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I SERPENTI E I LORO PARENTI

Specie diverse hanno una cosa in comune: sono letali. Ma perché questo accada, e come la natura abbia creato i veleni, e una storia lunga e complessa

La prima esigenza di ogni animale è la difesa. La seconda trovare cibo.E non sempre è possibile essere dotati della velocità della gazzella o degli artigli del leone. Per questo moltissime specie si affidano alla chimica. Cioè a molecole che bloccano, paralizzano, disgregano le cellule e fermano i segnali nervosi: in una parola, ai veleni, alla guerra chimica. Dalle meduse ai ragni, dagli insetti ai rettili, fino agli uccelli e ai mammiferi, in ogni gruppo di animali c’è qualche specie velenosa. Pochissimi sono gli uccelli o i mammiferi (l’ornitorinco è velenoso, così come alcuni toporagni o pipistrelli, e persino un primate), ma i serpenti velenosi sono seicento e decine di migliaia sono i ragni o gli insetti dotati di quest’arma.

«Diversi gruppi di animali hanno evoluto il veleno in modo indipendente», afferma l’erpetologo Nick Casewell, della Scuola di medicina tropicale di Liverpool, «quindi sebbene la funzione generale sia la stessa, proteggersi o aggredire, l’origine dei sistemi di veleno è diversa». Quel che sappiamo è che la storia del veleno nelmondoanimale è estremamente antica: le prime meduse risalgono a oltre 500 milioni di anni fa, i ragni a oltre 130 milioni e i serpenti velenosi a circa 60 milioni.

MILLE VELENI

Non è facile dare ai veleni una definizione precisa: la più generica, secondo Nick Casewell, sarebbe «una secrezione, prodotta in ghiandole specializzate, in una specie, e somministrata a un altro animale».

In generale, i veleni sono costituiti da una miscela di proteine e tossine (piccole molecole chiamate peptidi), sali e altri componenti, come aminoacidi e neurotrasmettitori. Ma da lì si apre un intero universo: ogni specie ha un suo scopo. Chi li usa come un’arma di difesa ha quasi tutto il corpo velenoso: per esempio pesci, larve di farfalle, e chinodermi e altri animali sono del tipo “semiassaggi muori”. I loro veleni sono costituiti da poche molecole, dall’azione rapida ed estremamente efficace: devono immediatamente far sentire al nemico una pena indicibile, che lo convinca a non farsi più vedere nei dintorni e a lasciare in pace animali simili a quello che l’ha colpito. Anche se le cosiddette “rane del veleno”, coloratissimi anfibi tropicali, sono decisamente mortali. Un solo esemplare di Phyllobates terribilis contiene circa un milligrammo di veleno: sarebbe sufficiente a uccidere da 10 a 20 uomini (deve però raggiungere il sangue).

Altri animali utilizzano il veleno per attaccare: ragni, serpenti, vespe, polpi e altri molluschi, scorpioni e parecchi altri animali immobilizzano la preda con un rapido colpo, o un morso, e aspettano che muoia. Per colpire hanno sviluppato tutta una serie di strumenti che facilitano l’iniezione: zanne, arpioni, pinze, spine e pungiglioni (vedi riquadro nelle prossime pagine). È infatti nei veleni usati per colpire le prede che la natura ha scatenato la sua fantasia, a volte perversa. Ogni animale infatti ha inventato un “suo” veleno. Ogni serpente, ogni mollusco, ogni insetto ha un suo cocktail di molecole, profondamente diverso da altre e con funzioni differenti: le combinazioni più strane per uccidere ed evitare di essere uccisi.

