
DARWIN SI SPOSÒ CON LA LISTA DEI PRO E DEI CONTRO
Il celebre scienziato era razionale anche negli affetti. Stilò un elenco di vantaggi e svantaggi del matrimonio prima di portare all’altare la donna che lo rese dieci volte papà
Era pur sempre destinato a diventare uno dei più grandi scienziati di tutti tempi. Per questo non dovrebbe stupirci il fatto che, davanti al meno scientifico dei dilemmi esistenziali, il 7 aprile 1838, a 27 anni, Charles Darwin abbia optato per un approccio razionalistico: compilare una lista a due colonne con in cima la seguente dicitura, “Sposarsi o non sposarsi, questo è il problema”. A favore del celibato considera libertà di viaggiare, disponibilità di tempo e risorse, assenza di obblighi. Pro nozze cita invece la compagnia di qualcuno «da amare e con cui divertirsi; comunque sia, meglio di un cane». Alla fine, il futuro padre dell’evoluzionismo decide che non passerà tutto il tempo «lavorando, lavorando e nient’altro come un’ape operaia». Al piede del foglio scrive: «Sposarsi, sposarsi, sposarsi».
Ci sono tanti “schiavi felici”
L’aneddoto è uno dei tanti che leggiamo per il famoso scienziato in una biografia bella dedicato a Emma Wedgwood Darwin, la donna sulla quale cade la scelta del giovane Charles, poco dopo la stesura delle sue Note sul matrimonio. Che scrive: «Come riuscire a sbrigare tutte le mie faccende se fossi obbligato ad andare ogni giorno a passeggio con mia moglie…, non potrei mai imparare il francese, non andrei in America: un vero schiavo… E poi l’orrida povertà (senza moglie stai meglio di un angelo e i soldi non mancano). Non importa ragazzo mio. Non si può vivere tutta la vita in solitudine, rimbambiti dall’età, senza amici e senza affetti e senza figli, a guardarsi invecchiare allo specchio… Guardati attorno… Ci sono tanti schiavi felici».
A 27 anni, Charles Darwin ha già costruito solide basi per il personaggio che sarebbe diventato: dal 27 dicembre 1831 al 2 ottobre 1836 ha fatto il giro del mondo sul brigantino Beagle e concepito il nucleo delle sue rivoluzionarie tesi scientifiche. Ci vorrà ancora oltre un ventennio di studi perché si decida a pubblicarle (2 novembre 1859). Non solo: i cinque anni passati in compagnia del comandante Robert Fitzroy viaggiando dall’Inghilterra al Sudamerica, Australia e Sudafrica, hanno segnato la sua salute e inoculato una serie di malanni che si trascinerà cronicamente. Appesantiranno non poco la sua vita e quella di sua moglie.
Ma Emma Wedgwood, sua futura sposa, non è tipo da scoraggiarsi facilmente: avrà dieci figli in 17 anni (tre dei quali moriranno in tenera età), un marito perennemente concentrato sulle sue ricerche e spesso teso al punto di soffrire di svariati disturbi psicosomatici e una casa invasa di reperti, più somigliante a un museo di storia naturale che a una residenza. Prima cugina di Charles, sua compagna di giochi nell’infanzia e di conversazioni in gioventù, erede di una dinastia, quella dei Wedgwood, appartenente all’ottima borghesia britannica (è loro l’industria di ceramica omonima, a oggi una delle più famose del mondo), ha il bene di una famiglia affettuosa e di un’educazione liberale. Colta, sicura di sé, abituata a pensare con la propria testa e a esprimersi liberamente, sensibile e di cuore, intelligente e aperta alle novità, snobba gli scialbi pretendenti precedenti e diventa tutto per Charles a partire dal giorno in cui lo accetta come marito: la richiesta di nozze viene avanzata nella biblioteca di casa Wedgwood. È l’11 novembre 1838 e lui, sorpreso ed emozionato, scrive sul suo diario: «Il più bello dei giorni».
