizio.

Stretching nel riscaldamento pre-gara
Esercizi dinamici: 2 serie da 10 ripetizioni per ogni esercizio. Esercizi specifici per lo sport praticato: sono di solito di tipo dinamico e ripetono i gesti che sono tipici dello sport in questione.

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