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DAGLI ABISSI TERRESTRI

Antichissime scritture misteriose, ritrovamenti “impossibili” e di origine non naturale potrebbero costituire la prova che, ben prima che comparisse l’Homo sapiens, sul nostro pianeta vivevano e prosperavano civiltà non umane

Secondo gli ambientalisti, oltre a provocare gigantesche estinzioni di piante e animali, stiamo consumando troppe risorse terrestri. In particolare, il libro I limiti dello sviluppo, di Autori Vari (1972), puntò il dito su vari metalli, affermando che si sarebbero esauriti presto. Non è ancora avvenuto, e forse non accadrà mai. Anzi, ci sono indizi che una massiccia estrazione di alcuni elementi trovati negli strati geologici in quantità molto superiori a quelle naturali si sia già verificata decine o centinaia di milioni d’anni fa, a opera di razze non-umane che avrebbero abitato la Terra prima dell’avvento dell’Uomo.

Adam Frank, astrofisico dell’Università di Rochester, e Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA, hanno indicato numerosi indizi dell’esistenza di remotissime civiltà fondate da queste razze in un saggio apparso nel maggio 2018 sull’International Journal of Astrobiology. Riguardo all’odierna civiltà umana, Frank e Schmidt scrivono che «le quantità di alcuni elementi in circolazione, come piombo, cromo, antimonio, terre rare, platino e oro, sono ora molto più grandi delle loro fonti naturali». Allo stesso modo, fanno notare che la concomitanza fra ecatombi di creature viventi e consumo di metalli sembra essere accaduta più volte.

«La grande estinzione alla fine del Permiano (252 milioni d’anni fa) fu preceduta da un picco nella presenza di nichel. Durante il Giurassico (183 milioni di anni) e il Cretaceo (132-93 milioni di anni) altre estinzioni di massa videro incrementi nella concentrazione di metalli (inclusi arsenico, bismuto, cadmio, cobalto, cromo, nichel, vanadio) e di zolfo. Il “massimo termico” della transizione fra Paleocene ed Eocene (56 milioni di anni or sono), oltre a estinzioni di massa, vide un picco d’abbondanza di molti metalli (inclusi vanadio, zinco, molibdeno, cromo)». Come tutti gli scienziati che accampano ipotesi fantascientifiche, Frank e Schmidt mettono prudentemente le mani avanti, dichiarando che «Pur essendo tentati di leggere qualcosa in questi eventi, dev’essere ricordato che la maggior parte delle cose accadute 50 milioni di anni fa resteranno per sempre alquanto misteriose». Tuttavia, gli indizi lascerebbero presumere che civiltà anteriori all’uomo abbiano scavato anch’esse delle miniere, costruito oggetti (forse gioielli fatti di molibdeno e vanadio, invece di oro e argento), e lasciato rottami ridotti poi in pulviscolo atomico.

