
E TU QUANTO SEI SCARAMANTICO?
Siamo superstiziosi per darci coraggio, per sentirci più sicuri e perché così il cervello funziona di più. Per gli scienziati essere scaramantici fa vivere meglio
Fate le corna in attesa di un verdetto, tenete in tasca un cornetto rosso, usate amuleti e quando sentite parlare di disgrazie toccate ferro? Fate bene: secondo un recente studio, i riti scaramantici funzionano. In cinque diversi esperimenti condotti presso la Booth School of Business dell’Università di Chicago (Usa), è stato chiesto a dei volontari di tentare la fortuna in alcuni giochi dopo aver compiuto azioni scaramantiche come toccare ferro, oppure non scaramantiche come ad esempio lanciare una palla. Risultato? Chi aveva compiuto il gesto propiziatorio era meno preoccupato se la prova andava male, e già questo è un primo effetto benefico della scaramanzia. Ma non solo: gli scaramantici che avevano perso la sfida mostravano in seguito di aver dimenticato la propria malasorte e di non aver perso la sicurezza in se stessi.
Memoria selettiva
«La nostra ricerca», spiega Jane Risen, autrice dello studio, «suggerisce che la scaramanzia riduca l’aspettativa di eventi negativi e ci aiuti a superarli quando capitano». Secondo lo studio, il gesto scaramantico svolge al meglio la propria funzione quando simboleggia l’allontanamento delle iatture: i soggetti più fortunati erano, infatti, quelli che compivano azioni come sputare a terra o gettare del sale lontano da sé. «Molto di ciò che ci accade nella vita è imprevedibile e i riti scaramantici sono un tentativo di controllarla», spiega Silvano Fuso del Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze. «I superstiziosi credono che ci sia un rapporto di causa-effetto tra i loro gesti e gli eventi che accadono loro». Una relazione che non esiste ma di cui ci convinciamo con il meccanismo della memoria selettiva: «Basta che la coincidenza si verifichi una volta per avvalorare la tesi della superstizione, mentre ci scordiamo di tutte le volte in cui questo non si è veri ficato», gli fa eco Massimo Polidoro, giornalista e cofondatore del Cicap. Credulità popolare Noi italiani continuiamo a crederci, soprattutto in un periodo di incertezza economica e sociale come questo: secondo Eurobarometro, il servizio di sondaggi della Commissione europea, il 58 per cento dei nostri connazionali si sente attratto da “idee irrazionali e superstiziose” contro il 40 della media europea. Vince la Lettonia con il 60 per cento, seguita dalla Repubblica Ceca con il 59. «Nei periodi di crisi l’irrazionale trova terreno fertile e davanti alle diffi- coltà cerchiamo un colpevole su cui scaricare la responsabilità di quanto ci accade», spiega Polidoro. Oggi alla superstizione tradizionale si affiancano fenomeni di misticismo alternativi come le forme di spiritualità new age, oppure gli oroscopi: «Proliferano forme di credenze semplicistiche, a volte commerciali», spiega Enrico Comba, antropologo dell’Università di Torino, «che non sono sempre un sintomo di crisi sociale, ma una ricerca di spiritualità non troppo impegnativa».
Causa-effetto
Inoltre la scaramanzia ci dà sicurezza. Nel 2012 il New York Times ha pubblicato un intervento dello psicologo Matthew Hutson, autore di The 7 laws of magical thinking (“Le sette leggi del pensiero magico”), dal titolo “In difesa della superstizione”. Hutson spiega che credere nella scaramanzia è inevitabile: «L’evoluzione ci ha spinti a vedere legami di causa-effetto ovunque». Per illustrare questo concetto il biologo
inglese Lewis Wolpert ha ecentemente spiegato che le origini delle credenze nel sovrannaturale vanno ricercate proprio nella passione umana per le spiegazioni causali. Quando i nostri progenitori impararono a costruirsi utensili, capirono che a ogni azione esercitata su di essi corrisponde un effetto: se affilo una roccia, questa diventa tagliente e utile per cacciare. Ciò ci avrebbe abituati a pensare che ogni nostra azione ha una diretta conseguenza sulla realtà, anche quando la prova dei fatti è lì a smentirci. «Siamo animali sociali», aggiunge Hutson, «e questo rafforza la credenza secondo cui dietro ai fatti ci debba sempre essere un’intelligenza come la nostra a controllarli». Per questo quando si rompe il computer gli urliamo contro come fosse una persona vera, oppure crediamo che toccando ferro il nostro esame possa andare bene.
