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FELICITÀ VO’ CERCANDO

Va e viene, non si capisce bene cosa sia, ma l’evoluzione ha voluto che la inseguissimo. Perché? Per stare bene, così da avere successo e perpetuare la propria stirpe

E vissero per sempre felici e contenti… Quando un film o un libro si chiude con il trionfo del protagonista, ci aspettiamo che sia proprio così, cioè che sia “per sempre”. Eppure, ci dicono le ricerche, non accade: perfino dopo la vincita di una enorme somma di denaro oppure dopo la promozione o l’incarico attesi da una vita, si torna, nel giro di pochi mesi, al livello di soddisfazione generale che si provava prima dell’evento fortunato. Alcune ricerche condotte negli Usa sulle persone che avevano beneficiato di forti vincite o di grosse eredità lo dimostrano: a distanza di due anni i neomilionari non erano più felici di quando non avevano grosse disponibilità finanziarie. Anzi, qualche volta lo erano meno, impegnati a gestire le continue richieste di soldi da parte di parenti e amici.

POCA AMBIZIONE

Bisogna rassegnarsi, dunque: la felicità non ci viene “naturale”, e soprattutto non siamo fatti perché duri a lungo. L’evoluzione, insomma, non ci ha disegnati per la gioia continua ma per renderci abbastanza efficienti da ricavare dal nostro ambiente tutte le possibili risorse e quindi riprodurci. La capacità di trovare soddisfazione per ciò che facciamo o per gli obiettivi che riusciamo a raggiungere è un mezzo, non un fine. Il che significa che l’evoluzione usa la felicità (o meglio la ricerca della felicità) per spingerci a compiere azioni utili a tramandare i nostri geni. E avere successo serve ad attrarre l’interesse dei possibili partner, e quindi a perpetuare la specie. In uno studio condotto negli Usa da Shigehiro Oishi, dell’Università della Virginia, sono stati esaminati i livelli di felicità riportati da un vasto campione di individui negli anni Ottanta, quando erano studenti. I ricercatori sono poi andati a cercare le stesse persone oltre 20 anni dopo e hanno scoperto che gli individui che nella vecchia indagine si ritenevano moderatamente felici, a distanza di tempo erano quelli che guadagnavano di più, mentre chi si considerava molto felice guadagnava più o meno come chi aveva detto di sentirsi infelice.

Insomma, chi è troppo soddisfatto della propria vita di solito non è molto ambizioso e non fa grandi passi avanti. Le persone che si pongono come obiettivo quello di scalare la gerarchia sociale, per esempio, spesso sono anche quelle che hanno la sensazione che “manchi” loro qualcosa. Ecco perché l’evoluzione ci ha forgiati come individui mediamente felici, con la possibilità di avere momenti di grande contentezza durante la propria vita, certo, ma con la tendenza a tornare sempre inevitabilmente al proprio livello di soddisfazione base.

LA VERSIONE BREVE: LA GIOIA

Ma il punto è: che cos’è la felicità? Quando si cerca di rappresentarla si usa un sorrisone stilizzato, una risata, o immagini che raffigurano momenti di euforia (come abbiamo fatto anche noi in questo servizio). Ma in realtà quella è gioia, non felicità. «La gioia è un’emozione, e come tutte le emozioni dura poco, raramente più di un minuto. La contentezza è invece un umore e può durare molti minuti o anche molte ore», fa notare Dylan Evans, autore di diversi saggi sulle emozioni. «Quando le persone usano la parola felicità intendono la soddisfazione nella vita reale, qualcosa che è più vicino alla contentezza che alla gioia». Insomma, non è un’emozione, ma più un “umore di fondo” che però, è vero, ci rende più o meno sensibili alle emozioni momentanee. Insomma, se siamo fondamentalmente soddisfatti, ciò che ci accade di positivo ci dà più gioia.

Che per ognuno di noi esista un livello base di felicità e che quest’ultimo sia abbastanza costante lo prova anche uno studio pubblicato nel marzo scorso dai ricercatori dell’Università dell’Iowa (Usa): hanno preso in esame le frasi usate dagli utenti di Twitter per esprimere il grado di soddisfazione per la propria vita nel corso di due anni per vedere se esistevano circostanze in cui la contentezza migliorava o peggiorava. Hanno così scoperto che la felicità, sia individuale sia collettiva, resta stabile nel tempo e che l’umore “di fondo” non viene influenzato più di tanto né dall’esito di elezioni politiche, né da eventi sportivi e nemmeno dalle catastrofi naturali (se non colpiscono direttamente l’individuo o la sua famiglia, ovviamente).

