
LAVARSI, MA NON TROPPO
Usare il sapone per asportare lo strato superficiale della pelle tiene lontane le malattie. L’importante è non esagerare: anche l’igieneeccessiva è dannosa
Per il lavaggio delle mani è sufficiente il comune sapone. Bastano tra i 40 e 60 secondi e alcuni semplici movimenti». È uno degli inviti apparsi sul sito del ministero della Salute nei primi mesi del2020,quandoanche l’Italia ha conosciuto la Covid-19. Da quel momento, l’abitudine di lavarsi spesso le mani si è diffusa in tutto il mondo: infatti, anche se il sapone non uccide i germi presenti sulla pelle, li rimuove “catturandoli” in micelle (formate dalle molecole di sapone che circondano i granuli di sporco) e poi trascinandoli via quando ci sciacquiamo.
QUANTE VOLTE?
Eppure, per quanto quella di lavarsi le mani sia sempre stata una pratica igienica comune, la consapevolezza della sua necessità quotidiana, almeno fino a qualche anno fa, non era così diffusa. Secondo il World health report del 2000, quando vanno in bagno in molti Paesi le persone si sfregano le mani con acqua e sapone meno di 1 volta su 5 (in Italia siamo invece più puliti, vedi riquadro a destra), al punto che nei Paesi in cui l’igiene generale lascia a desiderare, tuttora si registrano circa 2 milioni di morti l’anno per forme di dissenteria che, nella metà dei casi, potrebbero essere evitate con abluzioni delle mani. E comunque i lavaggi, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Environmental Health nel 2013, si prolunga almeno 15 secondi solo per il 5% delle persone. Negli altri casi, la durata media è di 6 secondi per gli uomini e 7 per le donne. Non ci sono studi mondiali più recenti, ma viste le reccenti raccomandazioni anti-Covid probabilmente oggi questi tempi si sono allungati.
FILM IDROLIPIDICO
In ogni caso, nonostante sia dimostrato che un’accurata detersione delle mani tiene lontano varie malattie, meno certezza si ha nel definire quale sia la giusta quantità di lavaggi che non solo le mani, bensì tutto il nostro corpo devono affrontare per evitare le malattie. Per esempio, per quanto si pensi che «fare la doccia ogni giorno sia più salutare che lavarsi meno spesso», come sostiene Robert Schmerling, professore associato alla Harvard Medical School, «in realtà si tratta di un’abitudine più legata alle norme sociali e culturali che alla salute».
Se più lavaggi non equivalgono a più salute, in un’epoca ossessionata dai germi come la nostra, si può anche arrivare al paradosso: a furia di pulirci, cioè, rischiamo di ammalarci. Sulla nostra pelle vive una flora microbica che è determinata dalla genetica per alcune parti del corpo; per altre invece è influenzata anche dall’ambiente (per esempio la flora sulla pelle dei piedi dipende dal tipo di calze e scarpe). Questa flora superficiale da un lato ha una funzione di prima barriera contro i germi patogeni; dall’altra mantiene “all’erta” il nostro sistema immunitario stimolando alcune cellule chiamate linfociti T, che sono pronte a rispondere ad agenti allergizzanti o ad attacchi di germi e batteri. Insomma, è come se sulla nostra pelle vivesse un esercito di sentinelle che difendono la nostra salute: eppure, ogni volta che ci insaponiamo, insieme allo sporco rimuoviamo anche loro.
Nulla di tragico, per carità: dopo qualche ora la situazione in genere ritorna quella che era. Ma, per quanto ogni tipo di pelle sia diverso (per esempio quella degli anziani, che è già delicata e sensibile, se viene disseccata dai detergenti diventa più facilmente preda di infezioni e allergie), un metodo per capire quando stiamo esagerando con la pulizia c’è: se, dopo esserci lavati il corpo o il viso, la pelle resta secca per oltre 3 ore, stiamo sbagliando qualcosa. Abbiamo eliminato, cioè, lo strato idrolipidico, la parte grassa che si trova sulla superficie della pelle, facilitando l’ingresso nel nostro corpo di sostanze allergeniche.
MEMORIA IMMUNITARIA
A questo punto ci sono due scelte: o ripariamo al danno fatto dal detergente spalmando sulla pelle una crema idratante o, meglio ancora, cambiamo il detergente. Del resto, secondo alcuni studi, l’alterazione della flora microbica superficiale legata a un eccesso di pulizia sarebbe responsabile di un fenomeno in netto aumento negli ultimi anni: la diffusione delle allergie cutanee. Il nostro sistema immunitario, per produrre anticorpi, fin dall’infanzia necessita di una certa quantità di stimolazione da parte di microrganismi, sporcizia e altri fattori ambientali, i cosiddetti “antigeni”. Se però già dai primi anni di vita si esagera con l’igiene, si riduce anche questa sorta di “memoria immunitaria”, ovvero la capacità di difenderci da elementi con cui siamo già venuti a contatto: «è come se per anni fossimo vissuti sotto una campana di vetro e poi, di fronte a un agente allergizzante, non fossimo “allenati” a resistere», illustra Costanzo. «Non a caso, esistono studi clinici che dimostrano come alcuni popoli nomadi si difendano meglio degli altri dalle allergie, al punto da non sviluppare quasi mai un disturbo della pelle detto dermatite atopica. Perché gli individui fin da bambini entrano spesso in contatto con vari tipi di antigeni», sigla il medico.
