
COME FANO SENZA FOGLIE?
Le tecniche invernali di sopravvivenza delle piante senza le propaggini che danno energia e nutrimento
Ormai, abituati alla vita in città, molti di noi non percepiscono la ragione dei cambiamenti radicali che coinvolgono ogni anno gli alberi. La caduta delle foglie passa inosservata o, al massimo, la si percepisce come un fastidio e a volte un pericolo. Ma perché i tronchi rimangono spogli, e gli alberi stessi rinunciano alle “bocche” con cui si nutrono dei raggi solari? A prima vista questo fenomeno sembra una contraddizione: molte specie di angiosperme, cioè le piante caratterizzate da foglie larghe come aceri, faggi, querce eccetera, hanno bisogno proprio delle foglie, perché la fotosintesi si svolge solo e soltanto in queste lamine vive. Rinunciarvi significa non “mangiare”. Come fanno a sopravvivere a un periodo così lungo senza nutrirsi? E soprattutto, perché lo fanno?
COME IN LETARGO
La risposta alla prima domanda è piuttosto semplice: quando le foglie cadono, lasciano l’albero spoglio e col metabolismo rallentato per qualche mese in una situazione paragonabile a quella del letargo di animali come orsi, ghiri e marmotte. L’albero resiste tranquillamente, anche senza effettuare la fotosintesi: perché ha accumulato, nella stagione buona, materiale di riserva sotto forma di amido nel parenchima del legno (il tessuto degli alberi dove è più facile l’accumulo di zuccheri, ndr), nel tronco e nelle radici. In questo stato di quiescenza, caratterizzato da un evidente rallentamento delle attività cellulari, la respirazione è molto ridotta e viene svolta dagli organi presenti: radici e parte aerea (cioè fusto, gemme e rami). Tuttavia, nonostante la drastica riduzione di scambi gassosi con l’ambiente esterno, rimane un’attività di base.
La ripresa vegetativa alla primavera successiva dipenderà invece dalla capacità delle cellule degli organi rimasti (gemme, fusto e radici) di ripristinare le proprie funzioni. Quando la pianta “sente” che le giornate si allungano, o quando percepisce altri indizi di cambiamento dell’ambiente, dalla temperatura alla presenza di acqua nel terreno, dà fondo alle riserve: l’amido viene prontamente ritrasformato in zuccheri, quando è necessario per la crescita delle foglie nuove.
DAI TROPICI AL MONDO
Come e perché le piante siano arrivate a questa soluzione così radicale è invece una faccenda più complicata. E, come sempre, è necessario risalire alla loro storia per capirne le cause lontane. La nascita delle angiosperme avvenne centinaia di milioni di anni fa, in zone con un clima molto probabilmente più caldo del presente. Siamo presso ché certi che fossero sempre verdi, anche perché si diffusero in un ambiente simile all’odierna foresta equatoriale. In seguito queste piante invasero altri continenti e altre latitudini, e andarono incontro a stagioni più secche. In questi nuoviambienti le piante si scontrarono con un problema mai affrontato prima, quello della disponibilità dell’acqua. Nella stagione secca, infatti, le radici non riuscivano a estrarre dal suolo l’acqua necessaria per la fotosintesi. È in questo contesto che compare il fenomeno della caduta delle foglie: sembra cominci a manifestarsi come adattamento all’aridità tra il Mesozoico e il Cenozoico. Non fu quindi, almeno all’inizio, un fenomeno legato al freddo. Per altro succede ancora oggi nelle foreste tropicali secche e nelle foreste monsoniche, in Centro America, in Africa, in India e in Indocina. Qui per esempio piante come il tek perdono le foglie.
UN GIORNO BUIO E GELIDO
La strategia evolutiva di far cadere le foglie quando le condizioni non sono favorevoli si è rivelata molto utile anche in situazioni diverse. Per esempio quando nell’Eocene (circa 40 milioni di anni fa) il clima caldo permise alle foreste di crescere anche ai Poli. Le foglie degli alberi caddero allora perché non c’era abbastanza luce per mesi e mesi.Un adattamento al buio totale, quindi.
Un altro esempio, a noi più noto, è quello degli alberi che crescono nei climi più temperati e freddi. In questi casi, la causa della caduta delle foglie è il freddo che danneggia direttamente le foglie, e l’impossibilità, causata dal gelo, di arrivare a estrarre l’acqua dal suolo. Il modo migliore per superare questo periodo rischioso è dunque quello di “chiudere bottega” e bloccare quasi del tutto il metabolismo. In questo modo si evita che l’acqua all’interno dell’albero geli, spezzando e interrompendo per sempre i vasi conduttori che lo attraversano (un fenomeno chiamato embolia). Anche le foglie stesse, in caso di gelo, hanno lo stesso problema; sono organi particolarmente delicati, e le sottili nervature che le sostengono corrono il pericolo di spezzarsi, se il liquido in esse contenuto si solidifica.
La caduta delle foglie non è però l’unica soluzione trovata dalle piante per risolvere il problema del freddo. Se i faggi perdono le foglie qualsiasi cosa accada, ci sono piante che, se il clima non è troppo rigido, hanno le foglie verdi tutto l’inverno. Le gimnosperme, per esempio, cioè pini, abeti e cembri, hanno le foglie che funzionano, anche se “a scartamento ridotto”, tutto l’inverno. In queste piante anche la struttura dei vasi del tronco, che trasporta l’acqua dalle radici alle foglie, è diversa e più resistente all’embolia: da un lato è meno efficiente e non riesce a sopportare foglie molto larghe, ma dall’altro lato è più resistente. Questo rende le conifere più competitive in ambienti aridi e freddi, proprio quando c’è meno acqua a disposizione.
In realtà, neppure tutte le angiosperme fanno cadere le foglie: le rosacee, per esempio, possono mantenere le foglie sempre verdi. Inoltre nell’emisfero australe, in cui i continenti sono menoestesi e gli oceani temperano un po’ gli estremi climatici, cisonomenopiante a foglie caduche. Per esempio, in Patagonia vivono fianco a fianco specie del genere Nothofagus che perdono le foglie e altre che le conservano tutto l’inverno.
In definitiva, come spesso in Natura, la risposta a un problema non è mai univoca e dipende da meccanismi genetici e ambientali. Non di meno, l’aspetto che accomuna tutte le piante è che ai primi caldi della primavera saranno tutte pronte a dirigere le riserve verso i germogli fogliari e a ricominciare molto in fretta a effettuare a pieno ritmo la fotosintesi.