
FUSIONE NUCLEARE, L’ENERGIA DELLE STELLE
Le reazioni di fusione permettono alle stelle di brillare. Possono generare un’enorme quantità di energia in modo pulito, ma sono difficili da controllare. Così la scienza cerca di domarle
Chissà che cosa ne avrebbero pensato gli antichi Greci. Per loro, Prometeo era l’eroe che aveva rubato il fuoco agli dèi, fornendo agli uomini una preziosa fonte di energia. Oggi sappiamo che il fuoco è generato da reazioni chimiche di combustione che coinvolgono il guscio esterno degli atomi. Ma l’uomo – moderno Prometeo – si vuole spingere oltre. E così non si accontenta di muovere la parte esterna degli atomi: vuole entrare nel loro cuore, nei nuclei, che sono molto più piccoli e possono sprigionare per ogni reazione un’energia milioni di volte superiore. È l’energia delle reazioni nucleari, quella che fa brillare le stelle.
NEL CUORE DELL’ATOMO
La sfida è di tale portata da coinvolgere tutto il Pianeta: ben 35 nazioni partecipano infatti a Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), l’esperimento che ha in programma di dimostrare la fattibilità scientifica della fusione entro il 2050. Importante la partecipazione dell’Italia, con i suoi ricercatori, le sue industrie e un esperimento aggiuntivo, Dtt (Divertor Tokamak Test facility), in costruzione nel centro Enea di Frascati, nei pressi di Roma. Per comprendere questi esperimenti, è però necessario partire dall’inizio.
Che cos’è, allora, la fusione? «È un processo che coinvolge il nucleo, il seme più profondo dell’atomo», spiega Piero Martin, docente dell’Università di Padova e responsabile della fisica per Dtt. «Già gli atomi sono piccoli, i nuclei sono centomila volte più piccoli. Al loro interno, però, ci sono potenzialità enormi. La fusione è il processo nel quale due nuclei si fondono tra loro: è l’opposto della fissione».
La fissione, lo ricordiamo, è il processo in cui nuclei pesanti come quello dell’uranio si scindono in nuclei più piccoli, emettendo energia e radiazioni: è il principio della bomba atomica e delle vecchie centrali nucleari. La fusione, invece, è il fenomeno che fa brillare le stelle come il Sole. Ed è molto più pulita.
POCHE RADIAZIONI, NO GAS SERRA
Perché? «I prodotti delle reazioni di fissione sono radioattivi e hanno un tempo di decadimento che può essere anche di migliaia di anni, per questo devono essere immagazzinati con cura in luoghi sicuri, spesso sottoterra», spiega Martin. I prodotti della fusione, invece, in sé non sono radioattivi, ma rendono (debolmente) radioattive le superfici che colpiscono, e quindi le pareti del reattore in cui si trovano. «Questa radioattività indotta ha però una vita media di poche decine di anni, ed è quindi facilmente controllabile», dice Martin. La fusione ha anche due altre caratteristiche d’importanza strategica: non emette anidride carbonica (CO2) e può essere usata in modo da garantire una fornitura costante di energia, senza le oscillazioni che hanno le fonti rinnovabili. «È proprio l’unione di queste due fonti (fusione e rinnovabili) che ci permetterà in futuro di avere un paniere energetico completo e decarbonizzato», conclude Martin.
DIECIMILA KM CON… 1 BOTTIGLIA D’ACQUA
Ma come avviene esattamente il processo di fusione? Le reazioni che si usano in tutto il mondo utilizzano due “varianti” (dette isotopi) dell’idrogeno, il deuterio e il trizio. Entrambi questi elementi hanno le stesse proprietà chimiche dell’idrogeno, ma sono più pesanti. Il deuterio si può estrarre dall’acqua, dove si trova in una frazione di 0,015% rispetto all’idrogeno: basta il deuterio contenuto in una bottiglia d’acqua per generare la stessa energia di 500 litri di gasolio, quanto basta a percorrere 10mila km in automobile. Il trizio, invece, è instabile e ha un tempo di decadimento breve (12,3 anni), quindi deve essere prodotto in continuazione. È più costoso del deuterio, ma visti gli interessi in gioco non è un grande problema.
Alla fine, una reazione tipica di fusione avviene così: un nucleo di deuterio reagisce con uno di trizio, producendo un nucleo di elio e un neutrone. «Entrambe queste particelle vengono prodotte con una certa energia cinetica, cioè di movimento», spiega Martin. «Il neutrone, in particolare, può essere fermato da uno strato di materiale all’esterno del reattore, che si scalda e permette di ricavare energia elettrica. L’elio, invece, rimane nel reattore, quindi cede la sua energia per riscaldare l’ambiente in cui avvengono le reazioni». Le temperature necessarie sono elevatissime: 100 milioni di gradi e più, quasi 10 volte più alte che nel centro del Sole. Recentemente queste condizioni sono state raggiunte per 20 secondi presso il reattore Kstar in Corea del Sud, uno dei tanti che contribuiscono all’obiettivofinale di Iter di realizzare le condizioni per ottenere la fusione in modo controllato e stabile nel tempo. Oltre alla temperatura, contano infatti anche altri parametri, come la densità e il confinamento. La densità richiesta, rispetto a quello cui siamo abituati, è molto bassa: 100mila volte inferiore a quella atmosferica. E questo rende la fusione un processo sicuro, perché con densità del genere non si possono produrre esplosioni disastrose. In totale, all’interno di Iter ci sarà 1 grammo di deuterio e trizio racchiusi in uno spazio di 840 m3, l’equivalente di un cubo di quasi 10 metri di lato. E qui arriva l’altro punto critico: come si fa a confinare la “nube” di combustibile (più esattamente, il “plasma”) a una temperatura che disintegrerebbe qualsiasi barriera materiale? «Il contenitore ha una duplice struttura», spiega Martin. «C’è una parte materiale, fatta di acciaio, che deve garantire lo stato di vuoto all’interno del quale inserire il plasma e far avvenire la reazione.Mada sola non basta, anche perché se il plasma ne toccasse le pareti si contaminerebbe e perderebbe la sua efficienza. Perciò si usa in aggiunta un contenitore immateriale, costituito da un campo magnetico, che come una rete ingabbia i nuclei coinvolti nelle reazioni». Anche la forma conta. Il reattore – detto tokamak – ha infatti l’aspetto di una ciambella gigante, la geometria che ha finora consentito di ottenere i risultati migliori.