
COME RIDURRE IL NOSTRO IMPATTO AMBIENTALE
Un mondo più sostenibile? Dipende dalle scelte dei politici. Ma anche (e molto) da quello che facciamo noi. Fra le mura di casa
Parte Seconda
I suoi abitanti vantano un alto tasso di benessere. Vivono in case ricoperte da legno di quercia isolante e coi pannelli fotovoltaici sui tetti. Le finestre hanno tripli vetri e gli appartamenti sono rinfrescati da convogliatori d’aria collegati a camini colorati. L’acqua piovana è riciclata per irrigare i giardini. La zona è ben servita dai mezzi pubblici.
L’ecovillaggio Bedzed (Beddington Zero Energy Development) è un modello citato in tutti i libri di testo ambientalisti: è uno dei rari esempi al mondo di pianificazione urbana attenta all’impronta ecologica. Quelle belle case – nel distretto di Sutton, a sud di Londra – sono costate l’equivalente di 27,6 milioni di euro. Ne è valsa la pena?
Nel 2009, sette anni dopo la costruzione dell’insediamento, la società ambientale Bioregional è andata a misurare quanto fosse davvero sostenibile. Il risultato è stato deludente: pur usando meno energia, acqua e calore rispetto alla media nazionale, i 240 abitanti di Bedzed avevano un’impronta (v. articolo precedente) pari a 2,6 pianeti. Perché continuavano a spostarsi in auto per accompagnare i figli a scuola e per andare al lavoro. Perché non avevano cambiato la loro dieta a base di carne. E soprattutto perché continuavano a viaggiare in aereo per andare in vacanza. «Gran parte dell’impatto dei residenti di Bedzed si verifica all’esterno della tenuta », conclude desolato il rapporto.
La storia di Bedzed mostra quanto è complicato far quadrare i conti con la natura. Perché l’impronta che lasciamo nell’ambiente è molto più ampia di quanto immaginiamo. Per ridurla, quindi, occorre una strategia complessa, nella quale tutti devono fare la propria parte: i governanti, le industrie e noi cittadini. Nessuno è esonerato: anzi, come ha mostrato la pur valida esperienza britannica, il contributo di ciascuno di noi può essere determinante.
Le attività domestiche, infatti, generano da sole i ⅔ delle emissioni globali di gas serra.
LE 10 SCELTE PIÙ INCISIVE
Ma cosa possiamo fare in concreto? Riciclare i vasetti di yogurt o consumare meno acqua durante la doccia aiuta ma non basta. Quali sono le scelte più incisive nel ridurre la nostra impronta? Diana Ivanova, ricercatrice alla Scuola di Terra e ambiente all’Università di Leeds, ha passato in rassegna quasi 7mila ricerche sul tema. E in uno studio pubblicato in agosto sulla prestigiosa rivista scientifica Environmental Research Letters ha identificato le 10 scelte più efficaci per ridurre l’impronta di 9,1 tonnellate di CO2 a persona ogni anno. Quasi il 20% di queste (18,5%) si abbatte solo eliminando i voli aerei a lungo raggio.
I trasporti, in generale, pesano per quasi metà (40,9%). E vivere senz’auto rappresenta da sola metà di questa impronta.
Ma com’è possibile fare a meno delle 4 ruote?
Proprio da questa scelta è partita un’educatrice diFaenza, Linda Maggiori, 39 anni, sposata e madre di 4 figli. «Nel 2011, mentre viaggiavo con i miei bambini a bordo, un’auto ha sbandato e ci è venuta addosso», racconta. «La nostra vettura ne è uscita distrutta. Noi siamo rimasti illesi ma sotto choc. Così abbiamo deciso di provare a vivere per un po’ senz’auto. Abbiamo visto che si poteva fare, anzi: che ci trovavamo meglio. E non l’abbiamo più ripresa, spostandoci a piedi, in bici o coi mezzi pubblici. E non eravamo i soli: abbiamo aperto su Facebook un gruppo di famiglie senz’auto raccogliendo in breve tempo un migliaio di aderenti». E questa scelta ne ha trascinate altre: «Molti ci avevano criticato, obiettando che i trasporti non sono l’unico comportamento inquinante. E così abbiamo allargato l’approccio», aggiunge Maggiori.
