
COSÌ UGUALI E COSÌ DIVERSI
HITLER e STALIN trasformarono nazismo e comunismo in due REGIMI totalitari, che finirono per COMBATTERSI. Ma che cosa pensavano l’uno dell’altro?
Parte IX
Baffino e Baffone, così simili, così diversi. Nemici giurati, ma a tratti conniventi, se non ambiguamente complici. Il raffronto tra i due più feroci dittatori del Novecento rispecchia il rapporto – complesso e costellato tanto da affinità quanto da divergenze – tra i sistemi totalitari che Hitler e Stalin incarnarono: nazismo e stalinismo (o nazionalsocialismo e bolscevismo che dir si voglia).
Nemici nati
I due movimenti nascono come nemici, e la loro avversità è di tipo ideologico. Fin dagli Anni ’20 Hitler accarezzò il progetto di distruggere lo Stato bolscevico. Il pericolo giudaico e quello comunista erano le sue ossessioni: la Repubblica di Weimar (malgrado la crisi, il Paese più industrializzato d’Europa) gli appariva minacciata da una rivoluzione proletaria di stampo leninista.
La tendenza all’annientamento dell’avversario era comunque reciproca. Da una parte, in Russia, c’era un movimento che si rifaceva a un’idea marxista del progresso, dunque a un’ideologia classista; dall’altra, un movimento che si fondava su un’idea organica e radicale di nazione. Un movimento anticlassista e nazionalista.
Nei suoi diari, Krusciov confessa: “Dal momento che i fascisti erano andati al potere in Germania sapevo che prima o poi avrebbero scatenato la guerra contro il nostro Pae se. Nel suo Mein Kampf […] Hitler enunciava a chiare lettere le sue mire aggressive sul mondo intero e la filosofia del misantropo che dettava il suo comportamento. Giurava che avrebbe compiuto la sua missione: l’annientamento del comunismo e la distruzione della sua cittadella, l’Unione Sovietica”. Il “darwinismo sociale” (una presunta selezione naturale applicata alla geopolitica, ovvero l’idea di una razza superiore) contrapposto all’utopia egualitaria. Il mito del Deutschland über alles, la nazione autorizzata a prendersi il suo “spazio vitale” a spese dell’Europa intera, in antitesi alla rivoluzione proletaria e anticapitalista da esportare ovunque.
Radici comuni
Fin qui le contrapposizioni ideologiche. Ma non bisogna dimenticare che le due ideologie nascevano da un humus comune: germogliavano in Pae si governati, prima della Grande guerra, da monarchie autoritarie, con una forte burocrazia, grandi tradizioni militari e un’aristocrazia terriera dominante.
Paesi entrambi in via di modernizzazione, sebbene con grandi differenze (era molto più avanti la Germania) e con analoghe mire espansionistiche sull’Europa Centrale e Orientale. Paesi accomunati dal trauma della sconfitta, umiliati i tedeschi dal trattato di Versailles, i russi dalla pace forzata causa-rivoluzione. Paesi sconvolti da disordini sociali (la Russia precipitata nella guerra civile dopo la rivoluzione bolscevica), stravolti dallo sconquasso originato dalla Grande guerra: cento milioni tra profughi e apolidi senza diritti e senza cittadinanza, confini, patrie e identità nazionali cancellati con un tratto di penna, disoccupazione e inflazione alle stelle, le masse in rivolta contro l’ordinamento parlamentare della società borghese. Paesi imbarbariti dal prolungato bagno di violenza. Ebbene, da questo terreno comune scaturirono due “risposte autoritarie di massa”. Erano ideologie “diversamente totalitarie”. Al punto che, spiazzando inglesi e francesi, garanti dello status quo, eMussolini, scesero a patti.
Patto imprevisto
Accade imprevedibilmente nell’agosto del ’39, quando Mosca e Berlino stipulano in quattro e quattr’otto il famigerato patto di non-aggressioneMolotov-Ribbentrop. Hitler, che si era già annesso l’Austria e pappato senza guerreggiare la Cecoslovacchia, voleva concentrarsi sul fronte occidentale, ma con le spalle coperte. Stalin, che non si fidava dei troppo concilianti francesi e britannici, voleva arginare l’espansione tedesca a Est e prendere tempo.
Volontà di potenza
Entrambi i dittatori sapevano che la resa dei conti era solo rimandata. In quel frangente rivelarono un’identità di fondo: condividevano – uno con stile plateale, l’altro con la riservatezza del calcolatore, educato in seminario – la medesima volontà di potenza e di imperialismo. Stalin, secondo Krusciov, confidò ai suoi: “Io so quali sono le intenzioni di Hitler. Egli crede di essere stato più furbo di me, ma in realtà sono io che l’ho messo nel sacco!”. I due si temevano proprio perché simili in tante cose. Solitari, dotati di memoria eccezionale, incolti (Hitler più di Stalin), paranoici, affetti da ossessione narcisistica, insensibili alle sofferenze altrui, una vita privata misera, per non dire squallida. Entrambi originari della periferia dell’impero (Austria e Georgia), covavano un complesso di inferiorità che li portò a ripudiare le loro origini etniche. Entrambi dominavano con la propaganda e il terrore.
