
IL GRAAL È DENTRO DI NOI
Una ipotesi di interpretazione sul vero e profondo significato del Graal. Attraverso un’analisi storica e simbolica del Graal, l’autore, con il suo saggio dal titolo Il Graal è dentro di noi, tenta di scoprire cosa esso fosse originariamente nel momento della nascita del mito e della sua penetrazione nella cultura occidentale
Parte X
La “Cerca del Santo Graal” è, probabilmente, il massimo esempio di “quest”, di ricerca salvifica, della storia dell’umanità: da quasi mille anni il Graal è oggetto di indagine, di analisi e di discussione e recenti best-sellers, primo fra tutti il Codice da Vinci di Dan Brown non hanno fatto altro che riaccendere i riflettori su questo filone di studi. Chiunque si interessi anche solo incidentalmente all’argomento, non può che rimanere sconcertato dalla serie di teorie localizzative e ritrovamenti che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni: da Roma a Rosslyn, da Siviglia a Petra o a Castel del Monte, il Graal sembra essere rinvenibile ovunque. Ma cosa è rinvenibile? Forse il Calice dell’Ultima Cena che raccolse il Sangue di Cristo? Siamo davvero certi che questo sia l’introvabile Graal?
Il problema è essenzialmente metodologico: prima di chiederci “dove sia il Graal”, dovremmo chiederci “cosa sia il Graal” e la risposta non è affatto scontata. Procediamo con ordine.
Una Pietra…
Il primo dato da prendere in considerazione è che quello del Graal, cronologicamente, è un concetto ben precedente all’idea del calice del preziosissimo sangue. Quest’ultima nasce solo con con la pubblicazione (1180-1199) del poema epico Joseph d’Arimathie di Robert de Boron: si tratterebbe, in sostanza, di un’operazione compiuta in clima crociato per inglobare un mito pre-esistente e ricondurlo in ambito cristiano, quando, in realtà, come dice Julius Evola, «[…] la tradizione cattolica nulla sa circa il Graal, e lo stesso dicasi per i primi testi del cristianesimo in genere». Insomma, si tratta semplicemente della cristallizzazione momentanea, legata a spazio, tempo e cultura dominante, di un sentire più antico. Dunque, se vogliamo risalire alle radici del mito, è necessario ripercorrere a ritroso le tappe che hanno portato a tale oggettivizzazione storicamente temporalizzata e alle numerose altre che l’hanno seguita (il Graal, nel corso dei secoli, è stato identificato in qualcosa come almeno venti “oggetti” diversi). De Boron, scrivendo il suo poema, sostanzialmente si inserisce in un filone tematico molto sfruttato dalla poesia trobadorica: il Graal letterariamente era un soggetto di gran moda e tra il 1180 e il 1240 assistiamo ad una produzione realmente impressionante di testi che lo riguardano. Le storie delle letterature ci dicono che l’iniziatore della “corrente” fu un trovatore provenzale attivo tra 1160 e 1190 di nome Chrétien de Troyes, che, attorno al 1180, scrisse un testo in ottonari in rima baciata dal titolo Il Conte del Graal. Lasciando da parte il fatto che anche Chrétien non parla di nessun calice ma definisce il Graal, in modo un po’ oscuro, semplicemente un contenitore (in provenzale “basin”), capace di contenere l’ostia consacrata, le cose, dal punto di vista della cronologia del mito, non stanno esattamente così. Per capirlo, dobbiamo analizzare la produzione di un autore francone, Wolfram Von Eschenbach, che, tra il 1200 e 1210, scrive il Parzival, da molti visto come una sorta di grande esaltazione dell’Ordine Templare. Ebbene, pur se scritto in periodo posteriore, il Parzival, in effetti, quasi certamente deriva da fonti precedenti il Conte: Wolfram ci dice di aver tratto la sua materia da un testo antico trovato nella biblioteca del suo protettore Hermann di Turingia e di averla integrata con gli scritti di un altro trovatore, tale Kyot, che, a sua volta, si era ispirato al racconto di un arabo, Flegetanis, da lui trovato nella biblioteca di Toledo.
