
ETRUSCHI E TEMPLARI
Legati a una conoscenza di tipo simbolico, esoterico e pagano, elementi presenti anche nel lontano cristianesimo, i Cavalieri del Tempio utilizzarono alcuni sacri siti etruschi, in cui si officiavano culti legati alla natura
Parte V
La teoria riguardante la frequentazione e riutilizzazione, da parte dei cavalieri rossocrociati, di siti strategici e sacri della cultura etrusca potrebbe assumere i contorni dell’ennesima eresia, se non fosse che le prove raccolte escluderebbero ogni sorta di casualità, a beneficio di una sorprendente interpretazione di un aspetto della storia dell’Ordine del Tempio ancora poco conosciuto o quantomeno non sufficientemente pubblicizzato.
Gli Etruschi edificarono templi architettonici e rupestri in luoghi dalle particolari qualità ambientali ed energetiche, in molti casi già utilizzati da popoli pre-etruschi come i Villanoviani e i Rinaldoniani, attuando i dettami di una scienza sacra, la cosiddetta Disciplina, originata da un primitivo culto della madre Terra e della natura e consacrata alle divinità che presiedevano i fenomeni sia naturali che sovrannaturali. «La società etrusca fu guidata da una variegata classe di sacerdoti e sacerdotesse, dediti a mantenere e regolare le giuste relazioni con l’ambiente, specialmente là dove dovevano sorgere gli insediamenti». La stessa dedizione allo studio del territorio la ritroviamo nella cultura templare, i cui rappresentanti, come ci ricorda l’etruscologo Giovanni Feo (†), «furono fortemente collegati ad una conoscenza del territorio che teneva ben conto delle valenze e qualità specifiche dello stesso, sia fisiche che ambientali (…) Credo che i “saperi” di età templare (XII-XIII sec. d.C.) concernenti una visione sacrale del territorio (naturale e antropizzato) fossero di antica origine e, grazie a ciò, coincidessero con una visione di età più antica, ovvero etrusca. Certamente i Templari difficilmente avrebbero potuto conoscere la scomparsa scienza sacra tirrenica, la cosiddetta “Disciplina etrusca”, ma dovettero, comunque, possedere una conoscenza del territorio che, di fatto, li portò alla sistematica frequentazione di siti etruschi, trovandoli adeguati e funzionali per le loro finalità». Per esigenze di spazio editoriale vedremo soltanto alcuni dei molti siti templari, o ispirati alla cultura templare, che si trovano nelle vicinanze di luoghi sacri etruschi se non, addirittura, sovrapposti ad essi.
Il ventre della Madre Terra
Tra i numerosi monumenti etruschi, spesso ignorati dalle ricerche accademiche, troviamo pozzi, cunicoli e percorsi tagliati nella roccia, infatti «Entrare in un cunicolo iniziatico o in un pozzo equivaleva all’ingresso nel corpo infero e oscuro della dea (…) Nel buio, nel ventre femminile o in quello della dea avviene ogni gestazione e nascita» (Il Tempio di Voltumna – G. Feo). Allo stesso modo sembra che i Templari avessero una particolare predilezione per gli ambienti sotterranei: prova è il ritrovamento di simbologie templari in grotte ed ipogei, spesso già utilizzati in epoche precedenti, che dimostrerebbero, appunto, una frequentazione dei cavalieri, che avrebbero qui officiato particolari rituali. Esempi sono le grotte di Osimo, di Gradara e di Vibo Valentia.
I Templari, come gli Etruschi, conoscevano dunque il potere creativo dell’oscurità? «Il mistero e la magia della madre terra e del suo potere di fruttificare, di curare con le sue acque termali e con la virtù di piante ed erbe: era questo il mondo in cui vivevano e agivano le persone del ’200» spiega Giovanni Feo, «è quindi presumibile che anche presso ambienti colti dell’Ordine fossero in voga discipline relative alla magia della Terra (geomanzia ed alchimia)».
Antiche vie di comunicazione
È nota la presenza di siti templari lungo le antiche vie di comunicazione, alle quali i membri dell’Ordine dedicarono particolare impegno nel ripristinarne l’uso e la sicurezza. La più famosa di queste arterie è senz’altro la via Francigena, che portava a Santiago di Compostela o in Terrasanta. Tuttavia il nostro interesse si focalizzerà maggiormente su quella che ancora oggi viene chiamata Via della Commenda. Situata nel Centro Italia (alto Lazio – Maremma collinare), in origine era una via etrusca di pellegrinaggio che portava al Fanum Voltumnae, un luogo particolarmente sacro consacrato a Voltumna, nome latinizzato della grande dea etrusca delle acque e del fato, in cui ogni anno si riunivano i 12 lucumoni etruschi, per onorare e celebrare le divinità dei 12 popoli confederati. In età romana, la via del pellegrinaggio etrusco divenne la via Clodia che collegava Roma con Saturnia, rinomata sin dall’antichità per le sue sorgenti termali, attraversando la regione lacustre del Fanum e la valle del fiume Fiora. «Tale strada, come storicamente accertato, fu una di quelle strategiche vie lungo la quale l’Ordine del Tempio pose le sue “commanderie”, “stazioni” e “templi”» (Eremiti e romitori di Maremma- G. Feo).