Il vaso di Dorchester

Ma non tutti: alcuni manufatti sepolti tra le rocce potrebbero essersi mantenuti intatti, e lo zoologo Ivan T. Sanderson li battezzò OOPArts, cioè “Out Of Place Artefacts”, trovati anch’essi in strati geologici anteriori alla comparsa dell’Homo sapiens sulla Terra. E fra la panoplia di queste “cose” emerse dagli abissi terrestri, il più celebre manufatto metallico fu senza dubbio quello scaturito a Boston, nel Massachusetts, e che il 5 giugno del 1852 ebbe l’onore di essere menzionato nientemeno che nel prestigioso Scientific American. «Pochi giorni fa una potente esplosione è stata prodotta nella roccia alla Meeting House Hill, nel quartiere di Dorchester. Lo scoppio ha prodotto un’immensa quantità di pietrame, scagliando piccoli frammenti in tutte le direzioni. Tra di essi è stato raccolto un vaso metallico in due parti, per la frattura provocata dall’esplosione. Rimesse insieme le due parti, queste formano un vaso a forma di campana, alto 11,4 cm, 16,5 cm alla base, 6,3 cm alla sommità e di circa tre millimetri di spessore. Il corpo di questo vaso assomiglia nel colore allo zinco, o a una lega metallica in cui c’è una considerevole percentuale d’argento. Sui lati vi sono 6 figure d’un fiore, o un bouquet, splendidamente intarsiato nell’argento puro, e attorno alla parte bassa del vaso una pergola, o tralcio, intarsiata anch’essa nell’argento. Il cesello, l’incisione e l’intarsio sono squisitamente eseguiti dall’arte di un abile artigiano. Questo strano e sconosciuto vaso era saltato fuori dalla dura roccia puddinga, 4,63 metri sotto la superficie. Adesso è in possesso del Signor John Kettell. Il Dr. J. V. C. Smith, che ha recentemente viaggiato in Oriente, e ha esaminato centinaia di curiosi utensili domestici, disegnandoli anche, non ha mai visto nulla che assomigli a questo. Egli ha fatto un disegno e preso accurate misure, da sottoporre ad esame scientifico. Non vi è alcun dubbio che questa curiosità sia saltata fuori dalla roccia, come sopra detto; ma vuole qualche scienziato dirci per favore come sia arrivata lì? L’argomento è degno d’investigazione, in quanto non vi è inganno nel caso». Il vaso si ignora che fine abbia fatto, ma ne circola una fotografia, non si sa se autentica (dato che mostra un oggetto intatto, non spezzato in due), pubblicata per la prima volta nel libro di Brad Steiger Worlds before Our Own (1978). Steiger scrisse di aver ricevuto una lettera dal suo attuale proprietario, di nome Milton R. Swanson, residente nel Maine: «Il vaso era stato donato all’Harvard College, ma a causa della sua origine misteriosa lo relegarono in un armadio. Finalmente un supervisore se lo portò a casa, e me lo vendette appena prima di morire. Nel corso degli anni l’ho fatto esaminare da cosiddetti esperti, e nessuno se n’è mai spuntato con una risposta. La sua età e uso sono del tutto inesplicabili. È quasi nero, ma il metallo è composto d’ottone con zinco, ferro e piombo. L’intarsio è in puro argento, e ho dovuto metterci sopra della lacca per proteggerlo. Il Museum of Fine Arts di Boston ha il migliore e più completo laboratorio del mondo, creato in cooperazione col MIT. Sono riuscito a fargli compiere ogni sorta di esame per due anni. Ancora nessuna risposta, quanto al suo periodo o origine». Dopo il decesso di Swanson nel 2005, ogni traccia dell’oggetto è andata persa. In base a questa foto, il mistero è ulteriormente infittito dalle dichiarazioni di un ricercatore italiano, Michele Manher, apparse sulla rivista Archeomisteri, gennaio-febbraio 2004, secondo cui «Le incisioni sul vaso riproducono PIANTE ESTINTE DEL CARBONIFERO SUPERIORE. La piccola pianta disegnata per 6 volte sui fianchi del vaso sarebbe una Sphenophyllum laurae, risalente a 320 milioni di anni fa. Si tratta di piantine veramente piccole, delle stesse dimensioni, per esempio, del trifoglio. I ramoscelli che decorano il resto del vaso sarebbero invece di Sphenopteris goldenbergi, una pianta le cui foglioline erano davvero minuscole, paragonabili a quelle del nostro origano, cioè di qualche millimetro ciascuna». Chi poteva fabbricare e decorare vasi metallici, 320 milioni d’anni or sono?