Un’altra teoria sostiene che, su una pelle già stressata dai lavaggi, le allergie cutanee siano in aumento a causa dell’inquinamento, che altera gli antigeni in modo da renderli irriconoscibili al sistema immunitario. Mark Holbreich, allergologo dell’Indiana, ha scoperto che gli Amish attuali, che vivono come si faceva nelle nostre campagne oltre un secolo fa, hanno livelli di allergie, eczemie altri problemi della pelle molto più bassi perfino dei coetanei che abitano sui monti della Svizzera.
SENZA DETERGENTI
Non potendo trasferirsi lontano dalle città, come possiamo evitare di danneggiarci per troppo bagnoschiuma? Una possibilità “soft” è quella, se non addirittura di ridurre, di abbreviare le docce: «Non più di 3 minuti, con acqua tiepida anziché calda, e insaponando solo ascelle, inguine (ma non genitali) e i piedi», raccomanda Emily Newson, dermatologa al centro medico dell’Ucla, Università della California a Los Angeles. Del resto, in quelle aree specifiche, non è il sudore di per sé a emanare la puzza, bensì la flora batterica, chefa fermentare il fluidoprodotto dalle ghiandole sudoripare apocrine, localizzate appunto sotto le ascelle e attorno all’inguine. Ecco perché, se si fa sport, o si suda molto o si ha la pelle grassa,“in loco” è il caso di usare il bagno schiuma. Invece, nelle altre zone del corpo dove la flora batterica incontra le secrezioni delle ghiandole eccrine, che restano inodori, non serve insaponare per scongiurare la presenza di effluvi.
Per proteggere la pelle da troppa igiene, resta infine l’alternativa radicale: bandire del tutto sapone, shampoo e deodorante. È quello che ha fatto il giornalista ed esperto di salute pubblica James Hamblin, che ha perfino calcolato il tempo che si risparmierebbe nel corso di 100 anni di ipotetica vita se ogni giorno non si dovessero più impiegare almeno 30 minuti (tra mattina e sera) per lavarsi: 18mila 250 ore, pari a 3 anni di tempo libero in più. Nel suo saggio Clean: the new science of skin, Hamblin ha raccontato cosa è successo al suo corpo quando, ben 5 anni fa, ha iniziato a lavarsi solo con l’acqua. All’inizio ero una bestia oleosa e puzzolente», scrive ricordando la fase in cui i batteri della pelle, trovando a disposizione una superficie più unta, producevano più cattivi odori. Ma piano piano la sua flora batterica si è riequilibrata, «la pelle si è fatta meno grassa, ho ridotto gli eczemi e perfino sotto le ascelle l’odore si è fatto meno pungente di quando saltavo il deodorante per un giorno». Si tratta ovviamente di un eccesso,mala conclusione dell’esperimento di Hamblin (che tuttora ha una fidanzata e una vita sociale) è che, per proteggere la pelle e la salute, sia necessario concentrarsi sulle evidenze scientifiche. Una di esse, per esempio, «è che lavarsi solo con l’acqua non rende profumati, ma non danneggia la pelle.
COME È CAMBIATA L’IGIENE NEI SECOLI
Durante i suoi 72 anni di regno Luigi XIV, detto il re Sole, fece 2 soli bagni, anche se ogni giorno si sciacquava le mani con acqua profumata e a giorni alterni si sfregava il viso con un asciugamano inumidito. In compenso il sovrano si cambiava più volte durante il giorno, perché in quel secolo l’idea era che fossero gli abiti puliti a garantire l’igiene personale, asportando lo sporco dalla pelle. Di qui il grande sfoggio di colletti e polsini, come si vede, per esempio, nella pittura barocca olandese. «In un’epoca in cui erano leciti in pubblico perfino gli sputi», dice Peter Ward nel saggio The clean body, «questi dettagli esprimevano con il loro lindore la raffinatezza di chi li indossava». Dalla fine del 1700, l’idea di doversi fare un bagno settimanale guadagnò consensi tra le classi agiate, mentre la pulizia delle classi inferiori divenne oggetto di preoccupazione delle autorità solo dall’inizio del secolo XIX, perché l’industrializzazione spinse le masse ad assembrarsi nelle città. La sporcizia delle strade e delle persone preoccupava a causa della teoria medica dei miasmi, che spiegava l’origine delle malattie infettive attraverso la diffusione nell’aria di “miasmi” appunto, cioè microparticelle velenose provenienti da rifiuti, sporcizia e letame. Più tardi, con l’avvento della teoria dei germi di Pasteur, che vede nei microbi la causa principale di molte malattie, i governanti decisero di costruire impianti fognari e di fornitura dell’acqua, ampliare la raccolta dei rifiuti e inaugurare i primi bagni pubblici (in Italia il primo fu aperto a Firenze nel 1869), mentre la comparsa della stanza da bagno nelle case dei ricchi fu gradualmente imitata in quelle borghesi, e poi passò dalle città alle campagne.