
IL MITO DI ERCOLE A ROMA
Il mito narra che Ercole, di ritorno in Grecia dopo la sua decima fatica, passò per Roma e qui si rese protagonista di un’altra memolabile impresa al termine della quale fece costruire un altare chiamato Ara Massima. I suoi resti si trovano sotto Santa Maria in Cosmedin, la chiesa dove si può ammirare uno dei volti più famosi di Roma: la Bocca della Verità
Ercole, semidio, figlio di Zeus e della regina Alcmena, è dotato di una forza sovraumana che lo rende capace di affrontare imprese inenarrabili. Dopo una delle sue “fatiche” più difficili giunge a Roma e la libera da un terribile mostro. L’eco di questo evento avvolto nel mito è ancora custodito all’interno dell’antica chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Nei suoi sotterranei rimangono le tracce di quello che è considerato uno dei più importanti luoghi di culto dell’antichità romana: l’Ara Massima di Ercole.
IL MITO A ROMA
Ma quando l’eroe con la clava e la pelle leonina sarebbe giunto a Roma? Tutti conoscono la leggenda dei gemelli Romolo e Remo e della fondazione della Città eterna, ma questa storia ha inizio in un tempo ancora più remoto. Narra il mito che per la decima fatica Ercole ebbe il compito di recuperare una mandria di buoi rossi appartenenti a Gerione, un terribile mostro con tre busti e tre teste. Per compiere quest’impresa, l’eroe si spinse fino ai confini del mondo occidentale dove eresse due colonne: le famose Colonne d’Ercole oltre le quali nessun mortale avrebbe dovuto osare spingersi. Ucciso Gerione e presi i buoi, Ercole di ritorno verso la Grecia passò in Italia e si fermò dove sarebbe sorta Roma, presso una grande insenatura del Tevere che rendeva facile l’approdo (nell’area che avrebbe ospitato il Foro Boario). Qui Ercole chiese ospitalità a Evandro, capo di una comunità greca proveniente dall’Arcadia da tempo insediata sull’altura vicina: il Palatino, uno dei sette colli di Roma. Ercole allora si mise a riposare lasciando i buoi rossi liberi di pascolare ma alcuni di essi vennero rubati da Caco, un essere mostruoso che terrorizzava i pastori rubando di continuo le loro mandrie. Ercole, dopo averlo a lungo cercato, riuscì a scoprire il suo antro nascosto proprio all’interno del vicino colle Aventino. Caco si difese sputando fuoco, ma l’eroe lo afferrò e lo uccise stritolandolo. Recuperati tutti i suoi buoi, Ercole costruì un’ara, ovvero un altare, promettendo vita felice alla comunità di Evandro a patto che gli venisse annualmente offerta una decima dei loro proventi. Da questo episodio nacque la consuetudine di consacrare la decima parte di un provento a Ercole (come dice Plauto: “la parte di Ercole”). Evandro istituì, così, il 12 agosto di ogni anno, le celebrazioni in onore di Ercole che venivano svolte su quell’altare che prese il nome di Ara Massima.
IL TEMPIO DI ERCOLE
Per molti studiosi l’area dove si svolsero queste mitiche vicende corrisponde al luogo forse più frequentato nella Roma dell’età arcaica: è conosciuto con il nome di Foro Boario, perché vi si commerciava il bestiame e le carni (non a caso proprio i buoi sono i protagonisti della decima fatica di Ercole). Per la sua posizione presso un guado del Tevere, questa zona divenne, infatti, la parte di Roma più legata ai commerci e oltre al Foro Boario c’era anche il Foro Olitorio, il mercato per l’olio, la verdura e la frutta. Visto che Ercole era anche la divinità garante dei patti e il protettore degli scambi commerciali, il suo culto finì per radicarsi profondamente in quest’area. A dimostrazione dell’importanza di questa figura mitologica, in suo onore nell’area del Foro Boario venne fatto realizzare un bellissimo tempio circolare sostenuto da venti colonne, uno dei pochi esempi di monumenti di età repubblicana tuttora esistenti. Fu il secondo edificio in marmo ad essere costruito a Roma e il più antico in questo materiale ad essere giunto fino ai nostri giorni. Grazie al fatto che venne presto convertito in una chiesa cristiana, l’edificio si conservò praticamente integro e, dopo i restauri dei primi dell’Ottocento effettuati da Valadier, tornò nella sua versione originale. Seppur molto famoso, talvolta i romani si “dimenticano” a chi era dedicato e lo chiamano Tempio di Vesta, per la forma circolare che aveva anche quest’ultimo che invece si trova nel Foro Romano. Il Tempio di Ercole è conosciuto anche come il tempio di Ercole Olivario. La tradizione vuole, infatti, che venne fatto erigere come ringraziamento a Ercole da un ricco mercante di olive che, scampato miracolosamente ai pirati, volle destinare parte dei suoi beni alla costruzione del tempio dedicato all’eroe che secondo il committente era intervenuto a salvarlo.
