
Dal Prāna al Prānāyāma
Sin dai tempi più remoti in India si conosceva l’importanza del respiro e della qualità della vita che da esso dipende. Negli antichi testi indiani di medicina che indagano la “scienza della vita”, ovvero nei testi dello Ayurveda, già ritroviamo degli studi sull’apparato respiratorio con delle prime considerazioni a carattere psicologico:
ad un respiro lungo e lento è associata stabilità, introspezione, salute fisica, controllo mentale; di contro, un respiro corto e veloce indica insicurezza, ansietà, scarso controllo mentale oltre che istintività e naturalmente una salute instabile; quest’analisi è ancora valida e utilizzata ai tempi moderni.
Il termine che ricorre nei testi e nella pratica è PrāĦa che può essere tradotto come: respirazione, vita, vitalità, vento, energia o forza; esso rappresenta la parte non manifesta e spirituale in contrapposizione alla parte più materiale e manifesta vale a dire il corpo umano.
L’espressione PrāĦa o Prana o è usata generalmente al plurale per indicare i cosiddetti respiri vitali. La parola Ayāma invece significa lunghezza, espansione, stiramento o controllo; mettendo insieme i due termini otteniamo PrāĦāyāma estensione del respiro e suo controllo yogico. Il controllo è reale quando è presente in ogni fase dell’atto respiratorio, nella pratica dello yoga l’inspirazione è chiamata pūraka (riempimento); l’espirazione è definita rechaka (svuotamento dei polmoni); il trattenimento del respiro, uno stato in cui non vi è inspirazione o espirazione è indicato con kumbhaka.
Nella trasposizione simbolica che ritroviamo negli antichi testi, l’atto respiratorio, assume un significato profondo: attraverso una rappresentazione simbolica gli antichi sapienti riuscivano a spiegare il funzionamento, gli organi e a trovare le soluzioni ai problemi di salute tipici del periodo. Così la fase del Kumbha è associata ad una brocca, un recipiente per l’acqua, ed ecco che il paragone con il sistema respiratorio e suo controllo è presto fatto perché il recipiente può esse svuotato dell’aria che è al suo interno e riempito completamente di acqua, oppure può essere svuotato di tutta l’acqua e riempito completamente di aria.
In modo analogo, ritroviamo due stati o tipi di kumbhaka della pratica dello Yoga : il primo è definito antara (interno o interiore) kumbhaka quando il respiro viene sospeso dopo una profonda inspirazione; il secondo è conosciuto come bahya kumbhaka (bahya significa esterno o esteriore).
Fisiologia del respiro
Il contenuto degli antichi testi indiani è al giorno d’oggi riscontrabile negli studi e nei libri di medicina di fisiologia e del funzionamento della meccanica del respiro; senza entrare nel dettaglio cercherò di sintetizzare ciò che avviene nel corpo umano.
L’apparato respiratorio è costituito da vie respiratorie superiori, laringe, faringe, trachea, bronchi e bronchioli. Ognuno dei due bronchi volge verso il polmone corrispondente dove si ramifica negli alveoli.
La funzione dell’apparato respiratorio è prevalentemente quella di fornire ossigeno ai tessuti ed eliminare anidride carbonica prodotta dagli stessi; a livello degli alveoli polmonari avviene un continuo rinnovo dell’aria chiamato ventilazione polmonare. Ogni alveolo è fortemente vascolarizzato da una forte rete di capillari, la membrana che separa l’aria dell’alveolo dal sangue del capillare è molto sottile, in questo modo l’ossigeno si può diffondere con molta facilità e altrettanto facilmente può uscirne l’anidride carbonica.
I polmoni fondamentalmente assicurano gli scambi tra sangue e aria permettendo l’ingresso dell’ossigeno e l’anidride carbonica. Il naso che fa parte delle vie respiratorie alte prepara l’ingresso dell’aria riscaldandola, umidificandola e depurandola.
I muscoli inspiratori sono principalmente il diaframma, gli intercostali esterni e i numerosi muscoli del collo, essi determinano aumento del volume della gabbia toracica in due modi: il primo tramite il movimento verso il basso del diaframma che trascina con sé la cavità pleurica determinandone così un allungamento, il secondo i muscoli intercostali e del collo sollevano la parte anteriore della gabbia toracica e aumentando la larghezza della gabbia toracica. I principali muscoli espiratori sono gli addominali accompagnati dagli intercostali interni.
