
GLI EQUIPAGGI DEL FUTURO
Passeggeri criogenizzati, robot autoreplicanti e dotati di una coscienza, cloni da far crescere su altri pianeti, sono solo alcuni dei modi possibili con cui l’umanità si appresta a colonizzare le stele
L’esplorazione dello spazio porta con sé molte problematiche. Una di queste è la distanza che separa i vari corpi celesti, come i pianeti e le stelle, dalla Terra. Distanze così enormi che per coprirle potrebbero volerci secoli. Quindi, o si ottimizzano i tempi dei viaggi, ma la tecnologia non è ancora così avanzata da poterlo permettere, o si va a operare sull’equipaggio destinato a questi viaggi lunghissimi. Ma in che direzione? Costruire una nave spaziale, portarla a destinazione e iniziare un processo di colonizzazione del lontano pianeta, potrebbe essere un progetto che ha bisogno di diverse generazioni. Che genere di equipaggio potrebbe sostenere un viaggio simile? Si parla di cloni, ibernazione umana, robot autoreplicanti. Vediamo come stanno veramente le cose sul lato pratico.
Equipaggi multigenerazionali
Immaginiamo di dover raggiungere un pianeta, considerato abitabile, a cento anni luce da noi. Con una nave ad antimateria, ad esempio, potremmo impiegare duecento anni. Se una generazione corrisponde a circa vent’anni, nella navicella nasceranno
dieci generazioni umane. In un viaggio così lungo va monitorato tutto. La popolazione dovrà mantenersi stabile, senza andare incontro al rischio di estinzione. Di conseguenza vanno monitorati anche il cibo disponibile e le riserve e tutto dovrà essere riciclato. E, da non sottovalutare, il problema della noia, a cui bisognerà far fronte. La simulazione computerizzata di realtà virtuali potrebbe essere un rimedio, ma resta il fatto che la comunità dovrà vivere in un habitat confortevole, essendo l’unico che conoscerà. A bordo ci dovrà essere qualcuno che prenda decisioni, assegni degli incarichi e supervisioni l’intera attività della nave, ma tutti dovranno poter essere sostituiti in caso di inconveniente, per non lasciare ruoli scoperti. Tutto ciò dovrà essere trasmesso alla generazione successiva e poi a quella che verrà dopo. E se un giorno una generazione non volesse più portare avanti la missione? O se qualcuno prendesse il potere e sovvertisse la missione? Un rischio verosimile.
Sonno criogenico
In molti film di fantascienza – ad esempio Passengers del 2016, diretto da Morten Tyldum – viene affrontato il tema del “sonno criogenico”. Nella pellicola, un gruppo di terrestri, per diversi motivi, decide di abbandonare la Terra e trasferirsi su un nuovo pianeta. Li attende un viaggio di 120 anni. L’equipaggio ibernato dovrà essere risvegliato solo quando sarà prossimo all’arrivo. L’astronave è completamente automatizzata. Ma qualcosa va storto e una parte di esso viene “risvegliata” in anticipo di 90 anni. Ma sarebbe possibile nella realtà?
In natura, durante l’inverno, alcune specie animali ricorrono a questo stratagemma. Abbassano la temperatura corporea e rallentano le funzioni vitali, per poi risvegliarsi in primavera e riprendere la vita come se nulla. Grazie alla presenza del glucosio, il punto di congelamento del sangue si abbassa, rimanendo liquido e garantendo il mantenimento delle funzioni corporee di base. Altrimenti, con l’abbassamento della temperatura, nel sangue si formerebbero dei cristalli di ghiaccio che espandendosi fuori e dentro le cellule provocherebbero la rottura delle membrane. Nel corpo umano, però, una concentrazione troppo alta di glucosio risulterebbe tossica per l’organismo, quindi si è cercato di aggirare il problema usando la combinazione di sostanze chimiche, allo scopo di abbassare il punto di congelamento ed evitare il formarsi di tali cristalli. Si chiama processo di “vitrificazione”, che però, purtroppo, finora non ha prodotto i risultati sperati. Spesso le sostanze chimiche usate si sono rivelate velenose e mortali. A oggi, nessuna persona è stata ibernata e “risvegliata” con successo, e la tecnica dell’animazione sospesa non è ancora sicura. Ma si sa, la scienza progredisce a grandi passi e in un futuro non troppo lontano le questioni tecniche, ora di ostacolo, potrebbero essere brillantemente superate. Diciamo che, virtualmente, almeno per l’immediato presente, il sonno criogenico potrebbe essere il modo ideale per affrontare viaggi interstellari e gli scienziati confidano di renderlo fattibile quanto prima. Supponiamo, tuttavia, che l’equipaggio ibernato si trovi in una situazione di emergenza, come il possibile impatto con un asteroide (come nel film Passengers) e si dovesse ricorrere a riparazioni urgenti. Potrebbe essere necessario l’intervento esperto di un umano, qualora l’intervento di un eventuale robot non fosse sufficiente. Sarebbe necessaria, insomma, una piccola comunità di ingegneri esperti che possa essere svegliata al momento del bisogno. Per poi ibernarla di nuovo?