Ma Hitler colpiva più all’esterno, mentre Stalin infieriva all’interno, con i gulag, la guerra di classe ai contadini, le purghe, le deportazioni e un antisemitismo di ritorno dopo la Seconda guerra mondiale.
Culto personale
Entrambi si crogiolano nel culto della loro personalità, ma con metodi diversi. Hitler, che a tavola era ascetico, beveva tè e non toccava vino, si trasfigurava nel rapporto con la folla, era il carisma gestuale-oratorio fatto persona. Stalin, che passava ore a gozzovigliare, svicolava dalle occasioni pubbliche, ma si imponeva per capacità organizzativa. Hitler era adorato dal popolo e si esaltava nei comizi, Stalin rifuggiva le masse, terrorizzava ma non seduceva.
Hitler è il trionfo dell’irrazionalismo, Stalin un razionalista educato dal marxismo e dalla scolastica. Hanno successo entrambi perché sono grandi semplificatori della realtà. Non hanno la capacità di coglierne la complessità, ma semplificare si rivelerà il modo migliore per conquistare le masse.
Stimato nemico
Si contano sulle dita di due mani i giudizi reciproci. I nazisti nutrivano un forte disprezzo per gli slavi, ma ammiravano il regime bolscevico. «L’unico uomo per cui Hitler avesse un “rispetto incondizionato”», ha scritto la grande studiosa dei totalitarismi Hannah Arendt «era “il geniale Stalin”» (i corsivi sono tratti dai taccuini del dittatore tedesco). Nelle sue Memorie del Terzo Reich, Albert Speer, numero due del Reich, rivela che il rispetto di Hitler aumentò nel corso dell’Operazione Barbarossa (l’offensiva contro l’Urss). Scrive Speer: “Lo colpiva la forza d’animo con cui avevano accettato le sconfitte. Parlava di Stalin con molta stima, mettendo in risalto certi parallelismi delle rispettive situazioni; gli sembrava che il pericolo dal quale Stalin e Mosca erano minacciati nell’inverno fosse simile a quello che egli affrontava ora (nel tardo autunno del 1942, ndr). E quando un’ondata di fiducia ne sollevava lo spirito, giungeva a dire, con una sfumatura d’ironia, che, vinta la Russia, la cosa migliore sarebbe stata di affidare il Paese all’amministrazione di Stalin, naturalmente sotto l’alto controllo tedesco, essendo Stalin l’uomo più adatto a far filare i russi”. In realtà, anche l’Hitler degli albori, l’Hitler che si ispirava aMussolini, guardava con ammirazione al bolscevismo. La capacità di eliminare con la violenza e il terrore i propri nemici era una lezione che fece propria.
Cattivi maestri
Dal canto loro, Stalin e i capi bolscevichi studiavano con un misto di timore e ammirazione la capacità hitleriana di ipnotizzare le masse. Anche se poi scattava l’orgoglio patrio: quando i tedeschi, che avevano filmato la presa di Danzica (resa possibile dal patto segreto con l’Urss) come un kolossal cinematografico, provarono a distribuire il film nelle sale sovietiche, si sentirono ribattere da Stalin: “Faremo circolare il vostro film se voi farete circolare i nostri”. Secondo Krusciov, il dittatore sovietico era paralizzato da Hitler “come un coniglio di fronte a un serpente boa […]. Aveva una tale paura della guerra che persino quando i tedeschi tentarono di prenderci di sorpresa […] riuscì ad autoconvincersi che Hitler lo avrebbe ascoltato e non ci avrebbe veramente attaccato”. Pia illusione. «Il retropensiero reciproco», assicura Pons, «era: “Da lui puoi trarre lezioni, ma lo devi comunque annientare.
Cinque affinità e cinque differenze tra nazismo e stalinismo
AFFINITÀ
Che cosa avevano in comune i due regimi:
- Avversione al liberalismo.
- Odio per il sistema nato dal Trattato diVersailles e la Gran Bretagna.
- L’idea che la Grande guerra avesse generato una guerra civile del continente europeo. Quindi, politica e violenza intrecciate.
- L’idea di totalitarismo come partito che pretende di riflettere la volontà generale e, poi, come Stato che si impone quale forma istituzionale antiliberale.
- Il rapporto tra politica e guerra. Alla guerra civile europea si risponde con la guerra.
DIFFERENZE
Ed ecco 5 punti di divergenza:
- La “guerra civile europea” si svolge all’interno tra classi, e all’esterno tra Stati rivoluzionari e imperialismo. Per Hitler è una lotta esterna tra nazioni e interna tra
razze. - La Germania di Hitler è aggressiva verso l’esterno. L’Urss è isolazionista.
- Il nazismo è radicato nel nazionalismo del Romanticismo. Il bolscevismo deriva dal razionalismo della Rivoluzione francese.
- Hitler è disposto alla autodistruzione per raggiungere i suoi obiettivi. Stalin è più realista.
- Hitler, una volta in guerra, non considera mai la trattativa. Stalin valuta una pace separata.
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