Nella pratica dello Yoga secondo il metodo Maharishi Sathyananda il termine assume un significato nuovo, diventa un insieme di tecniche – una metodologia – meditativa e non solo, avente come scopo il “controllare”, “governare” i “sensi” divenendo Kriya Yoga o Shastra Kriya: «Nessun esoterismo» quindi, come da sempre afferma il Maestro fondatore del metodo Maharishi Sathyananda, il quale prosegue: «La meditazione serve a coltivare una corretta centralizzazione su se stessi, finalizzata a poter vivere appieno il proprio ruolo sociale» .
Attraverso una o più determinate azioni si raggiunge “l’unione” dove per azione possiamo intendere quindi tutto ciò che riguarda l’allenamento, le sequenze di asana, i kata delle arti marziali e nello specifico del Metodo M.S. kata di Aijutsu e Taijutsu. «Mediante i diversi metodi di centralizzazione si raggiunge un livello tale di coordinazione mente-corpo capace di sprigionare una forma energetica molto più intensa di quella prodotta dal solo sistema muscolare; trascesi i livelli di emotività la paura è annientata».
Il nostro respiro è strettamente legato alle nostre emozioni: la paura, lo stress, l’ansia rendono il nostro respiro instabile e troppo veloce. Un respiro troppo veloce non permette una corretta ossigenazione del cervello, le emozioni in questo caso la fanno da padrone e dunque il lato istintivo avrà il sopravvento su tutto il funzionamento della macchina umana.
Per contro quando si interviene sul controllo del respiro si avverte quasi subito un miglior rapporto con l’ambiente esterno. Il respiro può quindi essere allenato in modo gradualmente a seconda delle proprie capacità e/o limitazioni fisiche, dunque l’utilizzo del Pranayama può essere considerato un vero e proprio allenamento per aumentare le capacità respiratorie con conseguente risposta a livello fisiologico. «Il respiro ci conduce, non c’è forzatura».
Il percorso di pratica del metodo ha un approccio scientifico e pratico basato sulla conoscenza di precise nozioni di anatomia e fisiologia del corpo umano, frutto di un lavoro sinergico costante tra Maestro, Medici, Specialisti, insegnanti e collaboratori; il Maestro fornisce il necessario sostegno allo studio e continuo aggiornamento del metodo garantendo un alto livello di competenza di tutti i suoi collaboratori.
Questa sinergia permette di creare una preparazione atletica in continua evoluzione che, avvalendosi di specifici esercizi isotonici e isometrici, basati su studi di anatomia, fisiologia e biomeccanica, conducono il praticante all’incontro e mantenimento delle posture (Asana) e allo studio delle tecniche di respirazione (Pranayama).
L’allievo acquisisce una straordinaria consapevolezza del proprio corpo portandolo così gradualmente ad una insospettata capacità di concentrazione, fondamentale per la pratica del Kriya Yoga. Noi insegnanti del metodo Maharishi Sathyananda siamo tenuti alla costante ricerca e studio sul corpo dell’anatomia, fisiologia e neurologia per offrire un valido supporto all’allievo, oltreché comprendere e trasferire ai praticanti gli aspetti storico-culturali e filosofici degli antichi testi, tutto questo fa parte del nostro bagaglio di pratica un vero e proprio studio continuo verso il miglioramento del sé per un benessere collettivo maggiore.
Pranayama riferimenti nei Testi antichi
Il concetto di PrāĦa ricorre in numerosi testi dell’antica tradizione indiana, le Aranyaka come le Upanishad, costituiscono il commento filosofico alle Samhita e alle Brahmana dei Veda, espandono il profondo significato simbolico dei rituali difficilmente comprensibili con una lettura superficiale, per questo vengono chiamate anche “rahasya brahmana”, o le Brahmana dei segreti.
L’Aitareya Aranyaka, che è la più consistente tra i testi sopravvissuti, consiste di cinque capitoli, di cui il primo parla del maha vrata e il secondo della prana vidya (“scienza del prana”).