I cloni
Per colonizzare un nuovo pianeta si potrebbe ricorrere a un’altra tecnica: l’invio di embrioni contenenti il nostro DNA, che, una volta giunti a destinazione, potrebbero essere fatti evolvere. Un’alternativa potrebbe essere quella da utilizzare nella creazione di nuovi esseri umani. La clonazione sarebbe una buona alternativa, grazie alla quale si potrebbe evitare l’impiego di grandi navi in cui ricreare ambienti artificiali che allietino la vita di bordo. Ma a che punto è la clonazione umana? Secondo gli scienziati, tutto sarebbe pronto, se non fosse per una questione etica. Potrebbero allora essere progettati dei robot col compito di far sviluppare dei cloni. Gli esseri creati sarebbero geneticamente uguali a noi, senza però i nostri ricordi e la nostra esperienza. Al momento, infatti, non sembra possibile trasferire nei nostri (eventuali) cloni anche la nostra personalità e memoria.
L’immortalità
Un altro metodo per evitare il processo di ibernazione e clonazione potrebbe riguardare la ricerca dell’immortalità, tema caro alla letteratura e a molte pellicole cinematografiche, e che è diventato quasi un’ossessione. L’aspettativa di vita è andata via via aumentando e arrivati a questo punto è possibile che la scienza sia prossima a scoprire il segreto del processo d’invecchiamento. Oggi la ricerca dell’immortalità è divenuta un business che ha attirato le persone più ricche del pianeta e un valido supporto potrebbe arrivare dalla genetica, ossia dalla manipolazione dei geni. Chissà che anche l’immortalità possa dare il suo prezioso contributo per affrontare i lunghissimi viaggi nello spazio?
Equipaggio di automi
Il prossimo passo della robotica, dopo le macchine controllate a distanza, sarà quello di progettare robot in grado di prendere decisioni autonomamente, riducendo o eliminando l’intervento umano. Automi in grado di viaggiare a lungo ed esplorare da soli pianeti lontani (anche perché ci vorrebbero ore per dare istruzioni via radio). Nella colonizzazione di un nuovo mondo sarebbero loro a svolgere i lavori più pericolosi, una volta raggiunta la destinazione. In ambienti a bassa gravità, non avrebbero problemi a trasportare carichi pesanti e tutto il necessario per la realizzazione di una base in cui stabilirsi, e non necessiterebbero nemmeno delle ingombranti tute per fronteggiare i brillamenti solari e i raggi cosmici. Nel caso si rompesse qualche parte meccanica, si potrebbe tranquillamente sostituire. Potrebbero bonificare ambienti pericolosi per l’uomo e non avrebbero bisogno di ossigeno. Oltre che nel viaggio, gli automi giocherebbero un ruolo essenziale nella fase di colonizzazione del nuovo mondo, creando, ad esempio, città e strade su Marte. Ma quanto siamo ancora lontani da questa realtà?
Le macchine in grado di apprendere saranno la chiave di svolta per l’esplorazione dello spazio. Robot dotati di reti neurali potranno apprendere la gestione di situazioni improvvise come nel caso di una pioggia di meteoriti sul pianeta in cui si trovano. Le reti neurali in un robot portano al cosiddetto “apprendimento profondo”, un’avanzatissima tecnologia rivoluzionaria. Ma i robot in grado di apprendere dal confronto con l’ambiente potrebbero non bastare nel caso volessimo automi in grado di tirar su, da soli, intere città, palesando quale sarà la sfida più estrema per la robotica: creare macchine che abbiano un’autocoscienza e che siano autoreplicanti.
Macchine autoreplicanti e autocoscienti
L’autoreplicazione degli esseri viventi sta alla base della vita stessa ed è possibile grazie alle informazioni nel DNA, una particolare molecola in grado di riprodursi. E se anche le macchine fossero in grado di simulare questa replicazione?
Nel 1980, la Nasa guidò il progettostudio “Advanced Automation for Space Missions” (Automazione avanzata per le missioni spaziali), che riguardava l’importanza dei robot autoreplicanti ai fini della costruzione di insediamenti lunari. Robot per l’estrazione mineraria, per le costruzioni, le riparazioni e la manutenzione. Questo progetto fu lanciato in concomitanza con i quintali di rocce lunari che gli astronauti riportarono sulla Terra ed è stato rivalutato recentemente grazie al ritrovato interesse per la Luna e per Marte.
La tecnologia disponibile oggi è molto più avanzata e la robotica si affida alle stampanti 3D, talmente avanzate da poter creare tessuti umani, facendo uscire una cellula dopo l’altra da un beccuccio microscopico, e in futuro le stampanti 3D potrebbero ricreare i tessuti organici degli esseri viventi, o le parti di macchine necessarie per produrre un robot autoreplicante.
Il primo robot autoreplicante sul pianeta da colonizzare sarebbe il più complicato da produrre perché comporterebbe l’invio di molte attrezzature industriali. Una volta creato, potrebbe generare una copia di sé, autonomamente, e così via.
La crescita esponenziale dei robot autoreplicanti creerebbe una comunità abbastanza numerosa da poter trasformare i desertici paesaggi del pianeta in questione in luoghi abitabili. Il passo successivo della robotica riguarderà lo sviluppo di robot autocoscienti, ovvero macchine in grado di comprendere chi sono e assumere ruoli dirigenziali,
supervisionare altri robot, pianificare, proporre soluzioni di problemi, interagendo con gli uomini in tutto e per tutto. Ovviamente, questo solleverà questioni etiche e di sicurezza, nel timore di un eventuale loro sopravvento sugli esseri umani. In vista di una colonizzazione spaziale, noi dipenderemo pesantemente dai robot. E se poi queste macchine non avessero più bisogno di noi? E se si impossessassero delle colonie? Quella del sopravvento dei robot è una paura antica, che tuttavia, secondo alcuni scienziati, non è altro che la normale direzione dell’evoluzione.