
ECCO PERCHÉ È IMPORTANTE CONOSCERE I PROPRI ERRORI
Scaricare la responsabilità di un insuccesso sugli altri può darci l’illusione di non essere parte in causa nel problema. In realtà, così facendo, non impariamo ad analizzare le situazioni, non ci assumiamo le nostre responsabilità e finiamo per guastare amicizie e relazioni
Si comincia sui banchi di scuola, incolpando dei brutti voti la maestra cattiva. Poi è la volta dei docenti non all’altezza, della famiglia poco comprensiva, del partner insensibile, del datore di lavoro intransigente, dei colleghi invidiosi, e via di questo passo fino alla società sbagliata e al destino avverso. Vi sono persone che anziché ammettere onestamente i propri errori, immancabilmente si autoassolvono imputandoli al capro espiatorio di turno. Insomma, a loro dire, la colpa degli insuccessi è sempre degli altri o delle circostanze esterne, di cui si sentono vittime. Questo atteggiamento passivo evita di analizzare le situazioni, di trovare le vere cause dei problemi e di assumersi le proprie responsabilità. Alimenta l’illusione di mantenere il controllo delle situazioni che sfuggono, in quanto, scaricando la colpa su altri, si ha la sensazione di aver “risolto” il problema, esentandosi dall’autocritica e dalla ricerca di soluzioni. Insomma, questi soggetti devono aver sempre ragione, non accettano di essere messi in discussione e rifiutano le osservazioni e le critiche, alle quali reagiscono con aggressività. Non per nulla, Carl Rogers, lo psicologo americano padre della psicologia umanistica, affermava: «La sola persona che non può essere aiutata è quella che getta la colpa sugli altri». Va premesso che la parola “colpa” costituisce un vizio di base che ci induce a leggere la realtà in termini di giusto-sbagliato oppure in funzione di una volontarietà malvagia da espiare. Fatta questa precisazione, le reazioni sopra descritte possono essere sintomo di una personalità fragile, ferita nella sua autostima e incapace di assumersi le proprie responsabilità, che si sente definita e giudicata in base a ogni sua singola azione.
Se sbagliare è intollerabile
La fragilità di questi soggetti è tale che, se commettono anche un piccolo errore, possono arrivare a sentirsi dei perfetti incapaci. Ciò produce in loro un senso di inadeguatezza intollerabile e un’emozione negativa che non sanno gestire. La casistica nel campo clinico ci dice che spesso si tratta di personalità narcisistiche oppure istrioniche, ipersensibili alle critiche, tendenti a scaricare sugli altri le proprie responsabilità e a ricostruire in modo alquanto bizzarro la realtà, spesso con fantasiose concatenazioni causa-effetto.
L’importanza dell’educazione
In genere, questo modo di porsi non viene dal nulla, ma si acquisisce in età molto precoce. Di solito questi soggetti sono cresciuti in un ambiente nel quale, da bambini, non hanno avuto la possibilità di sperimentare il legame causa-effetto dei propri errori né la possibilità di porvi rimedio. Soprattutto non è stata loro inculcata la differenza fra definire una persona e definire un comportamento; in altre parole, non hanno appreso che fare una cosa sbagliata non significa automaticamente essere una persona sbagliata, inetta o cattiva. In genere si tratta di ambienti in cui si esaspera la ricerca di un colpevole: così facendo, però, si identifica il comportamento con la persona, facendo di ogni sbaglio una tragedia. Al contrario, gli errori – propri e altrui – sono in maggioranza riparabili e fanno parte di un normale processo di crescita e sviluppo. Una simile educazione tende a formare una persona fragile, che in età adulta vive ogni errore come un dramma inaccettabile e per la quale è difficile sia assumersi le proprie responsabilità sia regolare le emozioni. Il risultato sarà che manipolerà la realtà, leggendo gli eventi in modo poco realistico e autoconvincendosi della propria interpretazione. Caratteristica di questa personalità è anche la scarsa empatia nei confronti del prossimo, con cui spesso si innesca una deleteria sfida non priva di conseguenze nefaste. È inutile dire infatti che, alla lunga, ciò porta al deterioramento delle relazioni interpersonali. Inoltre, se da una parte la convinzione di essere vittima fa sentire la persona incolpevole, dall’altra genera in lei un persistente stato di impotenza e di angoscia, che la fa sentire in balia degli eventi.
