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COME POTENZIARE LA MEMORIA

Il nostro cervello trattiene senza sforzo le informazioni importanti per sopravvivere. Il segreto per ricordare bene è quindi rendere “fondamentali” le nozioni da apprendere

Senza la memoria non potremmo parlare, riconoscere gli oggetti, orientarci nell’ambiente in cui ci troviamo o entrare in relazione con altre persone. Perché ogni volta che viviamo un’esperienza veniamo inevitabilmente influenzati da qualcosa di accaduto o appreso nel passato. Del resto, la memoria serve anche per prefigurarsi il futuro e perfino per immaginare qualcosa che non esiste: per pensare a un ippopotamo a pois che cammina sul filo bisogna ricordare cos’è un ippopotamo e cosa è il filo o i pois, oltre a come si fa a camminare.

TRACCE INDELEBILI

Per gli scienziati, infatti, la memoria è uno stato del funzionamento cerebrale più che una facoltà in sé e perché funzioni occorrono tre diverse capacità: acquisizione dell’informazione, immagazzinamento e recupero. Dalla prima(l’acquisizione dell’informazione), dipendono gli stili di memoria. «C’è chi ricorda di più quello che vede, usa cioè la cosiddetta memoria fotografica, mentre ci sono persone che non amano lo stile visivo, e quindi diventano verbalizzatori: per ricordare utilizzano spesso rime e assonanze e se hanno orecchio musicale inventano tiritere in cui inseriscono le informazioni che devono imparare», spiega Rossana De Beni, docente di Psicologia della Personalità e delle differenze individuali all’Università di Padova. «Altri ancora localizzano bene nello spazio le cose da ricordare, una capacità tipica di molti animali. Anche l’uomo possiede questa forma di memorizzazione, ma spesso non la sviluppa».

Ognuno di noi, insomma, ha un suo stile di memoria, proprio perché ha uno “stile di apprendimento” innato che usa per conoscere il mondo. Le persone che hanno prevalentemente una memoria visiva si riconoscono perché parlano molto velocemente, visto che i flussi di immagini scorrono rapidi nella loro testa. Le persone più “uditive” parlano invece più lentamente e, nel discorso, spesso chiedono agli altri: “come ti suona?”. Le persone con memoria cinestesica (spaziale) amano molto le sensazioni e quindi di solito caricano i loro discorsi di emotività.

CAMBIAMENTI ELETTRICI TRA NEURONI

Ma come fa “il cervello che impara” a trattenere, a volte per sempre, le informazioni? La memoria è stata paragonata a un archivio in cui le esperienze vengono immagazzinate dopo essere passate per uno stadio intermedio, la cosiddetta memoria di lavoro, che ci consente per esempio di mandare a mente un indirizzo per il tempo necessario a trascriverlo. Dopodiché questo indirizzo se non serve più può essere dimenticato, se invece si tratta per esempio del nuovo indirizzo di casa di un amico, viene trasferito nella memoria vera e propria.

Gli scienziati pensano che le memorie a breve termine (o di lavoro) nascano da alterazioni elettriche tra le sinapsi dei neuroni cioè tra le ramificazioni che collegano ogni cellula cerebrale a molte altre. Si pensa invece che le memorie a lungo termine derivino da alterazioni vere e proprie delle cellule, come la creazione di nuove connessioni (sinapsi) tra di esse. Con l’apprendimento si modifica infatti l’eccitabilità dei neuroni: ciò che sappiamo del mondo, immagini, dati provenienti dai sensi ecc. sono in realtà schemi elettrici di attivazione che innanzitutto coinvolgono la corteccia sensoriale (quando vediamo un oggetto per esempio), per poi passare all’ippocampo e infine al resto del cervello (vedi disegno a destra). Ci sono fino a 5 mila sinapsi (connessioni con altre cellule) per ogni neurone e visto che i neuroni umani sono circa 86 miliardi, ciò dà l’idea dell’enorme capacità di elaborazione e archiviazione del nostro cervello. Si pensa inoltre che, per essere fissati, i ricordi vengano assegnati a gruppi di neuroni che lavorano in sincrono.

L’IMPORTANZA DELL’EMOZIONE

Il meccanismo descritto fin qui vale per tutti i tipi di memoria, visiva, spaziale o uditiva che sia (e alla fine ciò significa che, almeno dal punto di vista fisiologico, non c’è una vera distinzione tra i diversi stili di memorizzazione).

Ma c’è ricordo e ricordo. Quelli che hanno una valenza emotiva restano come contrassegnati e diventano indelebili, forse a causa dell’attività di alcuni neurotrasmettitori, per esempio la dopamina. Si ricordano molto bene, per esempio, gli episodi che sono stati un rischio per l’incolumità: una rovinosa caduta dal motorino, essere inseguiti da un cane inselvatichito ecc. È stato ipotizzato che in questo caso sia la produzione di adrenalina (l’ormone che ci rende pronti a scappare oppure ad attaccare nelle situazioni di rischio), a influenzare il cervello in modo che contrassegni il ricordo come fondamentale. Il che è perfettamente sensato: i ricordi importanti per la sopravvivenza sono quelli che è più utile che restino nel tempo. Lo stesso vale per le prime esperienze emotive: non a caso, ognuno di noi ricorda molto bene le cose accadute dall’inizio dell’adolescenza all’inizio della vita adulta, perché è quello il momento in cui i fatti si correlano di più alle emozioni (gli studiosi chiamano questo fenomeno “picco di reminiscenza”).

