
L’ENIGMA DELLE LUCI NORVEGESI
Nella piccola valle di Hessdalen da 30 anni compaiono in cielo macchie luminose di tutti i colori, simili a oggetti volanti in movimento. Ora un team di ricercatori italiani è forse a un passo dalla spiegazione del fenomeno
Sono “luci misteriose” che la scienza studia da anni e che oggi, forse, hanno una spiegazione. Siamo in una piccola valle della Norvegia, vicina al Circolo Polare Artico, chiamata Hessdalen. Da almeno 30 anni gli abitanti del luogo denunciano di vedere luci galleggiare nell’aria, simili a “oggetti volanti” in movimento. «Si tratta di bolle di luce di varie dimensioni, forme e tonalità di colore (rosso, giallo, blu, bianco), di modesta o elevata luminosità, lente o saettanti, con movimenti random: caratteristiche così eterogenee da rendere complessa la comprensione della loro natura», spiega Jader Monari, ricercatore dell’Istituto di radioastronomia di Medicina (Bologna). Solo negli anni Ottanta il fenomeno finisce sotto la lente d’osservazione della ricerca: Erling Strand dell’Ostfold College University di Sarpborg (Norvegia) inizia a occuparsene scientificamente. Anche Monari, insieme ai colleghi Stelio Montebugnoli e Romano Serra, da anni si occupa del fenomeno con il progetto Embla, lanciato assieme ai tecnologi norvegesi del Project Hessdalen. Ma soltanto pocchi ani fa l’enigma ha potutto avere una soluzione proprio grazie all’intuizione del gruppo di ricercatori italiani.
Quattro tipologie di sfere
Secondo gli studiosi gli eventi osservati possono essere suddivisi in quattro categorie: fenomeni in prossimità del terreno, dove globi di luce anche di grosse dimensioni si possono osservare per più di dieci secondi; fenomeni volanti, che durano da uno a dieci secondi; fenomeni simili a flash, sia in prossimità del suolo sia nell’aria; infine, fenomeni “volanti apparentemente strutturati”, di cui, però, i ricercatori non si sono occupati perché mai rilevati da osservazioni strumentali durante le diverse missioni. «Con gli strumenti radio di ultima generazione abbiamo pensato di studiare i globi lumi nosi come fossero stelle nella nostra atmosfera e ora, dopo 12 anni di approfondita ricerca, siamo a quello che secondo noi potrebbe essere un importante tassello per la comprensione di questi fenomeni misteriosi», ha spiegato Montebugnoli. I ricercatori hanno ipotizzato che i fenomeni luminosi si possano spiegare attraverso “un modello elettrochimico”, in altre parole attraverso la presenza nell’intera vallata di una gigantesca “batteria naturale” che farebbe correre le bolle luminose lungo le linee del campo elettrico prodotto dalla “batteria” stessa. «L’ipotesi dovrà essere verificata con altre campagne di ricerca e altri strumenti, ma abbiamo buoni indizi di essere sulla strada giusta», sostiene lo scienziato Monari.
Il segreto sta nelle miniere
Le bolle di luce si formerebbero a causa della reazione chimica tra l’umidità, quasi sempre presente in valle, e le sostanze che dal sottosuolo evaporano nell’aria. Ma come fanno a muoversi queste bolle luminose? Come spiega Monari, «se si guardano le mappe geologiche dell’area si constata una particolare suddivisione dei minerali metallici nel sottosuolo: zinco e ferro nella parte Ovest, rame nella parte Est. Queste due aree potrebbero funzionare come gli elettrodi di una pila dove l’anodo (ossia il polo negativo) è la zona con lo zinco-ferro, mentre il catodo (il polo positivo) è la zona con il rame. Perché ci sia trasporto di corrente da un polo all’altro (il fenomeno in chimica viene chiamato “ossidoriduzione”) è necessario, però, che vi sia una soluzione (elettrolita). Nel caso della “pila” di Hessdalen la soluzione sarebbe costituita dall’acqua dei torrenti che fuoriescono da un versante della valle dove vi erano antiche miniere per l’estrazione di zolfo e si gettano nel fiume principale, l’Hesja. Proprio la presenza di acido solforico nell’acqua trasformerebbe l’acqua stessa in soluzione capace di formare un campo elettrico. Quest’ultimo, concludono gli studiosi, farebbe muovere le bolle avvistate dagli abitanti della zona. Per la conferma a questa ipotesi servono altre missioni in valle che Monari e colleghi hanno già definito nei particolari. Le ricerche riprenderanno non appena si avranno a disposizione i finanziamenti necessari.