Dal momento che non esiste nessuna ragione per dubitare di una tale derivazione, possiamo risalire il corso delle successive riprese fino ad una data incerta che, però, sicuramente si colloca prima del 1085, anno in cui gli spagnoli riconquistarono Toledo dagli arabi. Ora, visto che Wolfram disegna chiaramente il Graal come «…una pietra del genere più puro […] chiamata lapis exillis. [Se un uomo continuasse a guardare] la pietra per duecento anni, [il suo aspetto] non cambierebbe: forse solo i suoi capelli diventerebbero grigi», questo ci permette di affermare che la prima attestazione scritta del Graal lo definisce semplicemente “una pietra”.
Il Graal, la Pietra e lo Spirito
A questo punto, ciò su cui dobbiamo concentrare la nostra attenzione è, naturalmente, il significato che il “simbolo pietra” assume nel medioevo. Da Jaques Le Goff e Mircea Eliade, infatti, sappiamo che, nel medioevo, ogni cosa, ogni oggetto era simbolo, rimando al mondo superiore e, certamente, non possiamo pensare che la pietra di Wolfram facesse eccezione. È qui che cominciano i maggiori problemi: certamente, nel periodo tra 1100 e 1300, la pietra era un simbolo denso, ricco di significati e sfaccettature. Sulla scorta di Eliade, possiamo riassumere tutti questi significati affermando che, nel medioevo, la pietra rappresenta un segnale della presenza di Dio e della sua potenza, un elemento fondante del potere creativo primigenio, un simbolo di regalità, un ricettacolo di forza cosmica. Sono tutte definizioni che si attagliano perfettamente al Graal di Von Eschenbach: il Graal è ovviamente legato alla presenza e potenza divina (esiste come simbolo divino), è potente dal punto di vista creativo (conservando la vita diventa creatore di vita), su di esso si fonda la regalità (Parzival diventa Re del Graal nel momento in cui è degno del Graal) e sprigiona una forza tale da sostenere chiunque lo avvicini. Sembra, però, che, a questo punto la nostra analisi si debba fermare: anche se siamo in possesso della nozione di Graal come simbolo oggettivizzato in una pietra, ci mancano gli elementi per il salto di qualità successivo nelle nostre conoscenze. Abbiamo un significante (oggetto) che, essendo simbolo, deve forzatamente rimandare ad un “oltre” di natura superiore che sia reale significato del simbolo stesso ma che, proprio a causa della ricchezza simbolica della “pietra” nel medioevo, non possiamo per ora compiutamente definire. Fortunatamente ci viene in aiuto quel grande condensatore di ritualità misterica che è la Massoneria, la società iniziatica che, nel corso della sua storia, più di ogni altra ha preservato, consciamente o inconsciamente, la tradizione del pensiero sapienziale medioevale e che ben conosce, all’interno della sua visione spirituale, il simbolo della pietra. Per chiunque abbia una minima conoscenza della simbolistica massonica risulta infatti chiaro che all’interno di essa il simbolo della pietra si riferisce allo Spirito (in altri ambiti lo potremmo chiamare Anima, o Logos, o Sentire) dell’uomo, in costante ricerca della propria elevazione (in terminologia liberomuratoria diremmo “che deve passare dallo stato di pietra grezza a quello di pietra squadrata”). Si tratta di un notevole passo avanti, ma anche, nella nostra ricerca del significato reale del Graal, di un ulteriore problema. Siamo, infatti, di fronte ad una sorta di dicotomia di significati che rischia di lasciare spiazzati. Da un lato abbiamo un Graal-Pietra che, in virtù della carica simbolica attribuitale nel corso dei secoli, si pone pienamente come simbolo teologico e teofanico; dall’altro, abbiamo un significato esoterico-massonico che riporta il simbolo ad un piano pienamente morale-antropologico. La tentazione potrebbe essere quella di pensare a due piani di significato a sé stanti, a due tradizioni parallele che attribuiscono ruoli differenti allo stesso oggetto simbolico. Nella realtà dei fatti, però, i due piani si intersecano e si sincretizzano molto facilmente in virtù della visione antropologica medioevale: la pietra è simbolo dello spirito umano, ma lo spirito umano (che è sostanza ultima formante dell’uomo) è, fondamentalmente, nel quadro biblico-cristiano, simbolo vivente di Dio (riferendosi alla frase di Genesi «…ad immagine e somiglianza…») e, di conseguenza, ecco che, per proprietà transitiva, la pietra diventa anche simbolo teofanico a pieno diritto. Abbiamo, a questo punto, legato il significante-pietra al significatospiritoumano, ma rimaniamo ancora in un campo generico.
