
IL LORO FUTURO È NELLE NOSTRE MANI
Siamo sull’orlo di una vera e propria estinzione di massa che potrebbe portare alla perdita della maggior parte delle forme di vita animale sul nostro pianeta. Il prezzo da pagare sarebbe altissimo, anche per noi. Come fermare il disastro?
La Iucn, Unione internazionale per la conservazione della Natura, ha già iscritto nei suoi elenchi – le famose Liste Rosse delle specie in pericolo di estinzione – ben il 41 per cento di tutti gli anfibi, il 26 per cento dei mammiferi e il 13 per cento degli uccelli. I dati più recenti, raccolti su un campione di 27.600 vertebrati terrestri da Gerardo Ceballos dell’Universidad Nacional Autonoma de Mexico e dai ricercatori della Stanford University, Stati Uniti, sono stati pubblicati a luglio del 2017 sulla rivista Pnas e indicano che «il calo demografico è molto alto anche nelle specie considerate a basso rischio». Il numero di animali selvatici si è dimezzato un po’ ovunque, ma ci sono anche casi estremi come quello del rinoceronte bianco dell’Africa settentrionale, ridotto a soli due esemplari sotto scorta armata, o delle piccole rane d’oro, sparite dalle foreste pluviali del Centro America per colpa di un parassita importato dall’uomo. Queste ultime sono state prese ad esempio dalla giornalista americana Elizabeth Kolbert nel suo libro La Sesta estinzione: una storia innaturale, premio Pulitzer nel 2015. In generale, per Ceballos più del 30 per cento dei vertebrati terrestri è in declino, soprattutto a causa della perdita dell’habitat in cui vive. Considerando solo i mammiferi, il 40 per cento di quelli più minacciati negli ultimi decenni ha perso addirittura l’80 per cento del proprio territorio, con i picchi più drammatici sulle isole, dove le specie invasive, ratti in primis, fanno razzia di nidi, o per i grandi mammiferi del Sudest asiatico, come orango, rinoceronti asiatici (di quelli di Giava ne rimangono 40), pipistrelli, panda, tigri e pangolini, perseguitati dalla caccia e dalla deforestazione. Secondo l’équipe di Ceballos, «la perdita di ambiente, lo sfruttamento intensivo delle risorse, l’invasione di specie aliene, l’inquinamento, l’avvelenamento e più di recente l’alterazione del clima, con l’infiuenza reciproca di tutti questi fattori messi assieme, ha portato al declino catastro”co tanto del numero quanto delle dimensioni della maggior parte delle popolazioni di vertebrati» sul nostro pianeta. Ceballos parla senza mezzi termini di “annichilazione biologica”, un vero crollo della biodiversità, da cui dipende anche la nostra stessa esistenza. Si pensi al ruolo svolto dalle foreste o dalle barriere coralline, ecosistemi tra i più ricchi e più fragili al mondo, che riciclano l’anidride carbonica dall’aria inquinata, liberano l’ossigeno che respiriamo, ci sfamano e ci proteggono da alluvioni e tsunami. Si badi che il fenomeno non riguarda solo questi ultimi lembi di terra incontaminata. È dello scorso ottobre un nuovo studio, sempre pubblicato su Pnas e condotto da ricercatori della University of Netherlands e della Sussex University (UK), in cui si attesta che negli ultimi 25 anni la quantità di insetti alati presenti in Germania si è ridotta di oltre il 75 per cento. Un disastro, dicono gli studiosi, se si considera che proprio dagli insetti «dipendano almeno i due terzi di tutte le forme di vita presenti sulla Terra». Damian Carrington, in un recente articolo su The Guardian, riporta che gli ecosistemi valgono trilioni di dollari, oltre il doppio del Pil mondiale, e che la perdita di biodiversità solo in Europa ci costa ben 450 milioni di euro, il 3 per cento del Pil europeo. Solo il pesce dei mari rappresenta la fonte di sostentamento primaria per oltre 2,5 miliardi di persone, ma quanto ne rimarrà se oggi oltre la metà degli oceani è oggetto di pesca intensiva?
Quanto possiamo perdere?
