
IL PARADOSSO DEL METANO
È un pericoloso gas serra che minaccia il Pianeta e un combustibile che può aiutare la transizione energetica
Un giorno d’autunno del 1776, un giovane agitò con un bastone le acque melmose di una palude vicino ad Angera, un paesino sul Lago Maggiore. Ne vide uscire bolle di gas, e si accorse che “quest’aria arde assai lentamente con una bella vampa azzurrina”. Così Alessandro Volta, allora 31enne, scoprì il metano, un gas che oggi è al centro delle attenzioni per diversi motivi. Innanzitutto, perché il suo prezzo è salito alle stelle negli ultimi mesi, tanto da allarmare il governo italiano e la Commissione Europea. E poi perché questa sostanza è un pericoloso gas serra – una vera minaccia per il clima – e al tempo stesso un combustibile irrinunciabile per l’economia e per la stessa transizione energetica appena avviata.
VERSO I PUNTI DI NON RITORNO
Dal punto di vista chimico, il metano è un idrocarburo, cioè è costituito da una molecola composta da un atomo di carbonio circondato da 4 atomi di idrogeno disposti nello spazio a formare una piccola piramide di forma tetragonale: una molecola chimicamente attiva, che tende a reagire con l’ossigeno per trasformarsi in acqua e CO2. Quando entra nell’atmosfera, il metano cattura il calore emanato dal Pianeta e contribuisce all’effetto serra (v. schema alla pagina successiva). «Ha un enorme potere riscaldante, quello che si chiama global warming potential», enfatizza Antonello Pasini, climatologo dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico (Iia) del Cnr. Questo parametro misura quanta energia assorbe una tonnellata di gas in un certo periodo: è un indice dell’effetto serra. «Il metano ha un potere riscaldante 20-25 volte superiore a quello della CO2 in un secolo, e 70 volte la CO2 in 20 anni». L’effetto è dunque importante, ed è maggiore nel breve termine, perché il metano permane nell’atmosfera per un tempo inferiore rispetto alla CO2. «Per fortuna di metano ce n’è molto meno, 1,8 ppm (parti per milione) contro 410 ppm di CO2», chiarisce Pasini. «Però il suo potere riscaldante è molto maggiore». E i suoi livelli sono ai massimi da 800mila anni.
La minaccia principale sono alcuni punti di non ritorno, detti tipping points, che potrebbero essere raggiunti in un prossimo futuro. Il clima, infatti, non è un sistema lineare, in cui l’effetto è proporzionale alla causa. Un esempio di sistema lineare è una molla: se la tiriamo senza deformarla troppo, si allunga di una quantità proporzionale alla forza che esercitiamo. Il clima, invece, si comporta in modo più complesso. Ha per esempio una grande inerzia, per cui possono passare decenni prima che si vedano gli effetti delle forze che lo alterano. Ma poi il mutamento può avvenire in modo repentino, e accelerare come una valanga per mezzo di fenomeni di amplificazione detti di feedback. Nel caso del metano, il pericolo si nasconde nelle zone artiche e nei fondali marini. Le fonti principali di questo gas, infatti, sono i vulcani, le paludi, le risaie, gli allevamenti di ruminanti e le perdite dei giacimenti e della rete di distribuzione (gasdotti, navi eccetera). «Ci sono, però, altri serbatoi enormi di metano sotto il suolo», spiega Pasini. «In particolare nel permafrost, il terreno ghiacciato che c’è in Siberia e nelle zone artiche. E poi c’è metano nei fondali oceanici, che ogni tanto emerge in superficie sotto forma di bolle. Se i fondali si scaldano o se il permafrost si scioglie a causa del riscaldamento globale, questa “bomba di metano” – come viene chiamata – può entrare in atmosfera, accelerando ulteriormente il riscaldamento».
MEGLIO DEL GASOLIO
Riusciremo a prevenire che la “bomba” esploda, generando una catastrofe climatica? Dipende dalla soglia di temperatura alla quale avverrebbe il fenomeno. «Purtroppo non la conosciamo bene», ammette Pasini. «Nei primi rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) degli anni ’90, si pensava che questa soglia fosse intorno ai 5-6 °C di aumento di temperatura globale media oltre quella preindustriale. Ultimamente si ritiene che la soglia di sicurezza da non superare sia di 2 °C. Abbiamo già raggiunto un riscaldamento di 1,1 °C, e l’accordo di Parigi dice che dobbiamo fare tutti gli sforzi per rimanere entro 1,5 °C». Per riuscirci, è necessario agire subito e in modo concreto, limitando le emissioni di gas serra. «E agire sul metano è importante per due motivi: per il suo elevato potere riscaldante, e perché può dare risultati a breve termine, cioè nel giro di pochi decenni», chiarisce Pasini.