L’eremo di San Colombano
Gli edifici sacri realizzati, o ispirati, dall’Ordine del Tempio presentano spesso simboli già dell’arte sacra etrusca, come il labirinto, la sirena bicaudata, il cerchio solare, il reticolo. Questo, tuttavia, non deve sorprendere, in quanto esisterebbe “un codice di simboli di universale diffusione”, i cosiddetti archetipi di Jung, presenti in ogni civiltà ed epoca storica. Ma è proprio attraverso la lettura di questi segni, simboli e reperti, «ispirati dalla cultura di tipo templare, che si diffuse in tutta Europa per oltre duecento anni», che è possibile dimostrare, anche se indirettamente la frequentazione da parte dei Cavalieri di molti siti, dato che la damnatio memoriae subita dai Templari portò alla distruzione o alla dispersione di un considerevole numero di atti ufficiali redatti dall’Ordine. Tale situazione sembra esemplificarsi nella chiesa rupestre di San Colombano (VT). Se il nome di questo santo può rimandare inequivocabilmente ai Templari, dei quali era il principale protettore, sarebbe comunque riduttivo appurare, solo in virtù della dedica al monaco irlandese, la presenza dell’Ordine in questa chiesa, in origine quasi sicuramente un luogo sacro etrusco, scolpita nella roccia e incastonata nella naturale bellezza dell’omonimo eremo. Da un attento studio dell’archeologa Raspi Serra si apprende che «il rapporto con episodi strutturali e decorativi francesi rende ipotizzabile la presenza di un nucleo monastico con evidenza legato alla vita culturale d’oltralpe»: il riferimento al Tempio sembra essere fin troppo evidente. È bene sottolineare che San Colombano venne progettata e realizzata da esperti architetti e maestranze “specializzate” e «non da improvvisati “scalpellini” di campagna», un dato questo che sembra dare ancora maggiore credibilità ad una frequentazione templare di questa chiesa, accertata, del resto, in numerosi siti presenti in questa zona (e non solo), sempre con la costante presenza di precedenti insediamenti etruschi. Inoltre gli affreschi, purtroppo rimossi da predatori e saccheggiatori, risalivano al XIII secolo, che corrisponde appunto al periodo di espansione della cultura templare in questa parte di Maremma tosco-laziale. All’interno della chiesa spicca un inusuale simbolismo, comprendente decorazioni pittoriche legate
alla fertilità e alla sessualità, così esplicitamente naturalistiche «da risultare non pertinenti con la canonica iconografia cristiana» e un triangolo rovesciato scolpito nel capitello di una colonna. Il triangolo rovesciato è un segno primordiale associato al principio femminile, alla terra e ai suoi poteri, anche se è difficile affermare con certezza che in questo contesto abbia un simile significato. Tuttavia, è noto il particolare valore che il culto della Vergine Maria rivestiva presso l’Ordine: la Madonna, Maria Maddalena,
Sofia, Eva, Diana… Apuleio scrisse della «dea dai mille volti, ma unica quanto a essenza (…) I Templari, più o meno consapevolmente, proseguirono l’antica devozione verso il principio femminile». Ma ciò che maggiormente ha attirato la nostra attenzione è la totale assenza, a San Colombano, di figure tipiche del cristianesimo, come ad esempio croci, ricordando, comunque, che anche in molte pievi romaniche l’iconografia pagana è maggiormente presente rispetto a quella classicamente cristiana. «Il motivo di ciò – ci dice Giovanni Feo – è che, prima dell’età rinascimentale, il Cristianesimo era ancora fermamente permeato di elementi pagani», una situazione, questa, che venne fermamente osteggiata dalla Santa Inquisizione. L’azione repressiva della famigerata Istituzione non portò, comunque, alla definitiva cancellazione del simbolismo sacro pre-cristiano, sopravvissuto grazie all’illuminata strategia di integrazione tra le due iconografie, adottata da papa Gregorio Magno. Una nota dolente: l’eremo di San Colombano rischia di crollare del tutto se non vi saranno immediati interventi.