Il senso della vita
Benché irrazionali, queste forme di pensiero hanno effetti benefici sulla nostra mente. Spiega Hutson: «I rituali ci rendono più fiduciosi e meno ansiosi. È quanto è capitato a un gruppo di golfisti ai quali durante un esperimento fu detto che le palline con cui giocavano erano fortunate: convincendosene, avevano totalizzato un 35 per cento di vittorie in più». Il pensiero magico, infatti, dà un senso alle nostre vite e ci fa credere che le cose non capitino per caso: «Quando pensiamo che gli eventi siano dovuti a un destino che tiene alla nostra sorte ci sentiamo speciali e fortunati». Lo conferma anche lo psicanalista Roberto Pani, docente di psicologia clinica all’Università di Bologna: «Si tratta dello stesso meccanismo che può svolgere la fede, rasserenandoci attraverso la preghiera».
Anche il “buongiorno” è una scaramanzia
La superstizione non conosce distinzioni di razza, età, confini e condizioni culturali ed è presente in ognuno di noi: «Quando diciamo a qualcuno “buongiorno” o “in bocca al lupo”», spiega Fuso, «stiamo usando scaramanzie diventate oramai forme di cortesia». Così, diversamente da ciò che si pensa, chi è superstizioso non è insicuro, anche se l’insicurezza può incrementarne la tendenza: «Già negli Anni ‘20 l’antropologo polacco Bronisław Malinowski notava come il bisogno di ritualità si manifesti soprattutto nel corso di quelle attività che hanno un alto grado di casualità rispetto al risultato», aggiunge Comba. «Il lavoratore dipendente, infatti non ha bisogno di riti o scongiuri perché arrivi lo stipendio a fine mese, mentre il libero professionista o chi ha un lavoro temporaneo potrebbe essere tentato di ricorrervi».
Non è vero ma ci credo
Discorso analogo per gli atleti che prima di una gara vengono spesso immortalati mentre si dedicano a piccoli e grandi rituali scaramantici: «Nonostante l’impegno, i risultati sportivi hanno sempre un’inevitabile aleatorietà», aggiunge Fuso. «E lo stesso vale per chi gioca d’azzardo». Le energie necessarie alla superstizione sono così poche che si preferisce cedere al gesto propiziatorio, seguendo il detto “non è vero ma ci credo”. Un po’ quello che devono aver pensato gli scaramantici a gennaio 2012, quando la nave Costa Concordia affondò al largo delle coste toscane. Secondo i superstiziosi, fu una tragedia annunciata visto che durante il varo la tradizionale bottiglia di champagne non si era rotta: segno per i superstiziosi che la nave avrebbe fatto una brutta fine.
Quei riti anti-iella che ripetiamo sempre
La superstizione si basa spesso sulla ripetizione di azioni sempre uguali, come gli scongiuri: tendiamo infatti a reiterare comportamenti che ci hanno portato fortuna quando li abbiamo fatti la prima volta, come ad esempio indossare un certo capo d’abbigliamento prima di un esame. È il meccanismo della coazione a ripetere, cioè la tendenza a ripetere comportamenti (anche se talvolta dannosi) identificata già da Sigmund Freud come una delle dinamiche più tipiche della nostra mente: «Una spinta a ripristinare uno stato precedente», la definiva, «al quale l’essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l’in”usso di forze provenienti dall’esterno».
VENERDÌ 17: in Italia porta male, ma in altri Paesi è un numero come un altro
In numeri romani 17 si scrive XVII che anagrammato (ossia cambiando la disposizione delle lettere) diventa “VIXI” che in latino significa “vissi” e, dunque, “sono morto”. Per questo, nella nostra cultura, si pensa che il 17 porti sfortuna, al punto che in molti hotel manca la camera 17 e quando la Renault produsse il modello d’auto R17 lo lanciò in Italia come R177. Così venerdì 17 è temuto perché unisce questo significato alla passione e morte di Cristo avvenute di venerdì. Forse per sfatare questa credenza ogni anno, in occasione di un venerdì 17, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap) organizza la Giornata antisuperstizione dove tra incontri, conferenze e dibattiti, le antiche credenze vengono sfatate e sdrammatizzate. Se da noi porta male il 17, nel mondo anglosassone è il 13 (da noi porta bene, forse per via del Totocalcio) a essere di malaugurio, tanto che spesso nei locali britannici il tavolo 13 è sostituito dal 12 bis. In Germania il numero fortunato è il 4 al contrario di Cina, Giappone e Corea dove la sua pronuncia è simile a quella della parola “morte”. In Oriente è fortunato l’8 mentre nel mondo anglosassone lo è il 7 (si riferisce ai giorni della creazione). In Spagna e in altri Paesi di lingua spagnola, infine, il numero fortunato è sempre e solo il 15.