LE MERAVIGLIE DI SANTA MARIA IN COSMEDIN
Di fronte al Tempio di Ercole sorge la chiesa di Santa Maria in Cosmedin, che rappresenta uno dei primi casi di cristianizzazione di un luogo di culto pagano nella città di Roma. Le sue origini risalgono al VI secolo, quando venne edificato un piccolo oratorio nelle fondamenta dell’Ara Massima per ospitare una comunità cristiana. Poi questo primo nucleo venne convertito in una vera e propria chiesetta che successivamente, nel corso del 700, papa Adriano I ampliò dando origine alla chiesa che vediamo oggi. Una storia antichissima, quindi, e anche prestigiosa perché ben tre diaconi di questa chiesa vennero eletti al soglio papale. Per la sua costruzione, oltre l’Ara Massima venne smantellata anche la Loggia dei mercanti dove erano gli uffici amministrativi per l’approvvigionamento del mercato del Foro Boario. Ne rimangono 9 meravigliose colonne. A ognuno dei due lati del portale di ingresso c’è poi una pietra nera di basalto: si tratta di un’antica unità di misura per pesare. Questa presenza è utile per capire come la storia di questo luogo si sia evoluta nel tempo. Questa era una zona di commercio e in epoca romana le misure di riferimento venivano conservate nei templi; poi, con l’avvento del cristianesimo, vennero spostate nelle chiese. Pare che ognuna di queste pietre corrispondesse al fabbisogno di grano per una intera famiglia per un mese e forse veniva usata per distribuire il grano ai più bisognosi. Dove ora c’è la chiesa, nel 600 risiedeva una comunità greca che diede vita a un ospizio per assistere i connazionali in pellegrinaggio a Roma al quale venne annessa una piccola chiesa, denominata Santa Maria in Schola Graeca. Il termine “cosmedin” deriverebbe invece da kosmidìon, che in greco vuol dire “ornamento”, e fu probabilmente scelto per la bellezza della chiesa stessa. Ad oggi è una chiesa cattolica Greco-Melchita che pratica il rito bizantino. Tutto questo ci testimonia anche come l’area sia stata nei secoli sotto l’influenza greca, come greco era Eracle (Ercole), il protagonista della nostra storia e come era la comunità di greci dell’Arcadia che si era stabilità lì vicino sotto la guida di Evandro.
L’ARA MAXIMA DI ERCOLE
Nella cripta della chiesa sono ancora custoditi i resti dell’Ara Massima di Ercole, l’ara dedicata all’eroe del mito. Storicamente si parla della sua costruzione nel 495 a.C., ma c’è chi si spinge ancora più indietro. Probabilmente l’antica struttura venne distrutta in epoca repubblicana con il grande incendio di Roma del 213 a.C. e subito dopo ricostruita. Ma nel 700 quando papa Adriano fece costruire la cripta venne quasi completamente demolita. Doveva trattarsi di una struttura molto grande, visto che i lavori di smantellamento durarono ben un anno. Per “ara” si intende la base di appoggio dove si poneva l’animale o l’oggetto del sacrificio offerto alle divinità pagane. Doveva essere quindi di forma cubica, una forma spesso adottata nell’antichità per gli spazi sacri visto che il Sancta Sanctorum, la cella sacra nel tempio di Gerusalemme, era un cubo perfetto di 20 cubiti di lato. Ogni 12 agosto un bue o una giovenca veniva offerta a Ercole secondo il rito greco, cioè il sacrificio veniva effettuato col capo scoperto e con in testa una corona di alloro colto sull’Aventino. Per avere un’idea di come doveva essere la parte più importante, l’ara vera e propria, possiamo riferirci ad un affresco trovato a Pompei: Ercole bambino che strozza i due serpenti; dietro la figura dell’eroe bambino è, infatti, dipinto un monumento cubico sormontato da un’aquila simbolo di Zeus, padre di Ercole. Nella cripta di Santa Maria in Cosmedin è ancora possibile osservare i grandi blocchi squadrati di tufo dell’Aniene che molto probabilmente appartengono alla ricostruzione dell’Ara Massima avvenuta in età repubblicana. Grazie a un permesso speciale, le telecamere di Freedom hanno potuto riprendere anche il grande muro che è posto nel retro dell’abside della chiesa, un luogo non accessibile al pubblico. Da lì è possibile percepire l’importanza che gli antichi Romani conferivano a quel luogo sacro.
PER ASPERA AD ASTRA
Grazie a un altro permesso speciale la troupe di Freedom ha potuto avventurarsi in cima alla torre campanaria di Santa Maria in Cosmedin. Questa torre rappresenta un punto di riferimento per i romani che si trovano spesso a passare in questa zona tra il Circo Massimo ed il lungotevere: un luogo molto frequentato oggi come allora. Venne costruita intorno al 1100 per volontà di papa Callisto ed è una delle torri campanarie più alte di Roma: si sviluppa su 34 metri di altezza per 7 ordini. Una volta c’era anche un orologio con il quadrante dipinto installato nel corso del Settecento ma poi venne rimosso nel restauro di fine Ottocento. In cima ci sono le campane; la più antica risale al 1283 ed è stata realizzata a Pisa. È una cosa fantastica e del tutto speciale poter osservare dalla cima della torre il luogo dove è nata Roma, quella Roma che ha poi conquistato e dominato per secoli gran parte del mondo allora conosciuto. Abbiamo visto come quest’area si sia trasformata nel tempo e come molte testimonianze del suo passato si siano radicate nel territorio al punto da essere giunte sino a noi. Salire la scalinata, andare verso l’alto, verso il cielo, potrebbe metaforicamente rappresentare proprio il percorso di Ercole che attraverso le dodici fatiche riuscì a essere accolto tra le divinità dell’Olimpo e avere addirittura una costellazione nel cielo. Il motto che gli antichi legavano a Ercole è, infatti, per aspera ad astra ossia “attraverso le asperità [si giunge] alle stelle”.