Il cuneo di Aiud

Nel 1983 il libro Enigme in galaxie, di Florin Gheorghita, fu il primo a rivelare che nella primavera 1974, nei pressi della cittadina di Aiud, in una cava di sabbia sulle sponde del fiume Mures, in Romania, furono disseppellite da 10 metri di profondità le ossa di un rinoceronte lanoso… e un ennesimo oggetto metallico inesplicabile, una specie di indefinibile cuneo molto ossidato, lungo 20,2 cm, largo 12,7 cm, alto 7 cm, con al centro un foro circolare del diametro di 4 cm, e con un foro perpendicolare più piccolo. Aveva una forma perfetta, e faceva certamente parte di un meccanismo, ma nessuno è riuscito a immaginare quale. Il mistero fu ulteriormente infittito dal fatto che l’aggeggio, pesante 2,3 kg, era quasi del tutto composto di alluminio, metallo scoperto e prodotto solo nell’800. Ci sono anche ben 11 altri diversi elementi, come cadmio, nichel, bismuto e cobalto, anch’essi scoperti nel’700-800. L’oggetto di Aiud si trova fortunatamente al sicuro nel Museo di Storia della Transilvania a Cluj-Napoca (con un altro grosso buco moderno, evidentemente nel punto in cui venne prelevato del materiale per le analisi), e pare che nel frattempo se ne siano trovati altri.

La vite di Lanzhou

Dagli archivi di Joseph R. Jochmans, un defunto studioso autore dei più approfonditi testi su questo settore, veniamo a sapere vagamente di OOPArts di gran lunga più remoti nel tempo, come «ceramiche intricatamente modellate» rinvenute in Canada nel 1899, e risalenti al Cretaceo… 70 milioni di anni fa… «microscopici filamenti tubolari di natura artificiale» scoperti in Germania nel 2008 e provenienti dal Devoniano, 400 milioni di anni or sono, nonché «micro-sculture in lega di corindone» reperite nella Baia di Hudson, Canada, nel 1872, e originarie del Proterozoico, antiche di 1,2 miliardi di anni. Jochmans menzionò anche, di sfuggita, che nel 1984, in Nepal, sarebbe stato reperito in strati del Triassico, 200-225 milioni di anni or sono, un cilindro di solido acciaio con intorno dei lucidi anelli d’ottone. Anche in questo caso non si ha la minima idea della sua origine o scopo. Recentemente, un altro minuscolo manufatto metallico è stato trovato in Cina dentro un piccolo sasso. Nessuno sa cosa sia. Jochmans la fa risalire al Miocene, 20-30 milioni di anni nel passato. Le uniche notizie sono riportate dal Lanzhou Morning News del 26 giugno 2002, secondo il quale «una pietra non comune di un collezionista di Lanzhou ha attirato enorme attenzione da molti esperti. Il sasso a forma di pera è estremamente duro e ha un misterioso colore nero. Misura circa 8 per 7 cm e pesa 466 grammi. La parte più sorprendente della pietra è il suo contenuto, una barretta metallica di 3 cm a forma conica, con la chiara filettatura di una vite. La vite di metallo era chiusa ermeticamente nel nero materiale roccioso. Inoltre, la larghezza del filetto rimane coerente alla sua impronta. Una delle ipotesi dice che questa pietra potrebbe essere una reliquia di una civiltà preistorica. Un’altra teoria è che si tratti di un meteorite, e che possa averci portato testimonianze di una civiltà extraterrestre».

Una pietra del cielo

Dato che gli esseri pre-umani avrebbero presumibilmente eretto case e grattacieli come noi, esistono anche ritrovamenti di possibili antichissimi materiali da costruzione, usati da chissà chi e chissà quando. «Negli anni ’60» scrive l’ufologo Scott Corrales, «mentre il francese Louis Pauwels stava dando i ritocchi finali al suo classico Il mattino dei maghi, il suo co-autore, Jacques Bergier, ricevette da Miguel Cahen, uno dei direttori della compagnia mineraria Magnesita S.A., un esemplare di uno strano cristallo trovato ai confini della misteriosa regione dell’interno del Brasile nota come la “terra proibita”. All’analisi, questo si rivelò un frammento di carbonato di magnesio “di straordinaria trasparenza, con proprietà molto curiose nello spettro infrarosso, e che polarizzava tali radiazioni”, specifica Pauwels nel libro L’homme éternel, del 1970. Dato che secondo i testi di mineralogia quel cristallo non sarebbe dovuto esistere, Bergier si rivolse all’Ufficio Nazionale di Ricerche Aeronautiche francese, che stabilì che “poteva solo essere di origine artificiale”. Nessun ulteriore esame fu possibile, perché nessun altro materiale simile venne localizzato». Nel 1990 il geologo e archeologo italiano Angelo Pitoni, mentre lavorava per la FAO in Africa, ha rinvenuto in Sierra Leone un particolare tipo di pietra azzurra perfettamente trasparente, con sottili venature bianche, che ha battezzato Skystone. Ironicamente, gli indigeni la chiamavano… Kryptonite! Agli esami di laboratorio è risultata anch’essa una pietra sintetica, composta dal 77% di ossigeno, 20% di carbonio, e per il resto da silicio, calcio, sodio. Sembra artificiale pure il suo colore. «Pitoni» conclude Corrales, «parla anche di caverne nella stessa zona, che contengono mummie molto antiche e sono sorvegliate con zelo dai nativi, e della loro possibile origine “atlantidea”».