E qualcuno crede anche al malocchio
Come uno strumento, la superstizione può essere usata bene o male. «Chi è troppo superstizioso molto spesso finisce col rovinarsi la vita con le sue stesse mani», spiega Silvano Fuso del Cicap. È l’effetto boomerang: «Chi crede, ad esempio, di essere stato colpito dal malocchio ha la tendenza a interpretare negativamente ciò che gli accade, amplificandone gli aspetti sfavorevoli e minimizzando invece quelli positivi». Secondo lo psicologo americano Matthew Hutson, la scaramanzia è quindi irrazionale, ma può essere usata razionalmente per beneficiarne: «Se avete bisogno di sicurezza in voi stessi prima di un colloquio di lavoro», avverte, «comportatevi come se foste fortunati. Se rompete uno specchio e vi sentite sfortunati, inventatevi un rituale per controbilanciare». Anche se sappiamo che si tratta di una fantasia, questo ci aiuterà a trovare quella confidenza in noi stessi che ci manca.
Gli animali sono superstiziosi?
In un certo senso, sì. Tentò di appurarlo Burrhus Skinner, psicologo americano del secolo scorso, con un noto esperimento pubblicato sul Journal of Experimental Psychology. Skinner mise un piccione in una gabbia provvista di un distributore che erogava mangime a intervalli casuali. Molto presto notò che l’animale ripeteva insistentemente l’ultimo movimento che aveva compiuto appena prima di ricevere il cibo, ovvero girava su se stesso e allungava il collo. In pratica, il piccione assumeva un comportamento “superstizioso” basato su una falsa correlazione che in psicologia prende il nome di condizionamento operante: si illudeva, cioè, che vi fosse un legame fra i suoi movimenti e l’evento desiderato di ricevere cibo.
I ROMANI SONO STATI I PIÙ SCARAMANTICI DELLA STORIA…
Giulio Cesare prima di salire su un carro ripeteva uno scongiuro tre volte
Gli antichi Romani erano assai superstiziosi e qualche storico li ha definiti “il popolo più superstizioso dell’intera storia umana”. Vero o no, è certo che per scongiurare mali e disgrazie o per “invitare” la fortuna, i Romani si circondavano di amuleti e monili apotropaici (capaci di allontanare la malasorte), pronunciavano scongiuri e facevano numerosi gesti scaramantici come toccarsi i propri genitali. Erano segni di sfortuna o cattivo augurio rovesciare a tavola olio e acqua, trovare un sacco di farina rosicchiato da un topo, incontrare per strada muli con un carico di ipposelino (la pianta che ornava i sepolcri), rompere uno specchio o trovare nell’ingresso di casa un cane randagio nero. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia (XXVIII 16), narra che Giulio Cesare, dopo che era caduto da un carro durante una celebrazione, prima di salirvi ripeteva sempre uno scongiuro per ben tre volte: non voleva rischiare di cadere una seconda voltafi
Elisabetta I d’Inghilterra era convinta che i gatti portassero sfortuna
Superstizioni e credenze irrazionali erano diffusissime nell’Inghilterra dell’epoca e anche l’ultima regina della dinastia Tudor credeva agli oroscopi e consultava gli astrologi. A corte il più importante si chiamava John Dee. Quando a Londra fu trovata una bambola con le fattezze della regina trafitta da alcuni spilloni, Elisabetta si rivolse a Dee perché neutralizzasse il malocchio. Come i suoi contemporanei, la regina credeva che rimestare le pentole in senso antiorario, incontrare un gatto di qualsiasi colore e lasciare le porte aperte dietro di sé portassero sfortuna, mentre all’atto di sputare sul fuoco dava un valore positivo e di buon augurio. Per allontanare il rischio della peste la sovrana si riempiva le tasche di fiori.
La maggior nemica della superstizione è la Chiesa, come ricorda papa Francesco
Non sarà certo la superstizione a salvarci, ha detto papa Bergoglio in un’omelia pronunciata a Roma nell’aprile del 2013: «Molti per risolvere i loro problemi ricorrono ai maghi o ai tarocchi, ma solo Gesù salva». La posizione della Chiesa Cattolica contro la superstizione è oggi molto netta; nel Catechismo Ufficiale, si legge: «La superstizione rappresenta, in qualche modo, un eccesso perverso della religione: è la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che esso impone» (III, 2110-2111). Un’atteggiamento superstizioso, infatti, si nasconde spesso sotto il culto che rendiamo al vero Dio: siamo superstiziosi, per esempio, quando attribuiamo un’efficacia “magica” a certe preghiere o pensiamo che l’atto di accendere due ceri in chiesa con la mano destra o tre con la sinistra ci protegga dalla malasorte. «Attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella superstizione», avverte il Catechismo.