IMPARARE BENE

Che dire allora delle memorie che non hanno un colore emotivo, quelle che riguardano le informazioni, per esempio quelle imparate a scuola o che usiamo per esercitare la nostra professione? Per gli studiosi dipendono dall’efficienza della memoria di lavoro, dove arrivano le informazioni raccolte dalla memoria sensoriale (visive, uditive, spaziali ecc., vedi riquadro nell’ultima pagina): è questo il passaggio cruciale che decide che cosa sarà definitivamente immagazzinato e che cosa verrà scartato dal cervello. Tant’è vero che la quantità di memoria di lavoro (che è innata) predice il successo di una persona più del suo quoziente intellettivo, proprio perché chi ne ha molta incamera più informazioni in modo più efficiente. Gli studi hanno inoltre dimostrato che questo tipo di memoria può vagliare al massimo 7 blocchi di informazioni alla volta (non si può ricordare un numero di 10 cifre, ma uno di 7 sì; se però si accoppiano a due a due le cifre, queste diventano in realtà 5 e il numero si può facilmente ricordare). Come? È sempre questione di potenziali elettrici: si pensa che quando un ricordo viene esaminato nella memoria di lavoro si verifichi un miglioramento di 2,5 volte dell’efficienza elettrica delle sinapsi tra i neuroni, che può permanere anche per alcune ore. È questo potenziamento dell’attività elettrica a dare il via alle modificazioni cerebrali che portano a fissare il ricordo.

RIMONTARE LO SCHELETRO

Anche il recupero delle informazioni immagazzinate è piuttosto complesso. Ricordare un avvenimento somiglia infatti a ciò che fa un paleontologo quando rimette insieme le ossa di un animale: queste ultime sono i ricordi salienti ma la forma dell’animale, cioè che cosa è accaduto in realtà, viene sempre ricostruita in base a informazioni generali. Ecco perché i ricordi di situazioni non sono mai del tutto precisi.

Come si accede alle info in memoria? Innanzitutto è importante il contesto: spesso ci ricordiamo meglio fatti e persone se si replicano le condizioni in cui il ricordo si è formato. A tutti è capitato di riconoscere qualcuno ma di non sapere chi sia perché lo abbiamo incontrato in una situazione diversa (non identificare per esempio il panettiere se anziché vederlo in negozio lo si incontra in palestra). In uno studio ormai diventato un classico, gli psicologi Duncan Godden e Alan Baddeley, dell’Università di York (Gran Bretagna), chiesero a un gruppo di subacquei di imparare alcune informazioni sia a riva sia sott’acqua e poi li interrogarono sulle cose apprese in entrambi i contesti. Verificarono così che le informazioni apprese sott’acqua venivano ricordate meglio sott’acqua, e quelle imparate all’asciutto recuperate meglio sulla terra ferma. In ogni caso, altri esperimenti hanno dimostrato che le nozioni studiate in modo intenzionale sono ricordate meglio di quelle incontrate in modo casuale, a meno che siano emotivamente importanti.

ARCHIVIO DA RIORDINARE

In realtà, il nostro cervello non è un archivio in cui tutto è immutabile, è più simile a un meccanismo che mette continuamente in ordine tutto, inserendo le nuove memorie in accordo con i dati già conosciuti. Ma su questo punto il dibattito tra i ricercatori è aperto. Alcuni sostengono che i ricordi vengono cancellati da quelli nuovi che a essi si sovrappongono (per esempio ricordare il numero di telefono del nuovo fidanzato e dimenticare quello del precedente) oppure perché sono troppo simili e si confondono l’uno con l’altro per cui la mente fatica a recuperarli. Ma molti altri ritengono che non dimentichiamo nulla, semplicemente con il tempo cambiano le chiavi di ricerca con cui recuperiamo le memorie e così un episodio può riaffiorare se ci imbattiamo nell’aggancio giusto. Con il passare del tempo ovviamente dimentichiamo molte cose, ma spesso basta un ripasso perché tornino in mente (può succedere con una lingua straniera imparata a scuola, per esempio). «L’oblio è una grande risorsa del cervello, se non ci fosse diventerebbe difficile per noi anche solo prendere decisioni», dice Cesare Cornoldi, docente di Psicologia all’Università di Padova. «Quel che è certo è che la nostra mente rimaneggia continuamente le memorie, una funzione di cui siamo inconsapevoli». Anche per questo i ricordi possono riaffiorare in modo sbagliato come accade nel fenomeno chiamato “déjà vu”, in cui frammenti di memoria di avvenimenti passati sono talmente simili alle caratteristiche del luogo o della situazione in cui ci troviamo in quel momento che questo provoca la falsa sensazione di essere già stati lì.