Così la sua famiglia ha iniziato a produrre pane, pasta, biscotti e detersivi in casa. Prende frutta e verdura attraverso gruppi d’acquisto locali. I vestiti non li comprano ma li scambiano con parenti e amici. I risultati sono tangibili: «Produciamo solo 1,7 kg di rifiuti indifferenziati e 1,4 kg di plastica a testa ogni anno. Viviamo spendendo 1.400 euro al mese per una famiglia di 6 persone. Ma sacrifici veri e propri non ne facciamo. È solo un cambio di abitudini: facciamo a meno del superfluo. All’inizio è complicato, ma quando si prende il ritmo è semplice e anche divertente. E poi ti sostiene la motivazione di dare un Pianeta eunfuturo migliori ai nostri figli», dice Maggiori che ha appena pubblicato per edizioni San Paolo il libro Questione di futuro: guida per famiglie eco-logiche.
RICCHI E VORACI
Dunque, la “decrescita felice” è l’unica ricetta per ridurre l’impronta? La stessa Ivanova, autrice del monumentale studio sulla riduzione dell’impronta, racconta a Focus di lavorare solo 4giorni a settimana proprio permotivi ecologici.
«Il mio stipendio è più basso, così sono indotta a ridurre i miei consumi. Uso meno l’auto e i mezzi di trasporto. Al tempo stesso, le aziende consumano meno energia e si creano più posti di lavoro». In effetti, guardando l’elenco dei Paesi per impronta ecologica, un dato è evidente: più sono ricchi, più inquinano e consumano risorse. E viceversa. Ma non è possibile coniugare ecologia e sviluppo?
Secondo i calcoli del Global Footprint Network, solo 2 Paesi al mondo ci riescono: Sri Lanka e Filippine. Entrambi hanno un indice di sviluppo umano alto, cioè superiore a 0,7 (il massimo è 1): l’indice misura l’aspettativa di vita, il livello di istruzione e il reddito medio (l’Italia è a 0,88). E tutti e 2 riescono a stare sotto la soglia degli 1,6 ettari (2,5 campi da calcio) di biocapacità massima a disposizione oggi per ogni abitante della Terra. Tuttavia il Pil è basso: le Filippine sono al 31° posto nel mondo, lo Sri Lanka al 64°, cioè 23 volte meno dell’Italia (che è all’8° posto ma con un’impronta tripla). Dobbiamo quindi impoverirci per salvare il Pianeta? Non è detto.
«La crescita incontrollata dell’economia è sbagliata perché implica uno svuotamento dell’ambiente. Ma anche la decrescita è sbagliata perché colpevolizza l’economia, di cui non possiamo fare a meno», argomenta Simone Bastianoni, docente di sostenibilità all’Università di Siena. «La strada deve essere un’altra: rafforzare l’ambiente per rafforzare l’economia. Il Forum economico mondiale ha evidenziato che le minacce più grandi alla nostra ricchezza arriveranno dal cambiamento climatico, dai crimini ecologici e dal collasso degli ecosistemi terrestri o marini. Per salvarci da questi rischi non occorrono scelte estreme: basta adottare politiche coraggiose, comportamenti sobri e un po’ di fiducia nella tecnologia. Occorre prima di tutto cambiare il sistema di produrre energia, responsabile di quasi la metà delle emissioni di CO₂. La Germania, ad esempio, sta facendo investimenti incredibili per passare al 100% di energie rinnovabili.
L’Italia molto meno (le energie rinnovabili sono oggi al 40%, ndr), ma l’ecobonus, la detrazione al 110% per chi aumenta l’efficienza energetica delle case, è un passo molto importante verso la sostenibilità del nostro Paese».
