Nextpapers online
Il meglio del web

COSÌ FAREMO UN MONDO PIÙ VERDE

La transizione ecologica servirà a proteggere il Pianeta dal surriscaldamento globale. Se non riduciamo le emissioni di anidride carbonica, avremo ondate di calore estreme. Cambiare rotta ci costerà 100 miliardi di dollari ogni anno. Il vantaggio sarà dei nostri figli

Prima PARTE

La transizione ecologica è un processo di innovazione sociale, tecnologica ed economica a cui tutti i Paesi del mondo devono aderire per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, la grande emergenza planetaria che negli ultimi anni, tra pandemia ed eventi climatici estremi, ha posto tutti noi davanti all’urgenza di formulare piani di intervento strategici per lo sviluppo sostenibile. Entro il 2030 bisogna ridurre del 55 per cento le emissioni di CO2, il principale gas a effetto serra che surriscalda il Pianeta; si deve raggiungere almeno il 32 per cento di quota di energia rinnovabile; bisogna incrementare l’efficienza energetica di almeno il 32,5 per cento e raggiungere entro il 2050 la Carbon neutrality, cioè la neutralità climatica azzerando il consumo di carbone fossile. Servono tanti soldi: almeno 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2030, secondo quanto previsto dai Paesi dell’Onu intervenuti alla recente COP26 di Glasgow. In Italia, il Governo ha destinato alla transizione ecologica 68,7 miliardi di euro, oltre il 40 per cento dei fondi europei della NEXT Generation UE messi a disposizione per il nostro Paese dall’Unione europea per l’attuazione del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza necessario a risanare l’economia dopo la crisi dovuta alla pandemia.

Ridurre l’anidride carbonica

Come spiegato da Roberto Cingolani, a capo del nuovo Ministero per la transizione ecologica creato dall’attuale Governo Draghi, «questa transizione si poggia su tre pilastri: ridurre tutto ciò che produce direttamente CO2 (come le fonti fossili), sviluppare un’economia circolare per riutilizzare le risorse (e quindi abbattere la produzione indiretta di CO2) e aumentare la capacità naturale dell’ambiente di assorbire e neutralizzare la CO2 presente in atmosfera. Un obiettivo ambizioso ma necessario perché gli effetti del surriscaldamento globale saranno sempre più devastanti se non interveniamo subito. L’ultimo rapporto dell’ICPP 2021, il gruppo intergovernativo formato da 234 esperti di tutto il mondo che ha vagliato più di 14mila studi scientifici sui cambiamenti climatici, mostra non solo come il clima si sia modificato negli ultimi decenni e come cambierà con effetti catastrofici in futuro se non interveniamo ora, ma dimostra anche come il surriscaldamento globale sia in”uenzato dall’uomo. Secondo tale rapporto, infatti, molti dei cambiamenti ambientali oggi osservati dipendono dalle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo e sarebbero state responsabili di un aumento della temperatura di 1,1 °C nel periodo 1850-1900. Anche se dovessimo riuscire a mantenere l’aumento di temperatura entro 1,5 °C nei prossimi vent’anni, avremmo un incremento di ondate di calore, di stagioni calde più lunghe e di fredde più brevi. Se poi il riscaldamelo dovesse aumentare di 2 °C, allora ci sarebbero ondate di calore così estreme da compromettere la produzione agricola, indurre un innalzamento del livello dei mari irreversibile e pregiudicare lo stato di salute delle persone.

Serve agire su più fronti

«La risposta alla sfida dell’azzeramento del contributo antropico (cioè dell’uomo) all’accumulo dei gas serra in atmosfera, e della CO2 in particolare, non potrà essere univoca», spiega Guido Saracco, professore di chimica al dipartimento di scienze e tecnologie applicate del Politecnico di Torino nonché autore del libro Chimica verde 2.0, impariamo dalla natura come combattere il riscaldamento globale, edito da Zanichelli. «Sarà piuttosto un concerto di azioni ben coordinate su scala planetaria che potrà portarci al successo». Le linee guida fissate dall’Agenda 2030 dell’ONU e gli impegni presi alla recente COP26 di Glasgow ci indicano infatti come sia fondamentale avviare un cambio di rotta agendo su più fronti, ad esempio impiegando nuove fonti energetiche, riducendo i rifiuti, modificando il mondo dei trasporti, salvaguardando l’ambiente.

