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JOHN PAUL JONES, IL TIPO TRANQUILLO CHE RISOLVEVA I PROBLEMI

John Paul Jones ha la fama di essere il “tipo tranquillo” dei Led Zeppelin e sul palco preferisce starsene dietro, lasciando la ribalta ai galli Page e Plant. In più, con la sua discrezione, non dà grandi contributi al mito dell’eccesso che circonda la band. Però non accetta neanche la vulgata che lo definisce come il saggio in mezzo agli scapestrati.

Parte VII

Nel 2008, intervistato da «Uncut» sui problemi derivati dalla tossicodipendenza di Page nella seconda metà dei Settanta, ricorda che all’epoca “eravano tutti andati fuori dai binari, in un modo o nell’altro. In quei giorni nessuno poteva criticare le abitudini o le inclinazioni degli altri. Allora avevamo un’età in cui tutti sapevamo cosa facevamo.

E come ho già detto, nessuno di noi era nella posizione di dire agli altri cosa fare”. Dotato di un sottile senso dell’umorismo, dei Led Zeppelin è il più musicista.

È, infatti, un abile arrangiatore e suona parecchi strumenti, dal basso alle tastiere, dagli archi (violino, violoncello) a un’infinità di strumenti a corda (mandolino, koto, ukulele, dulcimer e così via). Viene invitato da Page nei futuri Led Zeppelin quando è già un session man piuttosto richiesto nelle sale inglesi. E da tempo si fa chiamare John Paul Jones. Il nome glielo ha suggerito un amico, il produttore Andrew Loog Oldham, ed è quello di un eroe della guerra d’indipendenza americana sul quale nel 1959 è stato girato un film. A Jones piace, senza peraltro sapere chi sia il personaggio, e lo adotta relegando alla vita privata quello di John Baldwin, con il quale nasce il 3 gennaio del 1946 a Sidcup. Suo padre è un pianista e arrangiatore per big band e spettacoli vaudeville.

Così, già a sei anni il piccolo Baldwin si esercita sui tasti bianchi e neri. Alla fine dei Cinquanta, studia musica al Christ’s College di Blackheath e si divide tra classica, blues e jazz. Suona anche l’organo in chiesa e intorno al 1960, non potendo trasportare il pianoforte nel furgone di una band con la quale ha preso a girare, acquista un Dallas Tuxedo, il suo primo basso elettrico, e si esercita ascoltando Scott LaFaro, Charles Mingus e Phil Upchurch. Poi, due anni dopo, gli arriva il Fender Jazz, che utilizzerà fino al 1976, e in breve diventa una presenza fissa in studio come bassista, tastierista e arrangiatore.

Per qualche anno lo cercano in tanti, da Donovan ai Rolling Stones (suo l’arrangiamento degli archi in She’s A Rainbow), da Dusty Springfield a Cat Stevens, dai Walker Brothers a Shirley Bassey. Nel corso delle centinaia di session in sala in cui interviene, più volte incrocia Jimmy Page. Ed è con lui, Jeff Beck, Nicky Hopkins e Keith Moon che nel 1968 registra Beck’s Bolero. Il pezzo finisce su TRUTH di Beck e la storia racconta che proprio allora nasce l’idea di una band destinata, come avrebbe detto Moon, a schiantarsi come una mongolfiera di piombo. Il gruppo non si schianta perché non decolla, ma, in breve, convinto da Maureen, che ha sposato nel 1967, Jones segue Page nei suoi progetti per un nuovo gruppo. E dopo l’ingaggio di Plant e Bonham, la battuta di Moon viene riconsiderata, pare grazie a John Entwistle: sono nati i Led Zeppelin.

L’esperienza di sala del bassista e tastierista si rivela preziosissima per Page. Insieme a lui, Jones è la sezione professionale della line-up mentre Plant e Bonham sono i campagnoli che stanno imparando a vivere in città, nonché nel vero music business. Il chitarrista a quell’epoca dirige tutto ma, sempre nell’intervista concessa a «Uncut», Jones ricorda come in studio le cose con lui andassero “in modo molto democratico. La band era composta da buoni musicisti e buoni esecutori. Ci ha lasciato crescere con lui. Prendevamo tutti un sacco di decisioni, ma il responsabile del suono complessivo era lui”.

