
È CAMBIATO? SI, MA IL SENSO DEL PUDORE RESISTE
In una società esibizionista come quella attuale, si ridimensiona ma non tramonta questo sentimento che protegge la nostra intimità. È meno sviluppato in chi ha una buona autostima, mentre può diventare eccessivo in chi ne manca, generando disagio personale e di coppia
Londra, a bordo di un autobus: una coppia, in pieno giorno, sta facendo sesso su un sedile in mezzo ai passeggeri allibiti. Questa scena di ordinaria follia è stata immortalata da un video, diventato virale a gennaio. Non sappiamo se i protagonisti fossero ubriachi o sotto l’effetto di stupefacenti, ma certamente una situazione di questo genere fa scalpore persino in una società senza quasi più tabù come la nostra. Il pudore verso ciò che è normalmente privato e intimo, infatti, resiste ancora: la maggior parte di noi non farebbe mai sesso nel bel mezzo di un autobus per il semplice senso di imbarazzo e vergogna, prima ancora che per non infrangere la legge. Il pudore è una sorta di protezione psicologica volta a difendere se stessi.
Il valore della nudità
Questa emozione però non riguarda solo la sessualità: anche la sola esposizione della nostra nudità, che generalmente concediamo solo a chi ci è più intimo, è oggetto di pudore. Il motivo? Ha comunque in qualche modo a che fare con l’erotismo, spiegano gli studiosi. L’antropologo e zoologo inglese Desmond Morris, celebre per il suo trattato sul comportamento umano La scimmia nuda, spiega: «Negli altri animali i genitali sono in genere nascosti, poco visibili. E così era anche nell’uomo, fino a quando non adottò la posizione eretta. Da allora i suoi genitali divennero visibili. Così fu impossibile avvicinare un altro individuo senza fare una “dichiarazione” di identità sessuale. Per mitigare la forza di questi segnali l’uomo incominciò a coprirsi con un perizoma». In pratica l’uomo iniziò a vestirsi per ridurre l’intensità dell’esibizione sessuale, ma così facendo gettò le basi per creare qualcosa di nuovo: da un lato il pudore, dall’altro l’erotismo. Coprendosi, infatti, la carica erotica cresceva quando il perizoma veniva tolto.
Questione di contesto
Naturalmente contesti diversi possono accentuare o ridimensionare il nostro senso del pudore: se infatti non ci mostreremmo mai senza vestiti davanti a sconosciuti per strada, nello spogliatoio della palestra il tabù viene meno perché la nudità in quell’ambito è culturalmente accettata. Non solo: come testimonia il video inglese, le differenze sono anche individuali. Per il sociologo tedesco Georg Simmel il grado di intimità che intendiamo condividere dipende dalla fiducia verso l’altro. «L’intimità è possibile quando siamo disposti a svelare agli altri aspetti della percezione che abbiamo di noi stessi», ha spiegato in un’intervista Marita Rampazi, sociologa all’Università di Pavia. Il senso del pudore è legato infatti anche all’autostima: Chi possiede una maggiore stima di se stesso è più propenso a non sperimentare pudore. Al contrario, bassa autostima, gravi traumi, maltrattamenti e abusi potrebbero portare a manifestazioni di pudore di maggiore intensità.
Nasce a 4 anni di età
Molto dipende infatti da come siamo cresciuti: «Il pudore si sviluppa nel momento in cui cominciano i confronti sociali, attorno ai 4 o 5 anni», prosegue la psicoterapeuta, «e si intensifica con la pubertà». Prima infatti il bambino non ha tabù ed è anzi tendenzialmente sfacciato: «È sempre pronto a esibire il suo corpo, di cui è orgoglioso», ha detto in un’intervista il pediatra Gianfranco Trapani, coautore di Sessualità e amore. Come rispondere alle domande imbarazzanti dei vostri bambini (Giunti) insieme a Stefania Piloni. Il pudore emerge quando il bimbo studia l’atteggiamento dei grandi nella loro sfera di intimità e, quindi, imitandoli adotta le stesse strategie. Certo è che da adolescenti il tema si fa ancora più delicato: crescendo infatti alcuni ragazzi mostrano talvolta un eccesso di pudore che sfocia nella vergogna per il proprio corpo. Come hanno scritto gli psicoterapeuti Loredana Cirillo e Matteo Lancini in un articolo su Psicologia contemporanea, «il Sé adolescente, per sua natura ancora fragile e in via di definizione, è estremamente vulnerabile al sentimento della vergogna, in balia delle oscillazioni che la propria immagine può avere agli occhi degli altri». Questo vale in particolare per i ragazzi con una personalità fortemente narcisista e quindi immatura: secondo uno studio del 2008 condotto all’Università del Michigan (Usa) e pubblicato su Child Development, i ragazzi con minore autostima tendono infatti a reagire in modo più aggressivo quando provano vergogna: «Le situazioni fonte di vergogna costituiscono una minaccia all’io dei soggetti narcisisti e l’aggressività tende quindi a essere una forma di difesa», ha spiegato Brad J. Bushman, coautore di questa ricerca condotta sulla base di questionari e test somministrati a più di 160 ragazzini. I genitori dovrebbero quindi fare attenzione a non instillare nei giovanissimi un eccessivo senso del pudore o della vergogna connessi al corpo: potrebbero essere causa di disagio nella vita adulta e di coppia.
Esternare la vergogna fa bene
Certo esiste un confine tra un pudore fisiologico e la vergogna patologica: Il pudore deriva dalla volontà di non volersi mostrare allo sguardo altrui e riguarda il normale senso di intimità legato al proprio corpo, alla percezione di un confine che non deve essere violato. Al contrario è patologica una vergogna per la nostra nudità che nasce in seguito alla valutazione dell’inadeguatezza fisica rispetto alle nostre stesse aspettative. In questo secondo caso può essere utile un percorso psicoterapico: troppo spesso, specie nei più giovani, questa forma di disagio non viene esternata e condivisa con gli altri, accentuandone così l’impatto psicologico. Secondo Thomas Scheff, docente emerito di sociologia alla University of California (Usa), una società individualista come la nostra spinge infatti le persone, specie i più giovani, a provare vergogna per via di un confronto costante con modelli spesso inarrivabili. «Tuttavia questa stessa società ci incoraggia anche a bastarci da soli e a mostrarci indipendenti», ha spiegato lui alcuni anni fa in un articolo sul tema uscito su Cultural Sociology. Così facendo però ci spinge paradossalmente anche a vergognarci della nostra stessa vergogna, generando una sorta di circolo vizioso da cui occorre uscire.