BOLLETTA VERDE
Secondo i calcoli di Eurelectric, l’associazione europea di settore, decarbonizzare l’elettricità al 90-95% in Europa costerebbe piu di 110 miliardi di euro l’anno finno al 2045. Ma alla fine le bollette mensili per gli utenti aumenterebbero di soli 14 euro al mese per una famiglia tipica. Insomma, la politica deve fare la propria parte.
E gli effetti possono essere tangibili: «Da quando, nel 2005, la Provincia di Siena ha imposto di pulire le caldaie ogni anno, i consumi di metano per ogni abitazione si sono ridotti del 30%: un impatto non da poco, sia sull’ambiente sia sulla bolletta», aggiunge Bastianoni.
Maanche senza tirare in ballo pannelli fotovoltaici o cappotti termici, ognuno di noi può ridurre l’impronta con un attrezzo molto più spartano: la forchetta. «È il più importante strumento di sostenibilità», dice Alessandro Galli, responsabile del Global Footprint Network per l’area Mediterranea. «Per nutrirci, infatti, assorbiamo metà della capacità produttiva dellaTerra. Più di un terzo delle emissioni globali di gas serra arrivano da allevamenti, agricoltura e pesca intensive e trasporti di alimenti. Ma attenzione, una dieta più sostenibilenonimplica grandi sacrifici. C’è una via di mezzo fra il mangiare carne tutti i giorni e diventare vegetariani».
Si potrebbe ipotizzare di tassare i cibi ad alto impatto come fa la Svezia con chi compra le automobili? «Può essere un’idea», risponde Bastianoni. «Basta ricordare quanto è successo col vino: negli ultimi 50 anni il suo consumo pro capite è diminuito del 60% ma la sua qualità è molto migliore. Lo beviamo per godercelo. La stessa cosa potremmo farla con la carne, il pesce o i latticini».
UNA LOGICA AUTOLESIONISTA
Se come singoli possiamo fare molto, lo sforzo più grande deve però arrivare dall’alto, ossia dai governi. Che però, osserva Mathis Wackernagel, presidente di Global Footprint Network, sono intrappolati in una logica autolesionista: «Ciascuno è disposto a ridurre le proprie emissioni solo quando gli altri si saranno impegnati a farlo. E così non ci si muove di un passo. La situazione si sbloccherà quando i governi smetteranno di considerare le questioni ecologiche come fattori di costo: l’ecologia è un vantaggio competitivo cruciale, è il vero investimento redditizio. Invece di consumare tutta la biocapacità possibile, i Paesi devono puntare a proteggere i propri beni biologici, da cui dipende il nostro futuro».
Già, ma in che modo? Il più immediato sarebbe imporre ai Paesi che hanno le impronte ecologiche più alte di commerciare con i Paesi che hanno le più alte riserve di biocapacità, per compensarli. «Ma senza un vero governo mondiale, è impossibile obbligare i Paesi più forti a pagare per quelli più piccoli», osserva Wackernagel.
SVIZZERA E NUOVA ZELANDA
Ma se siamo lontani da un governo ecologico mondiale, al proprio interno i Paesi possono fare molto. La Svizzera, per esempio, già dal 2008 ha inserito l’impronta nei sistemi di monitoraggio nazionali, e nel 2016 ha incluso l’economia verde nella Costituzione.
«Dobbiamo passare dall’economia della crescita cieca a quella del benessere», conclude Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf. «Un esempio promettente arriva dalla Nuova Zelanda: il suo primo ministro, Jacinda Ardern, una donna di 40 anni, ha varato una legge di bilancio basata non solo sulla crescita del Pil, ma anche sulla promozione della qualità di vita. Puntando su un’economia a basse emissioni, sullo sviluppo del digitale, sul sostegno ai redditi più bassi e sulla salute mentale di tutti». Ci vorrà qualche anno per verificare i risultati. Ma almeno è un approccio più completo.