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LO SPECCHIO RIFLETTE ANCHE LA SALUTE

I modelli di oggi misurano il nostro battito cardiaco e si collegano a internet. Ecco la straordinaria storia dello specchio la cui tecnologia è stata, nell’antichità, un segreto industriale costato la vita alle spie

È una lastra argentata sigillata con una superficie di vetro. Quella dello specchio sembra una tecnologia primitiva ma fino al XVII secolo è stata un segreto industriale conteso tra Venezia e Parigi, che si è trascinato dietro omicidi e processi sommari. Da sempre articolo di lusso, lo specchio, a cui nell’antichità sono stati attribuiti poteri misteriosi, tra qualche anno sarà anche intelligente. Un’evoluzione da simbolo di vanità a maggiordomo invisibile che nel bagno di casa potrà leggere il battito cardiaco, stampare la lista della spesa o collegarsi a internet e trasmettere in diretta sul vetro, come sullo schermo di un personal computer, condizioni del traffico e previsioni del tempo.

Quello che fa la diagnosi

Lo specchio del futuro sarà intelligente ma impietoso: il Medical mirror progettato dal ricercatore di origine cinese Ming Zher Poh al Mit di Boston, tra i più prestigiosi politecnici del mondo, può rilevare e segnalare una leggera anomalia del battito cardiaco, basandosi solo sulle variazioni di luminosità del viso rilevate da una comune telecamera a bassa risoluzione. Con un sistema senza fili, la webcam invia le immagini a un pc che calcola il battito cardiaco in base al ri”esso della luce ambientale sul volto, un parametro che dipende dal ritmo con cui il cuore introduce sangue nei vasi. Il Medical mirror è una soluzione non invasiva come lo specchio del Centro riabilitazione di Yokohama, in Giappone, che dirige gli esercizi di fisioterapia. Lo schermo digitale, progettato dalla Panasonic, riflette il profilo del paziente come uno specchio ma segnala eventuali posture sbagliate con un allarme acustico e le corregge rimodellando l’immagine proiettata sul vetro.

Il pesa persone giapponese

Nessuna indulgenza anche di fronte allo specchio dell’azienda giapponese Seraku, che calcola il peso delle persone grazie a una bilancia sotterrata nel pavimento: un brutto scherzo che si può evitare disattivando il comando. Lo Smart mirror della Seraku è lo schermo di un computer no-touch, dove senza mai toccare il display e grazie a una rete di sensori di luce che sostituiscono la manualità del mouse, si possono cliccare e aprire applicazioni per Android, il linguaggio di programmazione di Google per tablet e cellulari. Così si potranno leggere previsioni del tempo, informazioni sul traffico, stampare documenti e lasciare messaggi vocali a tutta la famiglia come su una segreteria telefonica.

Il camerino virtuale

Per vedersi come nuovi, invece, meglio spostarsi di fronte all’Interactive mirror nel Diesel store del quartiere trendy di Ginza, a Tokyo. Si tratta di un camerino virtuale realizzato dall’azienda giapponese Non-grid per i negozi di abbigliamento. È uno specchio interattivo con una fotocamera che scatta a grandezza naturale e permette al cliente, con un programma di simulazione, di provare tutti i completi che desidera senza doverli indossare. Ma il prezzo medio di questi specchi intelligenti è ancora lontano dal mercato di massa: si parte da un minimo di 10mila fino a un massimo di 35mila euro. Un po’ come accadeva in passato, quando uno specchio di cristallo poteva valere diversi ettari di terra.

Guerra del cristallo veneziano

Fino alla fine del Seicento, Venezia ha detenuto il monopolio degli specchi più pregiati. L’X-factor che rendeva il vetro della Serenissima così puro da sembrare cristallo era un ingrediente segreto dell’impasto. «Una composizione a base di sabbia e cenere di Kali, un’erba importata dall’Egitto che conferiva al vetro una trasparenza quasi assoluta», spiega Sabine Melchior-Bonnet, docente di Storia al Collége de France di Parigi. «La qualità di questa miscela sarà superata solo nel XIX secolo con una pasta di silicato di potassio, piombo e cristallo puro». Un asso della manica, quello della cenere di Kali, che Venezia ha difeso con i denti dai tentativi di concorrenza sleale della Francia, da sempre principale mercato degli specchi in Europa. «Già dalla fine del Cinquecento», prosegue la storica francese, «la Serenissima ha creato intorno ai propri vetrai un cuscinetto protettivo, concedendo loro privilegi come l’esenzione dalle tasse e l’autorizzazione a sposare fanciulle della nobiltà, ma minacciando, in caso di fuga, l’incriminazione come traditori della Patria, la confisca dei beni ed eventuali rappresaglie contro la famiglia». Dalle parole ai fatti, il passo è breve: nel 1547 due vetrai veneziani vengono assassinati in circostanze misteriose alla corte di Leopoldo I, in Germania, mentre nel 1589 l’operaio Antonio Obizzo è condannato in contumacia a quattro anni di galera per essere emigrato ad Anversa. Nel 1667 poi i corpi di due artigiani veneziani, morti per avvelenamento, sono ritrovati nella Manifattura reale di Parigi, la prima fabbrica pubblica per la produzione di specchi fondata solo cinque anni prima dall’economista di Stato Jean-Baptiste Colbert. Verso la fine del Seicento, quando nella manifattura parigina ci sono ormai al lavoro una ventina di artigiani italiani, Venezia perde il primato degli specchi in Europa.

Gli specchi ustori d’Archimede

Storie torbide tra Parigi e Venezia che testimoniano il lato oscuro dello specchio: anche gli antichi erano convinti che questo oggetto avesse poteri ai limiti della magia. L’episodio, anche se mai confermato da fonti storiche, che per secoli ha alimentato questa superstizione è stato l’assedio dei Romani a Siracusa nel 212 a.C. Per difendere il porto dalle imbarcazioni dell’impero, lo scienziato Archimede avrebbe progettato una batteria di specchi curvi, posizionati in favore di sole, che concentravano in un unico punto una grande quantità di energia che avrebbe incendiato a una a una le navi di Roma. Gli specchi ustori di Archimede, almeno in teoria, sarebbero gli antenati più lontani delle moderne parabole fotovoltaiche, una tecnologia ancora in fase di test, che con decine di specchi orientati a calice accumulano tutta la luce su un ricevitore che trasforma il calore in energia elettrica.

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