I diamanti neri

Un’altra ipotesi ancor più fantastica viene presentata sempre da Joseph R. Jochmans, autore assai interessato all’idea di trovare qualche modo per ricevere testimonianze del passato direttamente dai nostri predecessori. «In Brasile e Africa centrale, si trova un particolare tipo di diamanti chiamati carbonados che sono simili alla pomice, scuri e talmente pieni di minuscole bollicine da non poter essere tagliati e levigati per ricavarne gemme. La loro conformazione generale è quanto mai diversa dagli altri tipi di diamanti che esistono al mondo, tanto che Stephen Haggerty, un geologo della Florida International University, ha concluso che i carbonados sono “totalmente incompatibili con un’origine naturale”. L’età di questi particolari diamanti è stata calcolata tra 2,6 e 3,8 miliardi d’anni fa. A causa della tettonica a placche e della deriva dei continenti, durante quel remoto periodo il Sudamerica e l’Africa erano uniti insieme, e dato che i carbonados non si trovano da nessun’altra parte che in quell’unica località, Haggerty sospetta che facessero parte di un’unica massa. E poiché non tutti i frammenti sono dello stesso colore… andando dal nero al grigio al verde al rosso… ciò è indicativo che dovevano essere racchiusi in qualche sorta di contenitori. Questi ignoti forzieri si sono completamente disfatti nel corso degli eoni, ma l’ineguale colorazione dei frammenti diamantiferi testimonia la loro passata esistenza. Forse i carbonados furono creati con uno scopo eoni fa… e se è così, è possibile che recassero dei dati nella loro matrice cristallina?».

Pavimenti… preistorici!

Altri ritrovamenti inquietanti sono quelli di antiche pavimentazioni. Lo stesso numero dello Scientific American che riferì del vaso di Dorchester raccontò che a Fairmont, Virginia, era stata scoperta «una parte d’una strada regolarmente lastricata in macadam, lungo la sponda di un fiume. La sua ampiezza è di circa 4 metri e 80, e il letto di pietre sembra spesso circa 5 centimetri. La scoperta è stata resa possibile dal dilavamento del fianco d’una collina, che copriva parzialmente la strada. Quando e da quale gente sia stata tracciata questa via è attualmente ignoto, ma è la prova dell’esistenza di una popolazione in qualche precedente era del mondo, altrettanto progredita nella civiltà, o almeno nell’arte delle costruzioni stradali, di noi stessi». Sulla fanzine Shavertron, un certo Vaughn M. Greene parlò di un possibile ingresso sotterraneo vicino al pozzo di un ascensore nella diga Hoover, presso Las Vegas. Gli addetti alla costruzione della diga scoprirono «un pavimento intarsiato con segni dello zodiaco». Il libro di Frank Edwards Strangest of All (1962) racconta che nel 1936 Tom Kenny, residente a Plateau Valley in Colorado, stava scavando una cantina quando, a tre metri dalla superficie, scoprì un pavimento di piastrelle di 12 centimetri di lato. Jochmans gli dà 20 milioni di anni, in pieno Miocene. A Blue Springs, Kentucky, degli operai scoprirono dapprima le ossa di un mastodonte a 4 metri di profondità, poi, un metro più sotto, trovarono un altro lastricato artificiale simile a una strada. Nel 1952, nella contea di Nye, in California, uno scavatore di pozzi di nome Frederick G. Hehr trovò una catena di ferro assai corrosa che sporgeva dalla parete di un burrone, in mezzo al nulla. Sotto di essa c’erano «gli indubitabili frammenti di una strada lastricata». Verdetto di Jochmans, ancora 20 milioni di anni. Il ritrovamento meglio documentato avvenne nel 1969 in Oklahoma, lungo una strada fra Edmond e Oklahoma City, e le piastrelle erano un metro sotto la superficie. Sull’Edmond Booster del 3 luglio 1969, il geologo Durwood Pate commentò: «Sono certo che sia un’opera artificiale perché le pietre sono disposte in perfette linee parallele, tutte rivolte ad est. La superficie è molto liscia. È tutto troppo ben ordinato per essere una formazione naturale». Un altro geologo di nome Delbert Smith dichiarò semplicemente al Tulsa World del 29 giugno: «È stato messo lì, ma non ho idea da chi». Jochmans lo data al Pleistocene, “appena” 200.000 anni fa.