Santa Maria del Tempio
Sutri (VT) fu in epoca etrusca un ricco centro agricolo e, nel medioevo, tappa obbligata per i pellegrini e i crociati che si recavano agli imbarchi per la Terrasanta. Sutri, ci ricorda Giovanni Feo, insieme a Nepi (Nepet), era la porta dell’Etruria per chi veniva da Roma, transitando sulla via Cassia o sulla Francigena, che proprio qui diventano la stessa strada. A tale aspetto viario va senz’altro aggiunto quello riguardante le importanti connessioni storiche, che compongono quella che Giovanni definisce la carta d’identità di Sutri: «questa cittadina va ricordata per la particolare tipologia di importanti luoghi sacri: etruschi, mitraici, proto-cristiani, templari… queste antiche culture sono la sua memoria storica e collettiva. I Templari, protettori di vie, non potevano mancare a Sutri, importante crocevia sulla via per Roma e la Terrasanta». Vero gioiello di Sutri è la chiesetta rupestre de La Madonna del Parto, in origine tomba etrusca, poi mitreo ed infine chiesa cristiana dedicata prima a San Michele Arcangelo, infine alla Madonna con il Bambino, posta – guarda caso – nelle immediate vicinanze della chiesa templare di Santa Maria del Tempio, divenuta poi Cappella dei Cavalieri di Malta.
Santa Maria ad Templum
Non possiamo, a questo punto, non menzionare Valentano (VT) dove, al pari di altri siti di fondazione etrusca, sono rinvenibili quegli stessi elementi evidenziati a Sutri. Tra le pergamene provenienti dall’Abbazia Imperiale di San Salvatore sul Monte Amiata, troviamo citato il sito di Vico Funtanille, posto nei pressi di Valentano, una località ricca di acque sorgive, tanto da essere chiamata ancora oggi Le Fontane. Lo studioso Romualdo Luzi ci ha rivelato che qui, verso il 1120, si insediarono i Templari con una Magione e la Chiesa di Santa Maria ad Templum. Proprio la presenza di numerose sorgenti d’acqua potabile potè concorrere alla scelta di questo luogo, anche se è bene sottolinearlo, la sua collocazione fisica, non sfuggendo ancora una volta a quelle particolari connotazioni territoriali già ampiamente esposte, rivestì sicuramente un’importanza primaria per il Tempio. Infatti, spiega Luzi, Vico Funtanille «è situata lungo direttrici stradali importanti non lontane dalla vicina Via Francigena, come un diverticolo della Clodia che collegava la Tuscia alla vicina Toscana e il mare e quindi, all’interno, verso l’antica città di Castro. Dall’alto, il Villaggio delle Fontane e quindi la Magione dominavano la vicina città etrusca di Bisenzo, nelle cui necropoli sono state rinvenute preziose suppellettili. La città etrusca, poi la romana Vesentium, si estendeva fin quasi alle pendici di Villa delle Fontane e, quindi, si deve rilevare come la localizzazione anche di questa magione trovi una puntuale corrispondenza con un vicino insediamento etrusco e la ricorrenza di questa circostanza sembra quasi confermare una costante dei siti templari, quasi a sottolineare una ricerca dettata da “misteriose” emergenze e leggende». Sulle porte di Santa Maria ad Templum furono affisse le citazioni riguardanti i processi che subirono i Templari (soprattutto nello Stato della Chiesa e in particolarea Viterbo nel 1309) al termine dei quali, come spesso accaduto, la chiesa e il complesso circostante passò ai Cavalieri di San Giovanni o di Malta, che lo tennero fino al 1860. Purtroppo c’è da registrare l’ennesimo caso di stato di abbandono, dettato dall’incuria, in cui versa la magione. Dal degrado si è salvato solo un affresco distaccato, restaurato e collocato nella Sala Conferenze della Rocca Farnese di Valentano. «L’affresco, al momento della sua scoperta sotto lo scialbo, si salvò perché la proprietaria dell’ormai metà dell’antica chiesa (già ridotta a rudere) fece una donazione volontaria e gratuita alla comunità di Valentano e la Soprintendenza alle BB.AA. fu disponibile al distacco dell’affresco, al restauro e alla sua collocazione in ambiente adeguato. La signora, ora scomparsa, si chiamava Francesca Scorzetti»: un nome sicuramente sconosciuto ai più, ma che ricordiamo volentieri per la sua sensibilità e generosità.