COLPITI AL CUORE

I due principali meccanismi di funzionamento di questi intrugli sono la citotossicità e la neurotossicità. La prima è diretta alle cellule delle vittime, la seconda alla trasmissione del segnale al sistema nervoso. Nel primo caso possono essere colpite e letteralmente disciolte le cellule attorno alla ferita; il veleno potrebbe anche aggredire le cellule del cuore, o ancora quelle del sangue. Che i veleni vadano sugli organi bersaglio più delicati e sensibili lo dimostra il fatto che centinaia di specie diverse, pur avendo nella loro miscela molecole molto differenti, colpiscono proprio le cellule del sangue o il cuore, con precisione. Molti serpenti, come il mamba e le vipere, inibiscono per esempio l’aggregazione delle cellule sanguigne che fanno rimarginare le ferite unendosi assieme (le piastrine); il sangue scorre quindi a fiumi e la vittima sviene e muore. Il morso di un mamba nero (Dendroaspis polylepis), per un uomo, significa morte certa entro 20-30 minuti. Alcuni toporagni americani avvelenano invece le prede con la blarinatossina, che agisce da vasodilatatore, così come fa il veleno di alcuni imenotteri.

Le neurotossine bloccano invece la trasmissione dei segnali nervosi e quindi paralizzano i muscoli o altri organi; sono usate da serpenti e ragni, e anche da alcuni tra i più insospettabili animali velenosi, i molluschi. In particolare da uno degli animali più velenosi del mondo, il polpo ad anelli blu. O ancora da piccole conchiglie chiamate coni. Le loro case, splendidamente decorate da motivi che ricordano un po’ l’arte “optical”, proteggono un animale dotato di una lingua trasformata in arpione velenosissimo, usato per impalare e paralizzare i pesci. E colpire anche l’incauto turista che, attirato dai colori, raccoglie le conchiglie: qualche decina di persone ci ha rimesso la pelle. Quello dei coni è però un veleno “misericordioso”: le vittime non sembrano soffrire, perché contiene un analgesico.

UN TRUCCO DELL’EVOLUZIONE

Per arrivare a essere dotato di veleno, ogni gruppo di specie ha una storia particolare. «Per esempio, molti pesci che hanno evoluto veleni di difesa vivono in bassi fondali della barriera corallina, e in genere sono animali lenti», spiega Casewell. «Si pensa inoltre che la maggior parte dei pesci abbia sviluppato le cellule del veleno dall’epidermide, mentre i veleni delle api derivino da cellule in una parte molto diversa del corpo, quelle di ghiandole riproduttive modificate». Ragni e serpenti invece mordono, e quindi il veleno è molto probabilmente derivato dalla saliva. In tutti i casi, si parte quasi sempre da molecole che già hanno un’azione sulle cellule. «Proprio le ghiandole salivari secernono enzimi utili ad agire su altre proteine (come le proteasi della saliva, che attaccano le proteine per iniziare la digestione). Gli stessi composti si trovano spesso nel veleno in forme modificate, ma molto più abbondanti», spiega Casewell.

Come si arriva a questi cocktail mortali? Con la selezione naturale: se in una popolazione di serpenti o ragni o meduse qualcuno è anche solo leggermente più velenoso dei suoi “parenti”, riesce a sopraffare le prede con maggiore efficacia, si nutre meglio e fa più figli. È la legge di natura scoperta da Darwin, che premia proprio chi si riproduce di più, in questo caso gli individui che usano il veleno per attaccare o gli animali che lo utilizzano per difendersi. Una volta dotate di queste armi, le specie velenose vanno spesso incontro a un’accelerazione dell’evoluzione. Si affermano cioè nell’ambiente in cui vivono. Migliaia di generazioni successive portano poi i veleni a diventare sempre più complicati, sempre più letali. Alcuni animali, come gli scorpioni o i coni, sono in grado di produrre addirittura due veleni diversi. Uno per difendersi, l’altro per attaccare. Poiché dal punto di vista energetico i veleni d’attacco sono molto dispendiosi da produrre, meglio usarli solo quando sono strettamente necessari, ovvero quando si ha fame e si devono bloccare le prede.

Molti serpenti, come i crotali, adottano anche altri metodi per risparmiare veleno: possono infatti decidere di non iniettare la sostanza letale, mausare il morso “a secco” solo per spaventare l’eventuale aggressore.