Johan Rockström, scienziato del Stockholm Resilience Centre dell’Università di Stoccolma e autore di un articolo apparso nel 2009 su Nature in cui veniva descritta una sorta di “ricetta” per controllare l’impatto dell’uomo sull’ambiente, indica la biodiversità come uno dei planetary bounderies, i “con”ni planetari”, oltre i quali non dovremmo spingerci per non mandare tutto a catafascio. Ma dei nove processi legati alla capacità del sistema Terra di autoregolarsi e che stiamo alterando (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, acidi”cazione degli oceani, consumo di suolo e di acqua, ciclo dell’azoto e del fosforo, inquinamento chimico, riduzione del buco d’ozono, diffusione di aerosol nell’atmosfera), il crollo delle specie è uno di quelli più compromessi. Si pensi ad esempio agli ambienti di acqua dolce, di cui non ci rendiamo conto perché sommersi. «Sotto la superficie dell’acqua dei nostri fiumi la situazione è drammatica», ci spiega Piero Genovesi, esperto di strategie di conservazione e gestione del patrimonio faunistico nazionale dell’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. «Oramai gran parte delle popolazioni dei pesci che vive nei nostri fiumi è stata devastata dalla cementificazione delle rive e dall’introduzione di predatori importati per la pesca (come ad esempio il pesce siluro) e ora oltre la metà delle specie presenti è invasiva». Ma vi sono molti altri casi, «come le zone dunali o gli ambienti costieri, compromessi dall’espansione urbana e dal turismo balneare». Qual è il livello di perdita che gli ecosistemi possono sostenere prima che collassino? «È difficile misurarlo», risponde Genovesi. «È come se avessimo un enorme scianghai. Si toglie una specie, se ne tolgono due, se ne tolgono tre, ma non possiamo dire quale sarà la specie che rompe l’equilibrio e che fa crollare l’intero sistema. Sappiamo, per esempio, che la perdita dei predatori nei mari è una delle cause che porta alla proliferazione incontrollata di meduse e che sulla terraferma i predatori svolgono un ruolo importantissimo di selezione delle prede e di regolazione delle relazioni alimentari degli animali. A forza di togliere predatori, è ovvio che tutto s’indebolisce».
Questa è la sesta
L’estinzione di massa che stiamo vivendo è considerata come la sesta. Già in passato sul nostro pianeta si sono verificati fenomeni che hanno portato alla rapida perdita della maggior parte delle forme di vita esistenti. Le cinque grandi estinzioni precedenti si sono verificate in diverse ere geologiche, separate da intervalli di tempo di milioni di anni e sono state determinate o da eventi straordinari come collisioni con giganteschi asteroidi o da cambiamenti climatici millenari. Oggi che viviamo nell’Antropocene, l’era in cui l’uomo sta rimodellando la Terra, tutto avviene con altrettanta rapidità, a un tasso di estinzione mille volte più alto di prima che l’uomo dominasse la Terra. Paul Crutzen, premio Nobel per gli studi sullo strato di ozono nel 2000, è stato tra i primi a a descrivere l’Antropocene e l’impatto dell’uomo. In appena 65 anni, la popolazione mondiale è quadruplicata fino a raggiungere i 7,5 miliardi di individui attuali (la soglia di dieci miliardi è prevista per il 2050), la superficie coltivata è raddoppiata, la produzione industriale è aumentata del 40 per cento e l’erosione del suolo, provocata dall’espansione agricola e urbana, tra i fenomeni più allarmanti per l’agricoltura e la stabilità del terreno, ha fagocitato oltre due miliardi di ettari di ambiente, una superficie pari a Stati Uniti e Canada assieme. Come se non bastasse, 300 milioni di tonnellate di plastica sono prodotte ogni anno e, di queste, 50 milioni finiscono in spazzatura negli oceani. L’impronta dell’uomo è ormai indelebile e perciò nel 2016 i geologi hanno ufficialmente riconosciuto questa nuova era iniziata negli anni 50. Al pari di tutte le ere geologiche, infatti, anche l’Antropocene lascia tracce tangibili negli strati del suolo: frammenti di plastica, scorie radioattive dei test nucleari, residui di azoto e fosforo dei fertilizzanti agricoli e tappeti di polveri sottili, che dai comignoli delle città finiscono per ricoprire persino i ghiacci polari.
LE CINQUE GRANDI ESTINZIONI DEL PASSATO
PRIMA GRANDE ESTINZIONE: Glaciazione di Fine Ordoviciano 450 milioni di anni fa
La diffusione dei ghiacci sulla Terra (i cui segni sono stati trovati persino in prossimità dell’equatore) ha portato a un abbassamento del livello dei mari e si ritiene che oltre l’85 per cento delle specie marine si sia estinto. La causa più accreditata è il forte bombardamento di raggi gamma provocato dall’esplosione di una supernova distante milioni di anni luce.
SECONDA GRANDE ESTINZIONE: Estinzione del Tardo Devoniano 375 milioni di anni fa
Si estinse l’82 per cento delle specie in un arco di tempo di tre milioni di anni. Per alcuni la causa fu l’impatto con grandi asteroidi, ma l’origine è ancora incerta.