C’è un “luogo di controllo”
Attorno alla metà del secolo scorso, lo psicologo americano J.B. Rotter teorizzò che ognuno di noi sarebbe in possesso di una convinzione più o meno marcata di poter influenzare attivamente gli eventi della sua vita. Considerò due estremi: da una parte i soggetti fiduciosi di poter sempre e comunque influenzare gli eventi esterni, dall’altra chi ritiene di esserne in balia. Per indicare il grado di controllo del soggetto sulla sua vita, coniò il termine “locus of control” (luogo di controllo), che definisce la destinazione figurata che diamo alle responsabilità di ciò che ci accade. Il “luogo” in questione può essere interno (ossia in noi stessi, se ci riteniamo gli artefici dei nostri successi e insuccessi) oppure esterno (se pensiamo che questi siano determinati dagli altri o da fattori esterni): È una teoria interessante, commenta Reina, che fa capire come le persone con un locus of control esterno vivano in un perenne stato di allarme, sentendosi impotenti e soggette a ogni sorta di interferenza da parte della vita.
Trasformarsi è possibile
Questi soggetti giungono in psicoterapia non perché consapevoli di non riuscire a farsi carico delle proprie responsabilità (come detto, sono convinti di essere vittime), bensì a causa del perenne stato d’ansia e di impotenza in cui vivono, dice la nostra esperta. Il percorso psicoterapeutico va alle radici del loro modo di valutare gli eventi, cercando di individuare le paure di fondo che determinano la mancanza di obiettività. Il cammino mira alla consapevolezza: Spesso questi soggetti non sono consapevoli di come interpretano la realtà e hanno bisogno di capire, con l’aiuto di uno specialista, com’è organizzato il loro modo di rapportarsi con il mondo. Insieme si cerca di approfondire la loro personalità, la loro percezione della realtà e i sentimenti profondi che li conducono alla valutazione distorta degli eventi. Dopo la presa di coscienza, lo psicoterapeuta li conduce gradualmente a un’analisi serena e costruttiva delle responsabilità per metterli nelle condizioni di assumere il controllo della loro vita.
PARLI MALE DEGLI ALTRI? ATTENTO ALL’EFFETTO BOOMERANG
Più ricerche hanno dimostrato che parlare male di qualcuno può diventare un boomerang poiché chi ascolta tende ad associare quella negatività a chi la racconta. In psicologia si parla di trasferimento spontaneo di tratti. Facilmente, chi cerca di demolire gli altri suscita nei propri interlocutori l’impressione di voler giustificare se stesso. Si tratta di un segno di fragilità del soggetto che, anziché individuare le risorse del prossimo, è preoccupato di far emergere la propria immagine, dice Paola Reina.
TUTTO MERITO MIO (… E TUTTA COLPA DEGLI ALTRI)
Diversi studiosi hanno individuato un particolare atteggiamento: quello di chi tende ad attribuirsi il merito dei successi e a scaricare all’esterno le responsabilità dei fallimenti, vuoi sulle circostanze, vuoi sulle persone. Questo atteggiamento è stato definito “self-serving bias”, che potremmo tradurre liberamente come “interpretazione faziosa degli avvenimenti a proprio favore”. Il vizio di fondo di questa interpretazione è che non è volta alla comprensione e all’empatia verso il prossimo, bensì all’appropriazione di ciò che dà lustro a se stessi a discapito di chiunque altro. Ancora una volta, siamo davanti a una personalità fragile, incapace di fare squadra col prossimo e di rimediare ai propri errori.
Scaricare le colpe è contagioso
Secondo uno studio della USC Marshall School of Business e della Stanford University, la pratica di dare la colpa agli altri è socialmente contagiosa. La ricerca, pubblicata sul Journal of Experimental Social Psychology e denominata “Colpa contagiosa: la trasmissione automatica delle autoattribuzioni”, è stata condotta in base a quattro differenti esperimenti, da cui risulta che incolpare pubblicamente il prossimo può divenire virale, in quanto l’accusa si diffonde velocemente e dà vita a una reazione di difesa da parte dell’incolpato, che si sente attaccato nella sua immagine, generando un effetto-domino. Questa acquisizione è di fondamentale importanza per i dirigenti d’azienda. Infatti, se il datore di lavoro scarica sui subalterni la colpa di un lavoro mal riuscito, costoro tenderanno a loro volta a scaricarla sui colleghi. Se “la pubblica accusa” viene messa in atto da persone di alto grado dotate di carisma e potere, il danno si amplifica poiché questa interpretazione della realtà viene accettata ed emulata, e a lungo andare pregiudica il buon andamento della società. L’attenzione di chi lavora viene sviata dal timore di essere ingiustamente incolpato e soprattutto non si giunge a una serena presa di coscienza delle responsabilità, lasciando irrisolti i problemi.