Appartenenti all’ultima fase del periodo vedico, le Upaniṣad sono un insieme di testi filosofico-religiosi trasmessi in forma orale e solo in epoca più tarda in forma scritta. Letteralmente indicano il “sedere accanto o vicino” ad un maestro, per poter conoscere e poi divulgare ai pochi eletti ciò che si è appreso con l’ascolto degli insegnamenti così impartiti. Ancora oggi il Maestro fondatore del Metodo Maharishi Sathyananda impartisce gli insegnamenti delle Arti Marziali (Yoga e Ai-Jutsu) tramite trasmissione orale, anticamente definito da bocca (del Maestro) ad orecchio (allievo) preservando così l’autenticità e la tipicità dell’insegnamento delle arti marziali orientali.
Nella Svetasvatara Upaniṣad ritroviamo il riferimento alla pratica della meditazione con il termine dhyāna e al controllo della respirazione e del Prana; così come nella Maitri Upanishad, collegata al Kṛṣṇa Yajurveda, contiene la più antica suddivisione dello Yoga in “anga”: prāṇāyāma (controllo della respirazione); pratyāhāra (ritrazione dei sensi); dhyāna (meditazione); dhāraṇā (“connessione profonda”); tarka (“pensiero”, “ragionamento”); samādhi (“estasi”). Questa suddivisione verrà poi ripresa in epoca più tarda da Patanjali negli Yoga Sutra.
Tra le Upanishad, particolare rilievo assume la Chandogya Upanishad, nella quale viene illustrata la meditazione sul suono e sul prana e sulla loro identità con il Sole, che è “svara e pratyasvara” (“va e viene”, cioè ha un senso ciclico) spiega poi il significato simbolico delle sillabe nelle definizioni vediche, il potere del prana e del suono, e dell’elemento sottile conosciuto come akasha (“spazio eterico”) e che sorregge entrambi.
Nella Kena Upanishad, il Prana è una manifestazione del Brahman percepita inizialmente come Fuoco (Agni, colui dal quale nasce la Conoscenza), come Aria (Vayu, o Prana) e come Indra (il principio attivo maschile detto Purusha).
La meditazione (dhyana), l’austerità (pratyahara), i rituali (yajna e sadhana) sono i suoi piedi, la conoscenza (veda) è in tutte le sue membra e la verità (satyam) è la sua dimora. Nei versi della Brihad Aranyaka Upanishad inizialmente si spiega il significato del sacrificio vedico e afferma che Vac (la parola creatrice, il Logos) è l’origine dell’universo. Introduce il Dharma o la legge naturale etica , i quattro varna ovvero le categorie sociali e la natura del prana energia vitale. La Prasna Upanishad composta da sei capitoli, ciascuno contenente una domanda (prasna) rivolta al Rishi da uno dei suoi discepoli: Sukesha, Satyakama, Gargya, Kousalya, Bhargava e Kabandhi.
La terza domanda fu posta da Kousalya: “Da dove ha origine questo prana, come entra nel corpo, come vi risiede, come lo lascia, e come sostiene gli elementi fisici?”
“Il prana nasce dall’Atman come l’ombra è generata dall’oggetto reale che la proietta. Come un re che istruisce i suoi funzionari, l’Atman dirige le manifestazioni secondarie del prana-Apana, Prana, Samana, Vyana e Udana. Chi conosce il prana diventa immortale”. Nella Mundaka Upanishad “La Conoscenza fa espandere il Brahman e da esso nasce il nutrimento (mahat tattva), dal nutrimento nasce il prana vitale (hiranyagarbha), da questo la mente cosmica, da questa i cinque elementi, da questi i mondi, e da essi l’immortalità che risiede nei doveri prescritti” (1.1.7-8).
La Maitri, Maitrayani o Maitrayaniya Upanishad è costituita da 7 brevi prapathaka ovvero sezioni di prosa), inizia con la conversazione tra il re Brihadratha in ritiro nella foresta e Sakayana Rishi, che gli illustra gli insegnamenti di Maitreya. Si parla della natura effimera del corpo, dei cinque prana, della rinascita e dei tre guna.
Sin dai tempi più antichi, il Pranayama è una scienza del respiro, il punto centrale attorno al quale gira la ruota della vita. Nella Hatha Yoga Pradipika viene fatta una similitudine molto interessante e chiarificatrice: “Come i leoni, gli elefanti e le tigri vengono domati molto lentamente e con cautela, così il Prana dovrebbe essere portato sotto controllo gradualmente e lentamente secondo le proprie capacità e limitazioni fisiche”.
Il raggiungimento della completa fusione tra Prana e Manas (mente) realizzando così l’intento dello Yoga avviene tramite le tecniche del Pranayama.