Non basta piantare più alberi

Gli esperti dicono che non basta solo piantare alberi per ridurre gli eccessi di anidride carbonica in atmosfera. «La riforestazione», spiega Saracco, «porterebbe senz’altro a un incremento della CO2 assorbita dalle piante sulla Terra tramite la fotosintesi, ma è del tutto inverosimile che da sola essa possa portare alla risoluzione integrale del problema del riscaldamento globale. Oggi, infatti, questo meccanismo “naturale” di riconversione della CO2 operata dalle foreste riesce a riassorbire solo il 55 per cento delle emissioni antropiche». Se vogliamo davvero contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, allora dobbiamo agire su scala globale perché come nessun Paese può da solo azzerare le emissioni di gas serra a livello mondiale, così nessun cittadino può risolvere il traffico o la gestione dei rifiuti della propria città. Servono ingenti investimenti e chiare decisioni politiche. Se vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo migliore e attuare una trasformazione sostenibile in cui soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri, allora ognuno deve fare la sua parte.

I Paesi che inquinano di più

Secondo uno studio condotto dal Global Carbon Project, l’Asia è di gran lunga il maggiore produttore di CO2 al mondo: 19 miliardi di tonnellate all’anno, circa il 53 per cento delle emissioni globali, di cui ben 10 miliardi sono generate dalla sola Cina, quasi il doppio di quelle prodotte dagli USA (4,888 Gt). Tuttavia, poiché l’Asia ospita oltre il 60 per cento della popolazione mondiale, ciò significa che la produzione pro-capite di CO2 del continente asiatico è inferiore alla media mondiale, tanto che un singolo abitante cinese produce alla fine la metà di quanto generato da un solo americano. Gli Stati Uniti detengono infatti una quota rilevante (il 18 per cento delle emissioni globali), e l’Europa il 17 per cento. Africa e Sud America incidono ciascuno per il 3-4 per cento delle emissioni globali. Nel 2020 l’Italia ha prodotto lo 0,87 per cento delle emissioni globali (circa 300 milioni di tonnellate di CO2), meno dello 0,95 per cento del Regno Unito (circa 330 milioni di tonnellate) e peggio dello 0,79 di Francia (276 mt) e dello 0,6 della Spagna (208 mt).


L’IMPRONTA ECOLOGICA DICE QUANTO SPORCHIAMO

Per gli inglesi è la global footprint, l’impronta ecologica, un indicatore messo a punto da due ricercatori canadesi nel 1990 per valutare l’uso da parte delle persone delle risorse ecologiche disponibili sul Pianeta. Per calcolarla vengono messe in relazione la quantità di risorse alimentari ed energetiche consumate con un valore che corrisponde all’area necessaria per produrre tali risorse, tenendo conto anche del suolo necessario per smaltire i relativi rifiuti prodotti. Ne risulta una superficie espressa in ettari, che a livello mondiale è in media pari a 2,75 ettari a persona. L’impronta ecologica di un italiano è di 4,4 ettari (poco meno dei 4,7 europei), quella di un nordamericano è di 8 ettari, quella degli indiani di 1,2 ettari, quella degli africani di 1,1. Facendo la differenza tra biocapacità (ovvero la quantità di risorse che ciascun ettaro di suolo può produrre e di rifiuti che può assorbire) e l’impronta ecologica, si ottiene il bilancio ecologico. Se è negativo, come per noi italiani, vuol dire che consumiamo e sporchiamo più di quanto siamo in grado di produrre e smaltire.


