
FAI PIÙ CARRIERA SE SEI DISORDINATO
Le idee vincenti nascono dal disordine perché allena il cervello a rompere gli schemi che ingabbiano la creatività
Parte I
Sedie simmetricamente riposte sotto il tavolo, accessori della cucina puliti e al loro posto, pavimenti a specchio, libri ben allineati: la casa di un ordinato è immediatamente riconoscibile. Altrettanto lo è quella di un inguaribile disordinato. Che però, curiosamente, riesce sempre a trovare quello che gli serve. «Nel proprio disordine», spiegava diversi anni fa in un’intervista al Corriere della Sera Francesco Rovetto, ordinario di Psicologia dell’Università di Pavia, «il disordinato si sente a casa, e cioè in un posto non pubblico, come è invece il tavolo degli ordinati ossessivi, di facile accesso. Il disordine gli è indispensabile per ritrovare gli oggetti e non è intercambiabile come avviene nel caso degli ordinati, la cui logica è rigidamente legata a lettere, numeri, colori o date». Tanto che la donna delle pulizie, che tenta di riordinare la casa o la scrivania rischia solo di fare danni. Non solo: è proprio questo ordine nel disordine a rendere creativi.
Genio e sregolatezza
«Del resto è dal caos che si è generato l’universo», spiega ad Davide Algeri, psicoterapeuta a Milano. «Le idee più geniali scaturiscono spesso dal disordine, che ci permette di uscire degli schemi mentali e di cambiare prospettiva». In fondo è quello che da più di quarant’anni spiegano i sostenitori del pensiero laterale, la disciplina psicologica che aiuta manager e persone comuni a sfruttare le potenzialità cognitive, leggendo la realtà da prospettive non convenzionali. «Quella dei disordinati», prosegue Rovetto, «è una logica creativa che gioca sulle associazioni, sui raggruppamenti e sulla memoria visiva: gli oggetti vengono ritrovati per la posizione in cui sono stati visti l’ultima volta o per la loro vicinanza ad altri che magari non c’entrano per niente».
Strato su strato
L’ordine infatti è un concetto soggettivo: quel che può essere ordinato per una persona non lo è per un’altra. Non è un caso che chi vive e lavora in ambienti e su scrivanie costantemente sommerse da libri e oggetti di ogni tipo vi si orienti facilmente, a differenza degli ordinati che non riescono a concentrarsi se non in spazi essenziali. «Nella cultura occidentale», spiega Davide Dettore, professore associato di Psicologia clinica all’Università di Firenze, «associamo l’ordine a un’idea di simmetria. A questo concetto i disordinati si ribellano: più che creare caos, loro non fanno altro che disporre gli oggetti all’interno del loro spazio vitale secondo criteri diversi da quelli tradizionali, più soggettivi». Chi ha studiato l’argomento ha da tempo capito che alla base del disordine c’è una particolare tipologia di classificazione degli oggetti. Basta dare un occhio alla scrivania di Albert Einstein, nelle foto scattate negli anni della sua permanenza all’Institute for Advanced Study di Princeton (Usa), dove studiò le probabilità delle transizioni atomiche. Lo scienziato tedesco affermava: «Se una scrivania in disordine denota un spirito confusionario, che dire di una scrivania vuota?». E infatti, a Princeton, Einstein lavorava in un ambiente costantemente disordinato, stracolmo di fogli e libri, ma estremamente produttivo e creativo. La strategia di Einstein e di quella degli altri caotici ordinati è, secondo i cognitivisti, inconscia e si fonda su un metodo “stratigrafico”. In pratica, senza che nessuno li riordini, documenti e oggetti si accumulano, ma mai casualmente: i meno urgenti, i meno attuali o quelli meno necessari finiscono inevitabilmente con lo sprofondare sotto montagne di carte sulle scrivanie, o negli angoli meno battuti dell’ufficio o della casa. All’opposto, risalendo verso la superficie o nei luoghi più accessibili si depositano gli oggetti attuali o i documenti ai quali i disordinati stanno lavorando. In pratica, un metodo di archiviazione spontaneo.
Il giudizio degli altri
Oggi il maggior esperto di psicologia del disordine è probabilmente Eric Abrahamson, docente di Management alla Columbia University (Usa). Autore di La forza del disordine (Rizzoli), Abrahamson ha condotto numerosi studi sull’argomento. In uno di questi, aveva rilevato come circa il 67 per cento di 160 intervistati affermasse di provare addirittura senso di colpa nei confronti della propria mancanza d’ordine e che più della metà giudicasse i disordinati in modo estremamente negativo. Non c’è però da stupirsi: anche Paul Harris, psicologo alla Harvard Graduate School of Education (Usa), ha chiesto ai suoi studenti come immaginavano i proprietari di due appartamenti, uno affollato di riviste e biancheria abbandonata e l’altro con superfici libere, senza polvere e con pile di riviste disposte in ordine e con gusto. Gli aggettivi usati dagli studenti? “Incompetente”, “inefficiente”, “disorganizzato”, “irresponsabile”, “pigro” e “impulsivo” per il disordinato, mentre “responsabile”, “gran lavoratore”, “ansioso”, “conservatore”, “formale”, “disciplinato” e “infiessibile” per l’ordinato.
Stereotipi? Forse no
«L’ordinato è spesso preciso, attento ai dettagli, perfezionista e frequentemente ha maggiori dif”coltà a cambiare le proprie abitudini», conferma Davide Algeri. «Il disordinato, invece, ha dalla sua il vantaggio di soffrire meno il peso degli imprevisti, è tendenzialmente fiessibile e malleabile». Normali differenze individuali, quindi. Tuttavia, in pochi casi, gli eccessi di ordine e disordine sfociano in vere e proprie patologie. Se infatti l’accumulo di oggetti inutili e il conseguente disordine può essere sintomo di un disturbo psichico chiamato disposofobia (vedi il servizio seguente), anche l’ordine maniacale può nascondere una forma di disagio. «Diventa disturbo mentale quando è di ostacolo alle attività quotidiane», spiega Algeri. «Le persone patologicamente ordinate sono spesso insicure e l’ordine dà loro la sensazione di sentirsi adeguati al contesto». Così da ordinate diventano perfezioniste, pretendono da se stesse e dagli altri il massimo e assumono atteggiamenti rigidamente moralisti e antisociali. Ma a quello stadio il problema diventa un vero disturbo della personalità.
I sei vantaggi del disordine
Secondo Eric Abrahamson, docente di Management alla Columbia University (Usa), ecco sei vantaggi del “disordine ordinato”: nel lavoro e nella vita di tutti i giorni.
1. Flessibilità: il disordine permette di adattarci rapidamente alle novità e con minori sforzi.
2. Completezza: il disordine è di natura vario, comprende più alternative e possibilità diverse che l’ordine prestabilito non contempla.
3. Risonanza: il disordine consente uno scambio di informazioni tra il soggetto e l’esterno e non rinchiude in certezze incrollabili che ci bloccano.
4. Inventiva: il disordine consente di affiancare in modo casuale elementi diversi favorendo così associazioni creative inedite.
5. Efficienza: il disordine permette di raggiungere gli obiettivi in minor tempo e consumando meno risorse, se non altro quelle necessarie a riordinare e catalogare cose e informazioni.
6. Robustezza: il disordine è soggettivo e come tale unico. Ognuno ha il suo, mentre l’ordine è logico e quindi riproducibile da chiunque. Questa è una certezza per chi usa il “caos ordinato” come strumento della propria professione: per esempio creativi e liberi professionisti.
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