Scene da un matrimonio
Il sodalizio dura dal 29 gennaio 1839, data del matrimonio, fino alla morte di lui, il 19 aprile 1882. Lei, maggiore di un anno, gli sopravvive fino al 1896. Sbaglieremmo a pensare che, assorbito dalla scienza, Charles non sia capace d’amore. Spesso sofferente, ma almeno conscio di essere un peso (nel 1845, a 36 anni, si definisce “un vecchio marito malato e lamentoso”), non trascura occasione per dimostrarle i suoi sentimenti e il suo attaccamento: «Credo che tu mi renderai più umano», le scrive nel breve fidanzamento, «e presto mi insegnerai che c’è una gioia più grande che costruire teorie e accumulare fatti in silenzio e solitudine». Oppure: «Siamo uniti dall’amore più sincero e da una calda gratitudine perché (lei) ha accettato uno come me… A fatica speravo che una tale fortuna potesse capitarmi».
E infine: «Sono così egoista che per averti mia vorrei averti sempre più esclusivamente e sento che non c’è da fidarsi di me». Anime assonanti nonostante le profonde differenze che li contraddistinguono, per esempio in materia di religione, i coniugi Darwin sono piuttosto anticonformisti, dettaglio che contribuisce a unirli. Lo dimostrano già il giorno dello sposalizio, in cui non c’è nessuna grande festa e nessun pranzo ma solo «panini mangiati in treno con i cuori gonfi di gratitudine e una bottiglia d’acqua»; nella scelta della loro prima casa, un cottage decorato a colori sgargianti che a Charles ricordano i piumaggi degli uccelli tropicali e per questo soprannominato Cottage Macao; nella preferenza per le dolci campagne del Kent rispetto alla più mondana Londra, nella trasformazione delle serre e dell’orto in laboratori scientifici, nella libertà assoluta che lasciano ai figli di scorrazzare liberamente in casa, in giardino e nei boschi per esplorare a loro piacimento e soddisfare ogni curiosità, nell’apertura della loro residenza ai bisognosi e agli spiriti più eletti della cultura contemporanea: scienziati, letterati e artisti.
Entrambi amanti degli animali, Charles si affeziona moltissimo a un piccolo fox terrier di nome Polly e al suo cavallo Tommy, che monta quotidianamente a mezzogiorno; Emma invece è gatto-fila come sua figlia Henrietta.
Lacrime e baci
Più di tutto, Emma, fervente religiosa appartenente alla chiesa unitaria, dimostra la propria autonomia di giudizio sostenendo Charles nella ricerca della sua verità. Una verità che, come si sa, procede in senso inverso rispetto a Dio. A Emma, infatti, Charles affida la sua più celebre opera, L’origine delle specie, quando ancora è in forma di appunti: lei la legge per prima e vi dissemina le sue acute note a margine. In caso di morte del marito, deve curarne la pubblicazione.
Ma dove è nascosta, in pieno Ottocento, la chiave della tolleranza di cui questa donna dà prova, in una epoca bigotta come quella Vittoriana dove i senza Dio e gli scettici sono guardati con sospetto e messi al bando? Nell’amore. E non si potrebbe dirlo meglio degli stessi protagonisti. Emma scrive a Charles: «Sento che finché tu agisci con coscienza e cerchi con desiderio sincero di trovare la verità, non puoi essere nell’errore… Ma quello che riguarda te riguarda anche me e sarei davvero infelice se pensassi che tu e io non potremo appartenerci per l’eternità». Lui risponde: «Quando sarò morto, sappi che molte volte ho baciato e pianto su questa tua lettera». Il foglio, sgualcito dal tempo e dalle molte ripiegature, rimane nel taschino di Charles tutta la vita. È stato esposto alla grande mostra che Londra gli ha dedicato nel 2009 per celebrare il bicentenario della sua nascita.