IL SUCCESSO COME RISULTATO

Allora, che cosa bisognerebbe fare per essere felici, o perlomeno esserlo il più possibile? L’unica strategia è accrescere proprio quella “soddisfazione di fondo” che ci permette poi di godere di più delle grandi o piccole gioie della vita. In parte si tratta di una qualità innata, legata al temperamento allegro e alla tendenza all’ottimismo: i ricercatori dell’Università Vrije di Amsterdam hanno verificato, nel 2017, che le persone che dichiarano di essere molto soddisfatte della vita hanno un ippocampo (una piccola zona del cervello legata alla conservazione delle memorie) un po’ più grande della media, mentre Wataru Sato, dell’Università di Kyoto, in un’analoga indagine ha trovato più materia grigia nel precuneo, una zona cerebrale coinvolta nella riflessione su se stessi. Con quali meccanismi queste caratteristiche rendano tendenzialmente un po’ più felici non è noto, ma una cosa è certa: con il sorriso facile un po’ ci si nasce. E molto si decide durante l’infanzia. Uno studio condotto da John Coffey, psicologo dell’Università del Tennessee, ha verificato che più i bambini provano emozioni positive, più restano soddisfatti anche da adulti, ma soprattutto raggiungono buoni risultati negli studi e sul lavoro. Analizzando i dati di un maxistudio psicologico che è durato quasi trent’anni (il Fullerton Longitudinal Study, partito nel 1978), Coffey ha trovato un’alta correlazione tra l’aver avuto molti momenti in cui le relazioni con genitori e amici erano piene di allegria durante l’infanzia e l’essersi poi diplomati all’università, trovando quindi un buon impiego. Insomma, di sicuro i successi nella vita danno grandi soddisfazioni, ma è anche vero che i momenti di gioia portano più facilmente al successo. «Le emozioni positive aiutano i bambini a partecipare a giochi sociali, a impegnarsi e a esplorare. Tutte queste azioni provocano la costruzione di abilità personali (per esempio la resilienza) e sociali (per esempio l’arte della mediazione) che li rendono più portati al successo e a superare le avversità», spiega lo studioso.

DARE E AVERE

Di più: secondo Michael Cohn, neuropsicologo dell’Università della California a San Francisco, le emozioni positive sono proprio alla base di quella “soddisfazione di fondo” che tutti noi misuriamo mentalmente quando ci chiedono di valutare quantosiamofelici. «Le ricerche ci dimostrano che aumentano il nostrolivellodifelicità molto di più di una promozione sul lavoro o di una vincita di denaro. Avere occasioni di provare gratitudine, speranza, divertimento e altre emozioni positive (di solito in compagnia di amici o persone care) è il vero fattore che costruisce il nostro benessere di base», afferma Cohn. Per aumentarle, possiamo in ogni caso fare molto. Per esempio, essere generosi: in un esperimento condotto all’Università di Chicago, 96 studenti universitari hanno ricevuto 5 dollari al giorno. A una metà di loro è stato detto che potevano spenderli per se stessi, all’altra metà che dovevano spenderli per gli altri. Gli psicologi hanno misurato la soddisfazione dei due gruppi ogni giorno, per una settimana di seguito. Ma mentre la soddisfazione di chi spendeva per sé diminuiva, quella di chi era generoso con gli altri no. Studi differenti hanno dimostrato che gli atti di gratitudine e gentilezza (dati e ricevuti) sono in assoluto quelli che aumentano di più il benessere individuale. Anche mentalmente, la semplice ricerca di qualcosa di cui dovremmo essere grati (affetti, successi ecc.) ha un effetto benefico: attiva la regione del tronco encefalico che produce dopamina e aumenta la quantità di serotonina in un’altra zona del cervello, la corteccia cingolata anteriore. Si tratta di due neurotrasmettitori collegati proprio alle sensazioni di benessere.

Naturalmente non c’è bisogno di essere ricchi per essere generosi. Però, inutile negarlo, l’assenza di grandi necessità economiche è uno dei prerequisiti più importanti per riuscire a essere felici. Anche perché con un po’ di soldi si possono comprare per esempio nuove esperienze, uno dei fattori che incrementano di più il benessere di base: le ricerche dimostrano che un viaggio (meglio se insieme a qualcun altro con cui condividerne il ricordo) è preferibile a comprare un gioiello o una macchina di grossa cilindrata.

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