Da nuovi metodi di coltivazione all’alimentazione degli animali, le idee per limitare le emissioni non mancano. Ma per ottenere risultati significativi è necessario ripensare l’agricoltura, gli allevamenti, il riscaldamento e i trasporti. Tenendo conto, però, che tra tutti i combustibili fossili, il metano (o, meglio, il gas naturale) è il più pulito. «È quello che ha il minor contenuto di atomi di carbonio per energia liberata dalla combustione: a parità di energia generata, produce meno CO2», spiega Gianluca Valenti, docente al Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. «Non solo. Rispetto alla benzina e al gasolio, il metano inquina meno, perché non produce durante la combustione né ossidi di zolfo, né particolato, e anche le emissioni di ossidi di azoto sono inferiori con gli opportuni bruciatori. Per questi motivi, l’International Energy Agency (Iea) – un’agenzia autonoma intergovernativa che ha lo scopo di favorire un’infrastruttura energetica accessibile e sostenibile – afferma che “il gas naturale è il combustibile fossile più pulito e in più rapida crescita, contribuendo per quasi un terzo all’aumento della domanda totale di energia nell’ultimo decennio, più di qualsiasi altro combustibile”».
TEMPESTA PERFETTA
Resta il problema del prezzo, che da gennaio a ottobre del 2021 è quadruplicato, e avrebbe avuto un impatto molto forte sulle bollette se il governo non fosse intervenuto a calmierare. Ma perché un’impennata così improvvisa? A rispondere è Lorenzo Parola, avvocato tra i maggiori esperti del settore Energia in Italia. «Per comprendere la situazione attuale, è necessaria una breve nota storica», spiega. «Il mercato del gas in Europa è nato con particolari contratti – tra i grandi produttori di gas e le società energetiche europee come Eni – detti take or pay, che come suggerisce il nome (“prendi o paga”) prevedono l’obbligo di acquisto in capo all’acquirente. Si trattava di contratti di lunga durata (anche più di vent’anni) indicizzati al prezzo del petrolio, che da un lato garantivano ai Paesi produttori i flussi di cassa necessari agli investimenti per costruire gli impianti di produzione, dall’altro esponevano questi stessi Paesi a un rischio legato al prezzo. L’acquirente, invece, si accollava il rischio legato al volume, cioè di convincere i cittadini a usare questo combustibile rispetto, per esempio, al gasolio». Questo meccanismo ha funzionato a lungo, garantendo stabilità al mercato dell’energia. Negli ultimi dieci anni, però, la situazione è cambiata, perché si è diffusa la tecnologia del gas naturale liquefatto (Gnl o, in inglese, Lng), che ha consentito il trasporto per mezzo di navi e non solo gasdotti. «Da allora il mercato è diventato globale», racconta Parola, «con navi destinate al mercato europeo che potevano cambiare rotta verso Cina, Giappone o Corea allorché i prezzi in questi mercati fossero stati più allettanti.
Il prezzo si è sganciato da quello del petrolio, perché ormai esistevano hub dove si negoziava e si formava la quotazione del gas». Tutto questo ha funzionato benissimo e ci ha garantito una fornitura a buon prezzo per diversi anni. Ora, però, le cose sono cambiate. «C’è stata una tempesta perfetta», analizza Parola. «Innanzitutto c’è stato il Covid, che ha reso difficoltosa la manutenzione dei giacimenti di gas (“coltivare” un giacimento, come si dice in gergo, è un’attività continua e costosa). Forse per questo, forse anche per motivi politici, la Russiaharidotto alminimole forniture di gas all’Europa. I contratti sono stati sempre rispettati, ma senza quell’extra sforzo che tradizionalmente veniva fatto nei periodi di maggiore richiesta. C’è un secondo motivo. Abbiamo avuto un inverno molto lungo, per cui il consumo di gas è stato superiore alla media e si è fatto ricorso alle riserve (gli “stoccaggi”). Il risultato è che, adesso, in tutta Europa, gli stoccaggi non si sono ancora riempiti come avrebbero dovuto. Il terzo motivo è che l’Europa ha compiuto una scelta di campo decisiva, che è quella di far pagare chi inquina. In particolare, chi emetteCO2 deve comprare certificati (le “quote di emissione”) che compensano l’inquinamento prodotto. Il prezzo dei certificati è passato da 15 a piu di 60 euro a tonnellata, e anche questo ha contribuito al rialzo dei prezzi energetici».
UN PONTE VERSO IL FUTURO
Tutti questi fattori hanno influito sul lato dell’offerta del gas. «Però il motivo più importante dell’aumento è sul lato della domanda», chiarisce Parola (ricordando che il prezzo di qualsiasi bene è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta, cioè cresce all’aumentare della domanda o al diminuire dell’offerta, e viceversa). «Con la fine della pandemia e con la ripresa economica ladomandaè aumentata molto, soprattutto in Paesi come la Cina, che è disposta a comprare cargo di Gnl a un prezzo molto alto».
Che cosa succederà in futuro? Come si muoveranno l’Italia e l’Europa in queste acque turbolente, con la richiesta di energia che è destinata ad aumentare in tutto il Pianeta, mentre l’uso di idrogeno e fonti rinnovabili su larga scala sembra ancora lontano?Èmolto difficile rispondere.«L’importante è chenon si perda di vista l’obiettivo», enfatizza Pasini. Ma il metano, se lo sapremo gestire, ci può aiutare in questo passaggio.