
IL FUTURO IN PUNTA DI MATITA
Il grafeneè una nuova forma del carbonio con innumerevoli potenziali applicazioni, dalla trasmissione dati per il 5G ai vestiti intelligenti. Ecco a che punto siamo
Il futuro è scritto sulla punta di una matita. Se lo potessimo sfogliare, separando uno dopo l’altro i singoli strati di grafite che compongono la mina, occuperebbe (solo la punta!) una superficie di alcuni metri quadrati. Quanto basterebbe a ricoprire il nostro corpo di tecnologie futuristiche. Perché quello strato sottilissimo che si verrebbe a formare si chiama grafene, una nuova forma del carbonio che si preannuncia ricchissima di applicazioni. Oggi, solo circa 20 anni dalla “riscoperta” di questo materiale, ci sono sci, racchette da tennis, caschi, auricolari. E questo è niente in confronto a quello che comincia a prendere forma nei laboratori di tutto il mondo: circuiti flessibili, vestiti pieni di elettronica e sensori, edifici che autocontrollano il proprio stato e perfino cellule artificiali capaci di pattugliare l’ambiente (e il nostro corpo) per difenderci dai nemici invisibili – virus, batteri, tumori – che minacciano la nostra salute.
SOTTILE, FLESSIBILE, TRASPARENTE
Il grafene è da tanti punti di vista una meraviglia scientifica. Per dirne una, è stato il primo materiale 2D scoperto, in quanto si estende su 2 dimensioni – lunghezza e larghezza – mentre lo spessore è veramente minimo: un solo strato atomico. Il materiale in sé era già stato teorizzato e osservato in precedenza; ma il vero risveglio di interesse è esploso nel 2004, quando i due fisici e premi Nobel Andre Geim e Konstantin Novoselov, in un laboratorio di Manchester, si sono accorti che con un pezzo di scotch appiccicato alla mina di una matita era possibile estrarre un singolo strato stabile di grafite, con proprietà che lo rendono unico per le applicazioni: il grafene è 200 volte più resistente dell’acciaio, flessibile, trasparente, leggero, biodegradabile, conduce l’elettricità e il calore rispettivamente del 60% e 5 volte più del rame.
Per questo nel 2013 l’Unione Europea ha lanciato la Graphene Flagship, un ambizioso programma di ricerca che coinvolge più di 160 partner di 21 nazioni (v. riquadro alla prossima pag.), rendendo di fatto l’Europa leader mondiale nel settore. La Flagship ha generato nuove società (spin-off ) e decine di brevetti internazionali e di nuovi prodotti. E siamo appena all’inizio di un futuro tutto da inventare. Henrik Sandberg, responsabile per la ricerca al centro Vtt di Helsinki, sta sviluppando circuiti flessibili da incorporare, per esempio, nei vestiti. «Mi occupo soprattutto di elettronica stampata, usiamo cioè inchiostri che contengono grafene per condurre l’elettricità o funzionare come sensori. Così possiamo realizzare circuiti su carta, su plastica e sui tessuti. Rispetto a quelli metallici, sono più resistenti alle pieghe e quindi più adatti, per esempio, a essere indossati. Stiamo sviluppando materiali e metodi per avere circuiti integrati nei vestiti, per misurare il movimento, la pressione, il battito cardiaco e altre proprietà che consentono di monitorare le performance. Stiamo studiando come integrare sempre più elettronica, con nuovi sensori e sistemi di alimentazione e di comunicazione dei dati». E già si pensa a come ricaricare le batterie estraendo energia dal movimento, dal Sole e dai campi elettromagnetici che ci circondano.
OLTRE IL 5G
Le stesse batterie, in futuro, conterranno sempre più grafene. «Solo in questo settore si prevede un potenziale di mercato superiore ai cento milioni di euro entro il 2025, con una crescita superiore al 50% annuo», spiega Andrea Ferrari, direttore del Cambridge Graphene Center (Uk). «Già oggi il grafene è usato negli elettrodi. È un materiale adatto, perché ha una superficie elevata e resiste bene al passaggio di corrente». Avanzando nella ricerca, con tecniche più avanzate, si punta a realizzare batterie più leggere o con capacità maggiore a parità di peso.
Poiché è trasparente, il grafene è adatto anche a realizzare gli elettrodi che raccolgono la corrente generata dalla luce nei pannelli fotovoltaici, e in più può essere usato per migliorarne l’efficienza. «Ma le applicazioni più interessanti riguardano l’optoelettronica», enfatizza Ferrari. «Oggi il 4% delle emissioni di gas serra è dovuto alla trasmissione di dati in Internet; con il grafene è possibile ridurre il costo energetico per bit di mille volte». Come? Ricordiamo che un bit è un’unità di informazione, che può valere 0 o 1. «Nei circuiti tradizionali di silicio c’è consumo di energia sia quando c’è il passaggio di 0, sia di 1. Nei circuiti con il grafene – che usano materiali più puri e un’architettura più semplice –, invece, c’è consumo di energia solo nel momento in cui si passa da 0 a 1 e viceversa». Così è possibile inviare molti più dati a un costo inferiore e con meno emissioni di CO2: oggi è un vantaggio; domani sarà una necessità con la tecnologia 5G e oltre, perché altrimenti con il passaggio di dati i nostri smartphone si surriscalderebbero in un istante.