I SEGRETI DEI SUPERGENI

Per tutto ciò che abbiamo detto fin qui (l’importanza delle emozioni e dell’efficienza della memoria di lavoro, e quanto sia fondamentale la volontà di mandare a mente le nuove informazioni), non è difficile diventare degli ottimi memorizzatori. Basta usare qualche piccolo trucco, le cosiddette mnemotecniche. Del resto chi fa calcoli prodigiosi o ricorda moltissimi dettagli confessa di allenarsi in continuazione.Con230ore di allenamento distribuite in 20 mesi, per esempio, uno studente presso il laboratorio di Anders Ericsson all’Università della Florida di Tallahassee è riuscito a memorizzare liste di 80 cifre senza fare errori. Il segreto di una memoria eccezionale, in effetti, si riduce alla capacità di “colorare” i ricordi di emotività facendoli diventare vividi in modo che il cervello finisca per comportarsi allo stesso modo di quando si trova a incontrare un’informazione importante per la sopravvivenza. «Con le mnemotecniche le informazioni vengono organizzate per essere ricordate meglio: con l’uso di codici, visualizzazioni mentali o rime», sottolinea De Beni. «Si usa l’immaginazione: se per esempio devo ricordare parole o numeri che di per sé non hanno un’immagine, basta abbinare a esse qualcosa di visivo. In questo modo uso due codici (verbale e visivo) e quindi potenzio molto la memoria. Non a caso, le parole concrete sono molto più facili da ricordare delle parole astratte: si memorizza meglio “fuoco” che “rango”, ma se io “rango” lo abbino a un’immagine ecco che anche questa parola diventa concreta e quindi semplice da ricordare». Un esempio: per imparare nuove parole straniere si può utilizzare il sistema di usare termini assonanti nella propria lingua (lapin, in francese coniglio, che si pronuncia “lapen” potrebbe essere visualizzato come un coniglio con una penna in mano).

La tecnica preferita può comunque dipendere dai diversi stili di memorizzazione. Chi ha un buon orecchio musicale riesce a mettere su un motivetto conosciuto sequenze difficili da imparare come le formule biochimiche, per esempio. «Ma attenzione: tutti siamo in grado di utilizzare stili diversi e l’ideale è appunto usarli contemporaneamente, come fanno i sinesteti che non a caso sono i migliori memorizzatori in assoluto: riescono ad agganciare alle informazioni da ricordare un suono, un odore o un colore e questo li aiuta perché dà una componente emotiva all’informazione», conclude De Beni. Insomma, il segreto di un’ottima memoria è tutto lì: bisogna incrociare informazioni e sensazioni, e questo rende vividi i ricordi.


RITROVARE RICORDI ORMAI PERDUTI? FORSE SI PUÒ

Alcuni ricercatori del Mit, a Boston, hanno dimostrato che si possono recuperare ricordi apparentemente perduti riattivando alcuni neuroni che li conservano silenziosamente. Per riuscirci, si usa l’optogenetica, una procedura che permette l’attivazione di singoli gruppi di neuroni tramite una luce laser in fibra ottica e che può essere applicata anche ad animali vivi. L’esperimento è stato effettuato su topi di laboratorio (nella foto). Nei neuroni di questi animali sono state inserite proteine fotosensibili e, a contatto col cervello, rami di fibra ottica. Alcuni topi venivano introdotti in una scatola all’interno della quale ricevevano una scossa elettrica. Successivamente, anche se nella scatola non c’era più elettricità, i topi si paralizzavano e mostravano reazioni impaurite appena vi venivano avvicinati. A quel punto, ad alcuni di essi è stata somministrata anisomicina, un antibiotico che induce amnesia e i topi hanno ricominciato ad avvicinarsi volentieri alla scatola. Attivando però con un impulso luminoso i neuroni dove erano stati immagazzinati i ricordi spaventosi, ecco che i topi tornavano ad avere paura: il ricordo dell’esperienza della scossa era stato riattivato.


I TRE TIPI DI MEMORIA

Esistono tre tipi di memoria, che sono anche tre livelli successivi a cui le informazioni possono passare.

MEMORIA SENSORIALE: fondamentale per percepire la realtà che ci circonda e per comprendere il linguaggio (verbale e non verbale) degli altri. Può essere visiva, olfattiva, uditiva ecc… Ma ha la caratteristica di trattenere le informazioni raccolte solo per pochi secondi.

MEMORIA DI LAVORO (O A BREVE TERMINE): fa da collegamento tra la memoria sensoriale e la memoria a lungo termine. Trattiene poche unità informative (fino a sette) per alcuni minuti, un’ora al massimo. Se le informazioni non vengono consolidate (come accade per esempio quando si studiano date storiche) vengono dimenticate.

MEMORIA A LUNGO TERMINE: qui vengono conservate le esperienze o le nozioni imparate (memoria esplicita) ma anche i movimenti automatici come sciare o andare in bicicletta (memoria procedurale). Quella esplicita si divide a sua volta in memoria episodica, che contiene tutti gli eventi vissuti, memoria semantica, formata dalle conoscenze acquisite, e memoria emozionale (le emozioni provate e rimaste impresse).

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