Quello “spirito umano” può essere tutto o niente! Necessitiamo, nella nostra “cerca” sul significato del Graal, di specificazioni ulteriori, che ci vengono ancora una volta fornite continuando le ricerche nell’ambito degli studi massonici.
Dall’Egitto alla Massoneria
In uno dei testi divulgativi sulla Massoneria più conosciuti, La Chiave di Hiram, Knight e Lomas, affermano che l’orizzonte filosofico-morale a cui un massone deve mirare deriva dal concetto egizio definibile come lo “Spirito di Maat”, il senso ultimo della Giustizia, della Verità e della Equità che dovrebbe guidare i passi di ogni uomo. Può sembrare un salto culturale notevole, ma molti studiosi concordano con questa origine egiziana delle simbologie massoniche primarie. Per altro, è importante notare che una riprova fondamentale del collegamento tra pietra, spirito dell’uomo massonico e quello che potremmo definire “Spirito di Maat” è data dalla simbologia relativa alla dea. Ecco come Gregor McCormack, nel suo Miti e Credenze Religiose nell’Antico Egitto descrive questa divinità: «Maat […] viene rappresentata come una donna, spesso giovane, che indossa una corona sormontata da una lunga piuma di pavone (spesso rossa). Il suo simbolo è una pietra che rappresenta la sua forza e stabilità. Si riteneva che senza di lei tutta la creazione sarebbe perita, dal momento che ella rappresentava l’ordine e la stabilità dell’intero universo».
Forse, a questo punto, si comincia a delineare un quadro un po’ diverso da quello che conosciamo. Proviamo a ipotizzare alcune possibili tappe storiche del nostro nuovo scenario:
A) Nell’antico Egitto esiste un fortissimo culto religioso riguardante la dea Maat. La dea è l’incarnazione dell’Ordine cosmico e dello spirito di Giustizia e Verità, che anima l’essere primigenio e che dà forma all’universo;
B) In epoca ellenistica nasce una corrente filosofico-religiosa chiamata Gnosi che si pone come obiettivo quello di riportare l’essere umano alla purezza originaria e di rinvigorire la scintilla di Divino che esiste in ciascuno di noi, depurando l’uomo dalle “macchie” della materialità terrestre. Tale corrente assume, dal punto di vista metodologico, il sincretismo religioso come sistema di sviluppo;
C) Tra gli elementi sincretizzati dalla Gnosi molti risalgono alle filosofie greche, alle filosofie mediorientali e al substrato religioso egizio. È, dunque, altamente probabile che la visione egizia del senso di Maat venga inglobata, in forma astratta, dalla Gnosi;
D) La Gnosi si diffonde in ambito mediorientale preislamico, influenzando fortemente alcune sette musulmane (Sufi, Hashishin), sia dal punto di vista religioso che dal punto di vista metodologico;
E) Nel medioevo gli occidentali entrano in contatto, sia per i territori conquistati dagli arabi nella penisola iberica che per l’epopea crociata, con nuclei culturali islamici (talora eretici) che trasmettono molti degli insegnamenti della Gnosi all’Europa;
F) Nel frattempo, con un progressivo processo di travaso di senso dal contenuto al contenente, lo “Spirito di Ma’at” si è condensato e cristallizzato nel simbolo della pietra, ingenerando, nella cultura araba, il culto dei betili;
G) Forse, attraverso un contatto, storicamente attestato, tra Templari e Assassini, il simbolo della pietra come elemento rappresentante lo “Spirito di Maat” passa alla cultura templare e viene assimilato;