… E RE, IMPERATORI E REGINE SI SONO SPESSO RIFUGIATI NELLA SCARAMANZIA
Napoleone aveva come amuleto uno scarabeo
Intelligente, colto e razionale, Napoleone (1769-1821) era sensibile a quelli che reputava i piccoli e grandi “segni” del proprio destino, come molti uomini convinti di essere stati scelti dalla provvidenza per un ruolo di primo piano e perciò nati sotto una “buona stella”. Sappiamo che dopo la campagna d’Egitto portò sempre con sé un antico scarabeo, un kheperer, l’amuleto che secondo i faraoni garantiva la felicità e scacciava la malasorte. Napoleone non avrebbe mai proseguito su una strada attraversata da un gatto nero e spesso interpretava i propri sogni come predizioni sul futuro. Odiava certi giorni e numeri, lettere come la M che credeva foriera di malattie e sfortuna; riteneva che le persone i cui nomi iniziavano per M gli potessero causare guai. Secondo la leggenda, avrebbe consultato spesso una celebre veggente e cartomante di Parigi, Mademoiselle LeNormand che gli avrebbe predetto il successo e l’esilio, ma non c’è nulla di vero.
Horatio Nelson appese un ferro di cavallo all’albero maestro della sua nave
Gli uomini di mare sono sempre stati molto superstiziosi. Secondo la leggenda, l’ammiraglio inglese Horatio Nelson (1758-1805) avrebbe inchiodato un ferro di cavallo all’albero maestro della propria nave ammiraglia, la Victory, nella battaglia di Trafalgar (1805), lo scontro in cui combatté la “otta franco-spagnola. Forse non è vero, ma sappiamo che aveva l’abitudine di scrivere lettere ad amici e familiari prima di ogni battaglia e di lasciarle a metà convinto che se le avesse finite sarebbe stato ucciso. Così, prima che cominciassero gli scontri a Trafalgar, nelle acque di Cadice (Spagna), scrisse a Emma Hamilton, l’amante: «Mia carissima amata Emma, prediletta del mio cuore, il segnale di battaglia è stato dato e prima di combattere dedico queste parole a te: se Dio vorrà, vivrò e finirò questa lettera dopo la battaglia». Nelson morì nello scontro, colpito da un cecchino francese.
Adolf Hitler considerava il 7 il suo numero porta fortuna
Il Führer (1889-1945) fu un appassionato di occultismo e dottrine esoteriche, circondato da veggenti e astrologi che consultava spesso prima di decisioni importanti. Aveva una personalità superstiziosa: profondamente convinto di essere una sorta di “messia” protetto da forze misteriose, si sentiva destinato a una missione unica, quella di trasformare i tedeschi del Terzo Reich nella “razza dominatrice” dell’intera Europa. A un certo punto si persuase che il numero 7 avesse un significato magico e misterioso perché molti eventi significativi della sua vita erano legati a esso: era stato ferito il 7 ottobre 1916, durante la I Guerra mondiale, e 7 era anche il numero della sua cella a Landsberg, la prigione in cui era stato rinchiuso dopo il fallito putsch (colpo di stato) del 1923. Non sorprende quindi scoprire che nel corso della II Guerra mondiale fece cominciare diverse campagne militari all’alba del 7° giorno, la domenica.
Giovanni Leone, il presidente che faceva spesso il gesto anti-iella delle corna
Il politico democristiano (1908-2001), due volte Presidente del Consiglio dei Ministri e 6° Presidente della Repubblica Italiana (1971-78), era un napoletano superstizioso. Nell’estate del 1973 scoppiò a Napoli una epidemia di colera e Leone, in qualità di Presidente della Repubblica, non poté esimersi dal visitare i malati ricoverati presso l’Ospedale Cotugno. Era il 7 settembre, a Napoli l’aria era ancora calda e Leone era assai poco desideroso di ammalarsi. All’ospedale i medici gli fecero indossare in via precauzionale un lungo camice bianco, una cuffia e una mascherina e così protetto il Presidente fece il giro del reparto infettivo. Con la mano destra Leone strinse la mano ai vari degenti della struttura ma con l’altra, tenuta ben nascosta dietro la schiena, fece ogni volta un gesto scaramantico esemplare: le corna.