Castell’Araldo
Ben altra sorte è toccata al sito templare di Castell’Araldo (tra Marta e Capodimonte, in provincia di Viterbo), il quale, sottoposto nel 2006 a restauro sotto la direzione dell’Ing. Giancarlo Paccosi, è adesso visitabile. L’attuale gestione del sito, formato dai resti delle mura del castello e della chiesa di Santa Maria delle Grazie, è stata affidata all’Ordine Templare O.S.M.T.H che, come evidenziato dal Commendatore di Castell’Araldo, Paolo Storri, oltre a svolgere capitoli e celebrazioni all’interno della chiesa, compie lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. Secondo uno studio di Antony Lutrel, già nel 1255 si ha notizia di Castell’Araldo, la cui importanza è dedotta da una cronaca del processo ai Templari, lì insediati, nella quale emerge – come in altre confessioni – la controversa costrizione ad adorare una testa di legno, a sputare sulla croce, ad abiurare Cristo e a commettere atti osceni. La precettoria ed il castello furono poi abbandonati e caddero in rovina. Con molta probabilità, in epoche antiche, il sito fu un luogo alto di osservazione del cielo e dell’orizzonte, poi luogo sacro. Durante una nostra visita, abbiamo notato un insieme di grotte e cavità sotterranee ancora da esplorare, precedenti l’insediamento templare. L’ipotesi di un abitato o una necropoli etrusca sembra più che plausibile se si considera l’accertata densità abitativa, proprio in età etrusca, delle terre tra Castell’Araldo e Marta, nonché la presenza in questa zona di un importante snodo viario della via Clodia che attraversava i predetti siti collegandoli al lago di Bolsena. «In questo caso – ci dice Giovanni Feo – abbiamo un antico asse viario sacro etrusco, via di pellegrinaggio, divenuta via templare in età medievale, non casualmente collegata alla Via Francigena che passa per la città di Bolsena, il maggior centro di pellegrinaggio della cristianità».
Il Duomo di Sovana
Giovanni ci ha fatto notare un’interessante corrispondenza tra la chiesa di Santa Maria delle Grazie e il Duomo romanico di Sovana (GR). «Ambedue furono orientate verso l’alba del solstizio estivo, coincidente con la festa di San Giovanni Battista, santo particolarmente venerato in ambito templare. Anche il duomo di Sovana, come la chiesa di Castell’Araldo, u molto probabilmente progettata, o quantomeno ispirata, da appartenenti all’Ordine Templare». L’insolita orientazione del Duomo di Sovana, rilevata da Adriano Gaspani dell’Osservatorio Astronomico di Brera (MI), non è il solo indizio di maestranze e passaggio templari in questo edificio religioso, i cui pilastri della navata a croce celtica riproducono un modello usato a Notre-Dame-de l’Epine, una “misteriosissima chiesa” in cui, come scrive Louis Charpentier, «si può osservare l’impiego del pilastro polilobato simile a quello di Chartres, di Reims e di Amiens, un pilastro a croce celtica rovesciata, che ritengo sia la firma della confraternita di costruttori che eresse queste tre chiese, la quale, benché non vi sia la possibilità di provarlo, era verosimilmente quella dei Figli di Salomone, legati direttamente all’Ordine del Tempio di Salomone». Lo studioso Alessio Varisco nel suo Maremma terra di cavalieri afferma che «La monumentale opera della Cattedrale è dunque traccia della testimonianza del passaggio dei Templari per Sovana. La porta maggiore presenta diverse similitudini con altre chiese erette grazie all’Ordine del Tempio o mediante loro committenze». Tra gli edifici religiosi citati da Varisco troviamo anche Santa Maria ad Lamula, nel comune di Arcidosso (GR). «In effetti tra Lamula e il Duomo di Sovana ho trovato molte corrispondenze» ci rivela Claudia Cinquemani, esperta di simbologia ermetica ed iconografia medioevale, «penso che Lamula contenga tracce iconografiche templari simili a Sovana: fiore della vita, simboli legati al culto delle acque e al femminino sacro come il serpente per Lamula e la sirena per Sovana, oppure i volti o protomi». È bene evidenziare che Lamula non è considerata con certezza una chiesa templare, «piuttosto una Stazione di Posta, perché su vie di pellegrinaggio e perché proprio davanti alla chiesa sorgeva un mercato sabatino». In ogni caso, come evidenziato dal Varisco e dalla Cinquemani, i Templari sostarono e operarono a Lamula, lasciando simboli a loro ascrivibili e riscontrabili anche nel Duomo di Sovana dove, in una calda e ariosa giornata
di inizio estate (27 Giugno 1996), dietro le sue mura gotico-romaniche «… in un orto divenuto campo di scavo archeologico, alcuni tra i maggiori specialisti dell’antichità hanno spiegato al pubblico i risultati di anni di scavi e di ricerche. Un noto etruscologo aveva portato alla luce squadrate e megalitiche mura i un tempio etrusco». Poche righe, queste, tratte da un libro di Giovanni Feo, che ci ha confermato, quale testimone oculare, questa importante scoperta, che però non ebbe seguito, poiché quanto emerso venne ricoperto. Ma questa è un’altra storia all’italiana.