100 MILIARDI DA SPENDERE OGNI ANNO

Oltre 190 Paesi hanno partecipato alla recente COP26, l’ultima conferenza dell’Onu per discutere sul clima e sui cambiamenti climatici tenutasi a Glasgow, nel Regno Unito, lo scorso novembre. È stata un’occasione per definire le strategie e gli obiettivi da seguire per contrastare i cambiamenti climatici. In particolare si è discusso di:
come azzerare le emissioni nette di CO2 a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 °C. Ciò richiede di accelerare il processo di fuoriuscita dall’uso del carbone (la decarbonizzazione); ridurre la deforestazione; accelerare la transizione verso i veicoli elettrici; incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili;
come attivarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali. Ciò significa proteggere gli ecosistemi; costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazioni, mezzi di sussistenza e persino di vite umane; come mobilitare i finanziamenti. I Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2030;
come collaborare. Il clima e i cambiamenti climatici sono una questione globale e quindi è necessario l’impegno e la collaborazione di tutti i Paesi. Il Libro delle Regole di Parigi contiene le indicazioni utili per rendere operativo l’Accordo di Parigi sul Clima del 2015 siglato dai Paesi dell’ONU.


Potremmo ottenere energia dall’anidride carbonica?

E se un domani riuscissimo a trasformare l’anidride carbonica da principale gas serra a una risorsa? Se fossimo in grado di imitare in qualche modo le piante che, con la fotosintesi clorofilliana, ne ricavano energia trasformandola in glucosio? «Da un punto chimico l’anidride carbonica è un cadavere», spiega Guido Saracco, professore di chimica al dipartimento di scienze e tecnologie applicate del Politecnico di Torino. «La CO2 è il prodotto finale nei processi di combustione dei combustibili fossili e non possiede più energia chimica sfruttabile. Per ridarle nuova vita, un po’ come fece il dottor Frankenstein con la sua “creatura”, sarebbe necessario usare energia (le piante usano quella del sole). Sebbene esistano reattori elettrochimici o fotoelettrochimici che possono realizzare una sorta di fotosintesi artificiale, la modalità oggi più convincente per convertire la CO2 è l’uso di idrogeno verde con il quale l’anidride carbonica può essere convertita in idrocarburi. Produrre quindi idrogeno come vettore energetico rinnovabile del futuro può essere utile per ridare nuova vita al carbonio presente nella CO2».


Con l’effetto serra la Terra si surriscalda

L’effetto serra è un fenomeno generato dal calore del Sole che scalda la Terra. I raggi solari che penetrano l’atmosfera sono assorbiti dall’aria, dal suolo e dagli oceani. Buona parte di essi, circa il 30 per cento, è però riflessa dal suolo perlopiù sotto forma di raggi infrarossi. Di questi, circa il 70 per cento è assorbito e schermato dai gas presenti in atmosfera, i cosiddetti gas serra: anidride carbonica CO2, metano CH4, protossido di azoto N2O e vapor acqueo agiscono come i vetri di una serra, trattenendo il calore nell’atmosfera. Negli ultimi decenni il progressivo aumento dei gas serra prodotti da industrie, trasporti, agricoltura e allevamento e centri urbani ha provocato un aumento incontrollabile delle temperature, innescando processi che si autoalimentano. Ad esempio, più fa caldo e più vapor acqueo si genera dal mare e più gas serra si accumulano in atmosfera con aumento della temperatura.


Sviluppo sostenibile, se ne parla dal 1987

La definizione di “sviluppo sostenibile” appare per la prima volta nel 1987 nel Rapporto Brutland, documento pubblicato dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo dell’ONU. Secondo tale Rapporto, “lo sviluppo sostenibile soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri”.


17 obiettivi per un futuro migliore

Adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre del 2015, l’Agenda 2030 è un documento che indica il programma di azioni che ciascun Paese deve seguire per affrontare i temi della povertà, delle disuguaglianze e dello sviluppo sostenibile. È una sorta di diario dei compiti, formato da 17 obiettivi, i famosi Goal, e da 169 sotto-obiettivi, che riguardano tutte le dimensioni della vita umana e del pianeta. Dovranno essere raggiunti entro 2030 per ottenere uno sviluppo sostenibile che non riguarda solo l’ambiente, ma che per essere realizzato ha bisogno di una visione integrata anche su temi economici e sociali. Per questo i Goals dell’Agenda 2030 puntano a eliminare la fame e la povertà delle persone, a proteggere l’ambiente e le risorse naturali, a sostenere un’economia che dia prosperità preservando la natura, a incoraggiare la collaborazione e la pace tra i popoli.

CONTINUA

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.