TERZA GRANDE ESTINZIONE: Estinzione di Fine Permiano 250 milioni di anni fa
Fu uno degli eventi più catastrofici che portò alla perdita di oltre la metà delle famiglie di animali esistenti, tra cui il 96 per cento delle specie marine. Si verificò in tempi rapidi e si ritiene sia stata causata dalla collisione con un grosso asteroide o da un’intesa attività vulcanica che avrebbe liberato grandi quantità di CO2 nell’atmosfera e da qui nei mari rendendoli asfittici.
QUARTA GRANDE ESTINZIONE: Il surriscaldamento del Tardo Triassico 200 milioni di anni fa
Determinò la scomparsa del 76 per cento delle specie. Si ritiene che variazioni climatiche abbiano determinato un aumento di temperatura di 5 °C. Ci fu una crescente aridità e i mari si sarebbero impoveriti di ossigeno e forse si verificò la liberazione di metano dal fondo degli oceani. Ci vollero 150mila anni affinché la Terra riuscisse a tornare al suo equilibrio climatico.
QUINTA GRANDE ESTINZIONE: Estinzione dei dinosauri di Fine Cretaceo 66 milioni di anni fa
È quella più nota che portò all’estinzione dei dinosauri e di oltre il 75 per cento delle forme di vita. Una delle ipotesi più accreditate è quella della collisione con un grosso meteorite di decine di chilometri di diametro che avrebbe impattato la Terra alla velocità di 30 km/s. L’effetto avrebbe avuto una portata di 10mila bombe atomiche. La Terra però si riprese in fretta.
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LE 10 CAUSE DELL’ESTINZIONE
1-Introduzione di specie invasive
Secondo un recente studio condotto dal Centro Senckeberg di Ricerca su Biodiversità e Clima, circa il 16 per cento di piante e animali del mondo potrebbe in futuro essere introdotto dall’uomo al di fuori del proprio ambiente naturale con conseguenze gravi per gli ecosistemi.
2-Erosione del suolo
Nella sola Europa, ogni anno si perdono 2,46 tonnellate di suolo per ettaro. A provocare l’erosione, lo sviluppo di aree urbane, la deforestazione e l’espansione delle colture e dei pascoli destinati al bestiame.
3-Deforestazione
Rappresenta una delle principali cause di perdita di biodiversità ai Tropici. Solo nel 2016, sono stati rasi al suolo 30 milioni di ettari di foreste, quanto l’Italia intera: vengono rase al suolo per far spazio a centri urbani, pascoli e monocolture, come quelle di olio di palma, di colza o di agave.
4-Effetto serra
Ogni anno riversiamo nell’atmosfera circa 9 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, il principale gas responsabile dell’effetto serra. L’attuale concentrazione di CO2 nell’aria è pari a 400 parti per milione, superiore a quella mai registrata negli ultimi 800mila anni. Secondo gli scienziati, se si dovesse superare la soglia delle 500 parti per milione previste per il 2050, allora la temperatura globale aumenterebbe tra i 2 e i 3,8 gradi con effetti devastanti sulle calotte polari.
5-Bracconaggio
Si stima che abbia un giro d’affari tra i 70 e i 213 miliardi di dollari. Il ricavo è ottenuto attraverso la vendita di cuccioli o specie esotiche o di parti di animali protetti, come zanne di elefanti, corni di rinoceronte e ossa di tigre, pagate più dell’oro al mercato nero.
6-Monocolture
A risentire delle monocolture, ovvero delle coltivazioni di una sola specie di pianta su grandi superfici, sono la microfauna del suolo e gli insetti: alcune specie non trovano più le piante o i microelementi di cui nutrirsi, altre come le api sono costrette ad alimentarsi con un solo tipo di polline, impoverendo la propria dieta.
7-Inquinamento chimico
Il rilascio di fertilizzanti provoca pesanti alterazioni nelle catene alimentari di molti ecosistemi, come in quello acquatico, in cui si assiste a una proliferazione incontrollata di alghe che impoveriscono l’acqua di ossigeno. Piombo, mercurio e altri metalli pesanti intossicano gli animali portandoli alla morte o all’impossibilità di riprodursi.
8-Caccia Foche, bufali, grandi felini,
elefanti, orsi, balene e centinaia di altri animali sono stati sterminati in meno di 100 anni. Rispetto ad altre cause, la caccia ha il vantaggio di rendere reversibile il destino delle specie quando viene vietata.
9-Consumo di acqua
Il prelievo idrico per alimentare industrie, allevamenti e coltivazioni ha prosciugato i fiumi e i bacini di acqua dolce di tutto il mondo. 10Indifferenza (politica e sociale) Oggi si assiste a un progressivo disinteresse generale per le sorti di molte specie e di interi ecosistemi.
10-Indifferenza (politica e sociale)
Oggi si assiste a un progressivo disinteresse generale per le sorti di molte specie e di interi ecosistemi.