H) Attraverso i crociati arriva in Occidente un nuovo simbolo, estraneo alla tradizione cristiana, quello del Graal, ed entra per la prima volta nei cantari dei trovatori con il Con te del Graal di Chrestien de Troyes, che dà solo vaghe specificazioni su cosa il Graal realmente sia;
I) Un cavaliere tedesco, Wolfram Von Es chen bach, riprendendo testi precedenti il Conte del Graal di Chrestien de Troyes, dà una netta definizione del Graal, riprendendo la tradizione della pietra e, conseguentemente, riportando il significato originario di spirito divino di Verità e Giustizia (Maat);
L) Poco dopo, il cristianesimo fa proprio il simbolo, riconducendolo alla Coppa del Preziosissimo Sangue, originariamente lontanissima dal senso del Graal;
M) Con la persecuzione di Filippo il Bello, i Templari, forse depositari di una corretta tradizione graaliana, vengono sciolti e dispersi. Un troncone trova rifugio in Scozia presso il re scomunicato Robert Bruce;
N) I Templari in Scozia si uniscono a Logge di Muratori Operativi e trasfondono le loro conoscenze a quello che sarà il seme della Libera Muratoria;
O) La Libera Muratoria, grande ricettacolo e deposito di simboli millenari, assume il simbolo della pietra (pietra grezza e pietra levigata) e, al di fuori di una ormai consolidata ed erronea tradizione cristiana, conserva, forse senza comprenderne più l’origine, il vero senso del Graal.
Il Graal è dentro di noi!
È facile vedere che ci troviamo di fronte ad una ipotesi di approccio completamente diversa alla tematica graaliana, una ipotesi che, pur rimanendo tale, si fonda su passaggi storicamente provabili e collegamenti assolutamente logici. Solo per inciso è il caso di menzionare un ultimo elemento, un tassello che sembrerebbe inserirsi perfettamente nel quadro delineato. Partendo dall’etimologia più probabile del termine Graal, cioè dalla mozzatura erronea del termine francese Sang Real (Sangue Reale), da cui San Greal, in vetero-francese appunto Santo Graal, cosa significherebbe in questo nuovo contesto l’idea di “sangue reale”? Una risposta immediata è rinvenibile già nella Genesi, Capitolo 1: «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò». Dio, dunque, creò l’uomo a Sua immagine. Di conseguenza, l’uomo conserva in sé il seme di Dio, l’immagine del suo Creatore: ne diviene “creatura” in senso proprio e, come ogni creatura, egli è sangue del Creatore. Un Creatore che è anche e soprattutto Re. Il temine Re (Re del cielo, Re del creato, Re dell’universo) è, infatti, un’attribuzione divina usata molto spesso in ambito ecclesiastico. Già in area veterotestamentaria l’uso dell’attributo è piuttosto diffuso e, in ambito teologico medioevale, l’idea del “Deus Rex” è assolutamente centrale. Se, dunque, Re (o Re dei Re) è, in primo luogo, attribuzione divina, allora appare chiaro che l’attributo “Sangue reale” può realmente avere senso come metafora per l’uomo, creatura (sangue) di Dio (Re), e in particolare in riferimento alla sua parte spirituale, quella parte che deve “sgrossarsi” per ritornare allo stato primigenio di “immagine e somiglianza di Dio” attraverso l’esercizio delle virtù proprie dello “Spirito di Maat”. Eccoci, così, ad una possibile risposta a ciò che cercavamo. Probabilmente, il Graal non è in Spagna, in Puglia o a Roma: il Graal, il vero Graal della millenaria tradizione, è solo un concetto.
Fine