E qui si apre un altro campo di applicazione: i cellulari. Perché nel grafene l’elettricità scorre velocissima, dato che gli elettroni si muovono come se non avessero massa. E diventa così possibile gestire i dati super veloci necessari alle telecomunicazioni di prossima generazione.
ANGOLI MAGICI E MURI INTELLIGENTI
Le applicazioni e le ricerche sono davvero tante, a volte sorprendenti. Il grafene diventa superconduttore se si sovrappongono tra loro due strati ruotati di un angolo “magico” di 1,1°. Può essere usato per realizzare elettrodi da collegare al cervello, per trasformare i muri in casse acustiche o rendere i pavimenti capaci di accorgersi (e segnalare) quando passa qualcuno. Viene sperimentato da Tetra Pak per lo sviluppo di nuovi sistemi di imballaggio più resistenti, più riciclabili e “intelligenti” grazie all’integrazione di sensori. E si è dimostrato efficace anche per tenere alla larga le zanzare: un team della Brown University (Usa) ha scoperto che uno strato di ossido di grafene non solo è una barriera impenetrabile alla puntura di questi insetti, ma blocca perfino le molecole che li attirano.
Tutte queste applicazioni richiedono una produzione sempre maggiore del materiale. Ma, nonostante grafite e carbonio siano molto diffusi, questa resta una sfida. «Ci sono due modi principali per produrre grafene», spiega Ferrari. «Si può usare la deposizione chimica da vapore, che consente di stendere uno strato di alta qualità alla volta su un substrato, ed è utile nella realizzazione di circuiti integrati. E si può usare l’esfoliazione in fase liquida, che consiste nel mettere un pezzo di grafite in una soluzione e staccare i vari strati per mezzo di vibrazioni: in questo modo si possono produrre tonnellate di materiale». C’è però ancora un problema di qualità del prodotto, e l’esigenza di definire standard e certificazioni adeguate per i vari processi industriali e le differenti applicazioni. «Solo in Cina ci sono migliaia di produttori», chiarisce Ferrari. E molti producono qualcosa di più simile alla grafite che al grafene. «I produttori europei hanno un’ottima reputazione», conclude. «In Italia, per esempio, ci sono DirectaPlus a Como, BeDimensional a Genova e tanti altri». In più, oltre al grafene, c’è tutta una gamma di altri materiali 2D che, trainati dal successo del primo, offrono un’ampia scelta per scienziati e ingegneri.
Prepariamoci dunque a una nuova sostanza che, come già ha fatto la plastica (con tutti i suoi pregi e difetti, v. Focus n° 322), nel giro di pochi decenni potrebbe arrivare ovunque attorno a noi. Tomás Palacios, direttore del centro per dispositivi a base di grafene e sistemi 2D del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston, negli Stati Uniti, dice: «Il grafene e gli altri materiali 2D hanno proprietà uniche. Già il fatto che siano così sottili e che possano essere trasferiti su qualsiasi supporto li rende rivoluzionari, perché consente di portare l’elettronica ovunque e rendere qualsiasi oggetto “intelligente”. Penso che questo concetto di intelligenza ubiqua sia una nuova direzione da esplorare».
CELLULE ARTIFICIALI
Palacios è convinto che nei prossimi anni la tecnologia si svilupperà a ondate. «La prima è quella che stiamo vivendo oggi», spiega. «Molte applicazioni attuali servono per migliorare le proprietà meccaniche, elettriche e termiche dei materiali esistenti. La seconda riguarderà l’integrazione del grafene con il silicio, per migliorare l’elettronica tradizionale, e cioè circuiti, sensori, celle fotovoltaiche. La terza ondata porterà l’elettronica su larga scala: sulla carta (con nuove tecniche di rotativa), nei vestiti e, con la stampa in 3D, in tessuti, muri, edifici». Per esempio, arriveranno pareti capaci di misurare e contrastare l’inquinamento e ponti in grado di monitorare il proprio stato di manutenzione. «La quarta ondata, quella dell’intelligenza ubiqua, servirà a sviluppare una nuova generazione di micro-sistemi invisibili, simili alle cellule biologiche. Come in natura, ciascuna di queste cellule sintetiche (syncell) è in sé molto semplice, può contenere due o tre sensori, un timer, memoria, un semplice sistema per muoversi e uno per comunicare. Però possiamo renderle molto piccole: abbiamo prototipi di circa 50 micron (millesimi di mm) in diametro, poco più di un globulo rosso. La cosa interessante è che le particelle con diametro inferiore a 60 micron possono essere diffuse nell’aria e rimanere in sospensione per molto tempo: sono quindi adatte e rilevare inquinamento, virus e batteri. Le syncell si possono anche mischiare all’acqua o ad altri fluidi per analizzarli. E possono entrare negli esseri viventi, per esempio nelle piante, per misurare il loro stato di salute e aumentare la produzione agricola. In questo momento stiamo lavorando a un prototipo per registrare una sostanza (putresceina) che la carne emette quando si deteriora». Utile per garantire la freschezza del cibo, e a non buttarlo via prima del necessario evitando inutili sprechi.
Resta un dubbio: le syncell, nate per proteggere la nostra salute, entrando nel nostro corpo non rischierebbero, invece, di danneggiarla? Palacios è ottimista: «A essere dannose sono soprattutto le particelle più piccole del micron; mentre quelle più grandi, come la polvere, sono assorbite con più difficoltà dall’organismo. Però sono necessari molti altri studi. Siamo appena agli inizi di una nuova era, un nuovo modo di pensare ai microsistemi e progettarli».