Dal 1970, Jones trova sempre più spazio come compositore. “Ogni volta che ci ritrovavamo insieme, dal terzo, quarto, quinto album”, racconta Page in Trampled Under Foot: The Power And Excess Of Led Zeppelin di Barney Hoskyns, “ci dicevamo sempre, l’uno con l’altro, ‘cos’hai trovato?’. Però, a essere sinceri, lo facevamo per vedere se Jonesy aveva qualcosa”. Fondamentale, per esempio, è il contributo di Jones su No Quarter. Anche il micidiale riff ‘call and response’ di Black Dog è farina del suo sacco. “In quel periodo io e Jimmy ascoltavamo ELECTRIC MUD di Muddy Waters”, racconta il bassista, come riportato ancora da Hoskyns (anche nel 2007 a «Mojo» dice che l’Lp è THIS IS HOWLIN’S WOLF’S NEW ALBUM). “Una traccia di quel disco è un lungo riff errabondo e mi piaceva l’idea di scrivere qualcosa di simile, un riff che fosse come un viaggio lineare. L’idea mi è venuta in treno tornando da Pangbourne. Fin dalla prima prova a Headley Grange, abbiamo capito che poteva andare”.

Il peso del suo contributo aumenta in PHYSICAL GRAFFITI con brani quali In The Light, Trampled Under Foot, Night Flight e, per quanto lui sia l’unico dei quattro a non essere accreditato come autore, la sua mano in Kashmir è evidente. Inoltre, la sua abilità di polistrumentista si rivela fondamentale quando la band si apre a nuovi orizzonti.

Da subito, si divide tra basso e tastiere ma presto offre anche la sua abilità al mandolino, si occupa degli archi ed è prontissimo a sperimentare con il mellotron e i sintetizzatori. Nel corso del tour americano del 1973, inoltre, per un attimo scopre anche di essere un perfetto Zeppelin casinista quando, inavvertitamente, insieme a una drag queen, provoca un incendio nella sua camera d’albergo. Il fattaccio accade a New Orleans dove, secondo il famigerato ex road manager della band Richard Cole, il bassista si porta in camera una certa Stephanie senza aver capito che in realtà è un maschio. Ubriachi, i due si addormentano e lasciano una canna accesa che fa scattare le fiamme. In realtà, ridendoci su, Jones la storia la racconta diversamente: oltre a negare qualsiasi coinvolgimento sessuale, ricorda di aver incontrato nell’hotel due travestiti amici di Cole, da tempo conosciuti dalla band: erano “normali persone amichevoli con le quali ci siamo trovati nel bar. Però il fatto che avrei scambiato un travestito per una ragazza è pura spazzatura; semmai, questo è successo in un altro Paese a un altro di noi. A ogni modo, Stephanie è in effetti finita in camera mia e ci siamo fatti una o due canne. Poi mi sono addormentato e in camera si è sviluppato un incendio. E quando mi sono svegliato, la stanza era piena di pompieri”. Considerato l’alto tasso di inattendibilità di Cole, ovviamente, la versione di Jones pare quella buona.

La vita on the road, comunque, già allora gli pesa molto e alla fine del 1973 Jones comunica a Grant l’intenzione di mollare se il ritmo non si attenua. Ha infatti voglia di trascorrere più tempo con la sua famiglia e agli amici confida di voler trovare un lavoro sedentario, tipo direttore del coro della cattedrale di Winchester – ma è solo una battuta presa troppo sul serio da qualche biografo. “Era solo uno scherzo”, spiega nel 2016 a «Rolling Stone». “Qualcuno mi aveva chiesto se mi piaceva stare sempre on the road e io gli ho detto che non mi piaceva e che, anzi, avevo visto questo annuncio per un posto di organista nella cattedrale. E ho aggiunto che ci sarei andato per farmi assumere. È stata solo una cosa di questo tipo”. Grant, comunque, gli promette di mettere tutto a posto e in effetti il 1974 la band lo passa senza girare il mondo. PRESENCE è, almeno compositivamente, quasi tutto roba di Page e Plant, ma per IN THROUGH THE OUT DOOR, con il chitarrista parecchio malconcio per la sua dipendenza dall’eroina, Jones si ritrova in prima linea, sia come coautore sia come regista. Solo un brano del disco non porta la sua firma e la libertà che ha in sala lo porta a utilizzare anche un po’ troppo il synth polifonico Yamaha GX-1, da poco acquistato. Poi, con la scomparsa di Bonham, la storia Led Zeppelin si chiude e, a differenza di Page e Grant, Jones non si deprime troppo e come Plant insegue nuove idee. Anche se nei concerti dei suoi unici due tour come leader, tra il 1999 e il 2001, un po’ di tracce Zeppelin le tira fuori.