La scrittura dei piccoli esseri

Fra i manufatti misteriosi non mancano neanche i possibili esempi di antichissima scrittura. Uno dei casi più impressionanti di una possibile antica scrittura incastonata nella roccia fu investigato personalmente da Joseph R. Jochmans. La roccia verdastra si chiama olivina, e viene estratta per scopi industriali dai picchi chiamati Two Sisters, nello stato americano di Washington. «Nel 1961, un geologo dell’University of Washington di Seattle (che preferisce rimanere anonimo) fece un’escursione nella regione e raccolse vari campioni di minerali, incluso un pezzo d’olivina poco più grande di una palla da baseball. Quando più tardi ne scrutò la superficie al microscopio, notò nella roccia qualcosa di totalmente inaspettato… la presenza di centinaia di figurine metalliche intagliate con precisione, che formavano file di simboli tridimensionali. I simboli, tutti lunghi e alti meno di un millimetro, avevano minuscole braccia piegate ad angolo retto in varie configurazioni, e si ripetevano regolarmente a indicare una scrittura di tipo alfabetico. Il geologo concluse che erano fatti di qualche sorta di cristalli ferrosi artificiali. Ma quale fosse il significato complessivo, non seppe dirlo. Una cosa di cui il geologo fu certo è che quel pezzo fosse stato rotto da una massa più grande. Le file di lettere finivano bruscamente, e dovevano essere proseguite sulla superficie della vena madre. Ma dove poter riportare alla luce la parte rimanente di quel messaggio incredibilmente antico?». Da allora, il geologo non fece altro che cercare i pezzi mancanti, ma invano. I simboli richiamano alla mente la lettera T, la L, croci, cubi. Nel 1997, ormai anziano, donò la roccia a Jochmans. «Non trovò alcun duplicato della sua scoperta originale. Il suo più grande timore era che le attività minerarie potessero star distruggendo importanti reliquie dell’ignoto passato. Oggi, mentre scrivo questo, il campione è su uno scaffale accanto al mio tavolo. Una recente perizia geologica svolta nel 2009 indica che i più antichi strati di olivina nelle fondamenta del massiccio, profonde due miglia, sarebbero vecchi almeno 4,1 miliardi di anni. Quel pezzo faceva forse parte di un affioramento di questa olivina primordiale? L’impossibilità di trovare alcuna roccia simile mostra che veniva da una fonte molto rara e molto antica. È possibile che vita intelligente… esseri tanto avanzati da aver sviluppato una forma di comunicazione scritta, e che sapevano forgiare la loro scrittura alfabetica in forme metalliche… possa essersi evoluta e aver abitato la Terra primeva, così tanto tempo fa?» La pietra alfabetica e altri ritrovamenti di micro-artefatti citati prima fanno pensare che dovettero essere opera di creature minuscole, dotate inoltre di vista “a raggi X” per percepire anche le parti nascoste dei caratteri metallici. L’oggetto potrebbe oggi trovarsi in possesso della vedova di Jochmans. La sua morte ha impedito ulteriori analisi.

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