
FARE LA CODA… CI FA BENE
Diversi studi dimostrano che imparare ad aspettare ci insegna a migliorare il carattere, a diventare più sicuri e ad apprezzare di più i piaceri della vita. E considerato che viviamo in fila 400 ore l’anno…
Parte III
Le code interminabili all’ufficio postale, le ore di attesa in sala d’aspetto, il tempo perso incolonnati in autostrada… C’è qualcosa di più snervante che aspettare? Sono quattrocento le ore, quasi 17 giorni, che mediamente ognuno di noi butta via ogni anno in attese inutili tra semafori e sportelli vari: lo spiega l’Istat che sottolinea come negli uffici pubblici la metà di noi aspetti ben più di venti minuti prima di riuscire a parlare con un addetto. «Anche per questo il 46 per cento degli italiani ammette di cercare di saltare le code utilizzando trucchi che certo non migliorano la situazione», spiega il giornalista Marco Managò, autore di Italiani in fila (Serarcangeli Editore). Eppure c’è il rovescio della medaglia: arrivare primi non è sempre meglio. Anzi, imparare ad aspettare diligentemente ci migliora, ci rende più saggi, sicuri di noi stessi e ci insegna a gustare i piaceri della vita. Proprio su questo tema la psicologa americana, Ayelet Fishbach della Booth School of Business situata presso l’Università di Chicago (Usa), ha da poco pubblicato uno studio sul Journal of Organizational Behaviour and Human Decision Processes. La ricercatrice ha condotto un esperimento su tre gruppi di volontari: a ognuno ha offerto ricompense in denaro di diversa entità e in tempi diversi. Dai test è emerso che chi aspetta di più assegna un maggior valore allo scopo dell’attesa, compie la scelta giusta in termini di vantaggio economico e ne trae più soddisfazione personale. «Spesso tendiamo a dare maggior valore alle cose che si ottengono subito, sottovalutando i meriti di ciò che si può avere dopo una lunga attesa», spiega la scienziata. Tuttavia quando le circostanze ci impongono di aspettare, una volta raggiunto ciò che desideriamo siamo più gratificati. Il motivo? «Quando aspettiamo diamo grande valore all’oggetto agognato», aggiunge la studiosa Fishbach.
Ingannare l’attesa da soli
Aspettare ci rende consapevoli e ci fa maturare: non a caso i bambini non sono in grado di farlo. Un neonato piange quando ha fame e soltanto la mamma che va ad allattarlo è in grado di calmarlo. Tuttavia da tempo gli psicologi si sono resi conto che a un certo stadio dello sviluppo i bimbi imparano naturalmente a smettere di piangere anche senza la presenza della madre. Il motivo? Crescendo imparano a “farsi compagnia” da soli, raffigurandosi mentalmente la scena della mamma che li allatta. In pratica, grazie alla fantasia rendono sopportabile l’attesa: lo dimostra anche il celebre esperimento delle caramelle gommose ideato negli anni Settanta dallo psicologo austriaco Walter Mischel. Nel test, bambini di quattro anni a cui era stata offerta una caramella ciascuno, erano lasciati liberi di decidere se mangiarla subito o se aspettare quindici minuti e riceverne un’altra. Al termine dell’indagine è risultato che alcuni divoravano la caramella appena restavano soli nella stanza, altri si limitavano a toccarla e ad annusarla per poi cedere e mangiarla e altri ancora si mettevano le mani sugli occhi o giocherellavano con i capelli, ma resistevano alla tentazione. Mischel spiegava che i bambini che ottengono due caramelle sono proprio quelli che riescono a sopportare l’attesa, pur di fronte a qualcosa che li ingolosisce. In pratica riescono a non fissarsi sulla prima caramella spostando l’attenzione su altro, o semplicemente fantasticando di mangiarla.
Chi si controlla è più sicuro
Anche l’esperimento di Mischel conferma l’ipotesi della Fishbach. Studiando l’evoluzione dei bambini nel corso degli anni, lo psicologo ha dimostrato che quelli che avevano mangiato la caramella immediatamente erano diventati adolescenti in sovrappeso, insicuri, con difficoltà di concentrazione e controllo degli impulsi, e successivamente adulti con problemi nel mantenere legami di amicizia e d’amore. Esattamente il contrario di quanto era capitato ai bambini che sapevano contenersi. «Controllare le emozioni», spiega la psicologa e psicoterapeuta Rosalia Giammetta, coautrice di L’adolescenza come risorsa (Carocci Editore), «è tuttavia una capacità complessa, tanto per i bambini quanto per gli adulti, che ha a che fare con il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri». Ma anche il tempo trascorso: ha ad esempio a che fare con l’attesa il motivo per cui gli ascensori sono dotati di specchi. L’idea di installarli risale al secondo Dopoguerra, negli Usa, quando iniziarono a diffondersi le proteste per i lunghi tempi di attesa necessari a salire e scendere dai grattacieli. L’idea era semplice: dare agli utenti qualcosa da fare per ingannare il tempo. Con gli specchi, gli ascensori continuavano a impiegare lo stesso tempo ma le lamentele improvvisamente cessarono. Del resto le ricerche sulla psicologia delle code parlano chiaro: mediamente tendiamo a sovrastimare la durata di ogni attesa di un buon 36 per cento.
Il ruolo dei genitori
Oggi, il “voglio tutto subito” è un pensiero che domina ogni aspetto della nostra vita tanto che anche la cultura popolare se n’è accorta. In un episodio della celebre serie tv a cartoni animati South Park uno dei protagonisti, Cartman, non riesce ad aspettare pazientemente l’uscita nei negozi di un videogioco e con l’aiuto dell’amico, Butters, decide di farsi ibernare per tre settimane così da evitare l’angoscia dell’attesa. È una metafora dei tempi attuali: «Siamo sempre più incapaci di sopportare l’ansia», spiega Enrico Schwendimann, psicoterapeuta presso il Centro italiano per la promozione della mediazione di Milano. «In parte è colpa degli stimoli continui a cui siamo sottoposti, ma anche dell’educazione dei genitori che tendono a gratificare troppo i propri figli con tutto ciò che chiedono senza abituarli ad aspettare. Per questo sempre più studenti universitari, scoraggiati dai primi esami andati male, abbandonano gli studi». Se ottenere tutto immediatamente fa subentrare la noia, attendere è un dramma. Come fare allora? Un consiglio è fare come i bimbi dell’esperimento di Mischel: ingannare l’attesa facendo affidamento sui nostri pensieri. «Per gli adulti esistono tecniche di rilassamento e di introspezione che ci insegnano a rimandare il piacere e a sopportare l’incertezza», aggiunge Schwendimann. Così anche quei venti minuti in fila non sono più un momento di angoscia, ma un esercizio per diventare persone migliori.
Fine