La discografia solista

John Paul Jones: Scream For Help, Atlantic, 1985

Colonna sonora del trascurabile Scream for Help, viene commissionato a Jones dal regista Michael Winner su suggerimento di Page, presente in due brani (il tirato Spaghetti Junction e Crackback). A dare una mano ci sono anche Jon Anderson, John Renbourne e Madeline Bell. Il lavoro è piuttosto eclettico, ma prevale un’impostazione Eighties pop in alcuni momenti un po’ imbarazzante. In Bad Child e When You Fall In Love Jones si misura anche con il canto.

Diamanda Galás With John Paul Jones: The Sporting Life, Mute, 1994

Per la tenebrosa Galás, notevole ricercatrice ed esponente del mondo avantgarde, THE SPORTING LIFE è l’occasione di provare la sua voce, spesso urticante, furente, depravata e demoniaca, in un contesto più crudamente rock. E Jones, da tempo suo ammiratore, le fornisce l’adeguato supporto: nell’album, il suo basso e la batteria di Pete Thomas creano una scheletrica ritmica sulla quale la Galás vola. Il trio marcia potente e la sua combinazione di blues, hard rock e avantgarde è un godimento sia fisico sia mentale.

John Paul Jones: Zooma, Discipline Global Mobile, 1999

Entrato in contatto con l’etichetta fondata da Robert Fripp, Jones decide di raccogliere un po’ di nuove sue idee e inciderle. Strumentale, l’album è molto bello. Nella title-track e in B. Fingers c’è qualcosa dei King Crimson più metallici, nel maestoso e sinfonico Snake Eyes, nonché nel grezzo Nosumi Blues, vola anche il dirigibile Zeppelin. Inoltre, qua e là si colgono echi folk, bluegrass e worldbeat, e il tutto è raccontato con un suono energico, condotto da vari tipi di basso e tante distorsioni, che conferisce all’opera una bella cifra unitaria.

John Paul Jones: The Thunderthief, Discipline Global Mobile, 2002

Jones ci prende gusto e tre anni dopo ZOOMA pubblica un altro solo. La linea è confermata ma la novità è che in alcuni pezzi, e con risultati alterni, l’artista si propone anche come vocalist. Nuovamente tutto è guidato dai bassi a quattro, sei, dieci e dodici corde, ma nel traditional Down To The River To Pray c’è il mandolino a tre manici, nella fantastica Shibuya Bop furoreggiano koto e Hammond, Ice Fishing At Night è piano e voce. Robert Fripp è presente in Leafy Meadows, dove si mescolano Crimson e Zeppelin; nella punkeggiante Angry Angry a schitarrare è il metallaro Adam Bomb.

Them Crooked Vultures: Them Crooked Vultures, RCA, 2009

Ormai abortito il progetto di una nuova band con Page, Jason Bonham e un altro cantante al posto di Plant, Jones viene invitato da Dave Grohl e Josh Homme a unirsi al supergruppo Them Crooked Vultures. L’unico album del trio suona molto eccitante. Le idee Queens Of The Stone Age di Homme in genere prevalgono, ma qua e là la sagoma del dirigibile fa capolino. E qualcosa riporta anche al migliore Jack Bruce.


OLTRE I LED ZEPPELIN

Sciolti i Led Zeppelin, Jones non ha interesse a formare altre band e nei concerti preferisce sperimentare nuove idee in studio. Incide anche qualcosa di suo, ma come negli anni della giovinezza lavora soprattutto per altri artisti, specialmente nei panni di arrangiatore e produttore. Ora, però, con più soldi da incassare e meno costrizioni nei tempi e nelle scelte. Da tipo versatile e molto curioso qual è, segue musicisti di differente estrazione: Mission, Cinderella, Butthole Surfers, Heart, Peter Gabriel, Ben E. King, l’arpista Andrew Lawrence-King, R.E.M., Brian Eno, Dave Grohl, Seasick Steve. Nel 2004 prende parte al tour della bluegrass band Mutual Admiration Society, nel 2010 e nel 2012 improvvisa dal vivo con il gruppo avantgarde norvegese Supersilent. Il progetto più recente sono i Tres Coyotes, con i musicisti classici Anssi Karttunen e Magnus Lindberg. E da tempo è impegnato nella realizzazione di un’opera tratta dal dramma Spöksonaten (La sonata degli spettri) di August Strindberg.

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