C’È CHI SI DIFENDE BENE

Con queste armi che sciolgono le cellule, bloccano la trasmissione dei segnali al sistema nervoso e fanno crollare la pressione sanguigna, si potrebbe pensare che gli animali velenosi dominino il Pianeta. L’evoluzione però funziona anche per le possibili vittime; nel giro delle stesse centinaia di migliaia di anni, le prede hanno sviluppato una resistenza ai veleni ingeriti, oppure iniettati o “sparati” dai predatori. Come fanno? A volte modificando i recettori sulla parete delle cellule, le molecole dove si agganciano le tossine. Altre volte i veleni stessi vengono aggrediti e resi innocui da sostanze prodotte dalle “ex” vittime. Contemporaneamente, serpenti e scorpioni, ragni e molluschi (che devono pur mangiare) evolvono a loro volta veleni e tossine differenti che cercano di superare le barriere delle prede. Si innesca così una vera “corsa agli armamenti”, fino ad avere predatori che si specializzano in vittime particolari (ci sono serpenti chemangianole tossiche “rane del veleno”), e prede che sviluppano sempre di più la resistenza alle pozioni mortali.

Insomma, come tante altre invenzioni della natura, il veleno ha spinto ad attacchi, difese e contrattacchi che rendono il mondoanimale, anche se letale, estremamente affascinante.


VELENI PER TUTTI I GUSTI

Una classifica di efficacia dei veleni è molto difficile. Molto dipende dallo stato di salute della persona colpita, dalla risposta al veleno e da altri fattori. Per questo si usa una misura chiamata LD50, cioè la dose che uccide il 50% delle cavie cui è stato iniettato il veleno. In base a questa misura, il veleno animale più potente è la batracotossina: ne bastano da 2 a 7 microgrammi per chilogrammo per uccidere (140 microgrammi per un uomo di 70 chili). Molto efficace è anche la latrotossina, prodotta dalla vedova nera, e il veleno della medusa australiana Chironex fleckeri. Il serpente più velenoso è il taipan dell’interno (Oxyuranus microlepidotus), australiano, seguito dal serpente di mare di Dubois (Aipysurus duboisii). L’aracnide più velenoso è il ragno delle banane brasiliano (Phoneutria fera). I più efficaci però sono le tossine prodotte dai batteri, come la tossina botulina o quella del bacillo di Nicolaier, il batterio del tetano.


LE SIGNORE OMICIDI

Anche se alcuni animali usano la chimica per attaccare e difendersi, le vere padrone dei veleni sono le piante. A parte le barriere fisiche, come spine o aculei, i mezzi che le piante usano per impedire di essere mangiate (di solito da insetti, vermi o funghi) sono molecole estremamente complesse e potenti. Il veleno naturale più efficace nel regno vegetale è la abrina, derivato dalla cosiddetta pianta del rosario (Abrus precatorius): 49 microgrammi possono uccidere un uomo di 70 chili. Un composto simile, la ricina, è prodotto dalla pianta del ricino (Ricinus communis), quella da cui si estrae l’olio lassativo. Entrambe le molecole bloccano i ribosomi, le microscopiche fabbriche in cui la cellula produce le proteine. Le azioni delle altre tossine vegetali sono le più varie, e si va da composti che interferiscono col sistema nervoso, ad altri che fermano la respirazione o la digestione, fino a quelli che danneggiano le pareti dell’intestino. La cicuta (Conium maculatum), per esempio, interferisce con un neurotrasmettitore cerebrale, il Gaba, e il risultato è il coma e la morte in pochi minuti. Anche piante commestibili, come la soia o addirittura il grano, difendono i propri semi con tossine che ostacolano la digestione delle proteine. Le piante però non si sono evolute direttamente per difendersi dagli uomini, o anche dai mammiferi. I loro nemici principali sono gli insetti e i funghi, che sono continuamente alla ricerca di foglie o frutti nutrienti. Tutte le lectine, per esempio, molecole molto antiche, sono prodotte per colpire funghi e insetti: il problema è che noi umani a livello cellulare siamo molto simili agli insetti e addirittura ai funghi. La lectina del germe del grano ha per esempio sugli uomini effetti tossici: agisce sul sistema nervoso, sul cuore e nelle cellule (anche se è troppo poca per farci male), ma il suo scopo è quello di bloccare la crescita dei funghi.

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