
MITHRA, UN DIO DALLE MOLTE VITE
La storia ha inghiottito molte divinità ed i culti a loro connessi. Nascevano, si sviluppavano, si espandevano, poi entravano in crisi e venivano soppiantati da nuove divinità.
Ebbene, abbiamo una divinità che ha percorso millenni di storia, trasformandosi, adattandosi ai cambiamenti epocali, rinnovandosi e che oggigiorno ha ancora tracce ben visibili attorno a noi.
Stiamo parlando del dio Mithra. La sua nascita si perde nella notte dei tempi nella valle dell’Indo, in quelle terre che all’epoca erano la culla della civiltà umana. Dei primi riti a lui rivolti non ci rimane molto. Le notizie più antiche, all’incirca nel 1200 a.C. anche se il culto era di molto precedente, ci rappresentano un Mithra come un Aditya, ossia una divinità del culto solare. Un dio importante, posto quasi al vertice del Pantheon, era dedito a regnare sugli Asura/Ahura. A volte viene identificato con il dio Indra in quanto hanno le medesime caratteristiche: l’utilizzo della folgore, dio della tempesta.
Ma queste non sono le notizie storicamente più antiche, in quanto, miglia di chilometri a occidente, in quelle terre che furono l’impero Ittita (oggi Turchia centro-orientale) è stato ritrovato il testo di un patto fra gli Ittiti ed i loro vicini Mitanni, in cui gli Ittiti si ponevano sotto la protezione del dio Mithra affinché il patto fosse rispettato.
Ecco che per la prima volta appare una caratteristica che accompagnerà Mithra nei secoli: ossia il garante dei patti. Ossia una assicurazione divina per l’osservanza degli accordi, fra privati o nazioni, da parte di un dio. Patto che avrebbe obbligato il dio a punire chi non li osservava. Ma in queste terre ecco i segni di un’altra funzione che caratterizzerà Mithra: l’essere il sovrintendente dell’alba, ossia del sorgere del sole. Pertanto Mithra è il dio che fa terminare la fase oscura del giorno, favorisce l’uscita del carro del Sole, gli indica il percorso nel cielo e dà, quindi, l’inizio alla fase della giornata dedicata alla vita sociale e lavorativa. Un primo indizio di un legame con gli astri che sarà importantissimo nella storia di Mithra.
Non molto più a sud di queste terre aspre e montagnose si allarga la fertilissima e pianeggiante Mesopotamia, con i suoi placidi fiumi che scorrono verso il mare, fecondando i campi e donando vita e ricchezza. In queste terre si erano succedute varie civiltà, iniziando dai mitici Sumeri, a cui forse noi occidentali tutto dobbiamo, quindi gli Accadi per giungere ai Babilonesi. In queste terre, il dio Mithra era identificato con Shamash (Šamaš), ed era il Dio che governava il Sole, posto ai vertici del Pantheon.
L’importanza nel Medioriente del dio Mithra era tale che molti regnanti lo assumevano come protettore e ne inserivano il nome nel proprio: i Mitridate, regnanti o alti funzionari regi, li troviamo in Persia, nel Bosforo, in Patia, nel Ponto, in Siria, in Armenia e in Iberia (oggi Georgia nel Caucaso). Ma vi furono anche generali e semplici cittadini con questo nome. In Persia vi fu una prima evoluzione del dio Mithra, il quale non era più il semplice regnante dell’alba ma entrava a far parte della trinità divina posta al vertice del pantheon. Dove le due divinità maggiori erano Ahura Mazda (sole) e Ishtar (luna) e il terzo vertice della trinità era, appunto, Mithra che ora non era solamente più il regnate dell’alba ma di tutta la terra.
Passarono i secoli, imperi crollarono, altri si affacciarono sul palco della storia, regnanti saggi raggiunsero gli antenati e tiranni salirono sul soglio reale. Passato come una bufera Alessandro Magno con il suo esercito, Mithra era sempre lì a governare i patti e a sovrintendere l’alba. Ed ecco che avviene una nuova evoluzione del dio. In queste terre prendono forma i culti misterici a lui dedicati.
I culti misterici ebbero un’origine che affondava nell’antichità. Nell’area mediorientale, nell’Anatolia e in Grecia ebbero un ampio sviluppo. Successivamente con l’ellenizzazione, dovuta ad Alessandro Magno, non solo ebbero maggiore sviluppo ma da livello locale, generalmente attorno ad un tempio, i culti si espansero nell’intera area. I culti misterici erano volti allo sviluppo della religione esoterica sovente rapportata al medesimo culto essoterico rivolto alle masse dei fedeli.
Pochi e prescelti iniziati si riunivano per praticare antichi riti e seguire misteriose vie iniziatiche. Queste sovente erano composte da riti di iniziazione, da riti di passaggio di grado, dovuto al raggiungimento di specifici livelli di conoscenza o coscienza, e riti rivolti alla divinità in particolari momenti dell’anno. Gli appartenenti ai riti si radunavano sovente di notte in luoghi appartati, in templi protetti e inaccessibili ove praticavano i loro riti, lontani dagli occhi indiscreti dei profani che con la loro presenza di increduli ne avrebbero potuto inficiare gli esiti. Oltre al pericolo di veder diffusi i segreti dei riti. Che sarebbero stati così sviliti o derisi da chi non ne comprendeva il significato simbolico e esoterico.
Riti che prevedevano azioni purificatrici per avvicinarsi al luogo sacro, sacrifici rituali di prodotti della natura o anche animali, banchetti scari, canti, preghiere e danze sacre. Sempre sotto l’occhio vigile degli anziani e dei sacerdoti o delle sacerdotesse. Il fine del percorso esoterico era quello di migliorarsi, purificarsi, conoscere dio e, tramite il fattore comune di tutti i culti misterici, ripercorrere il tortuoso sentiero del dio che moriva e risorgeva per donarci la salvezza. E solo morendo e risorgendo ritualmente al termine dell’apprendimento di tutti i segreti del culto, anche l’iniziato otteneva la liberazione dal male terreno, ossia la morte, potendo così accedere alla vita eterna presso il proprio dio. E ciò includeva sovente la lacerazione delle catene che legavano l’uomo al ciclo delle vite che altrimenti si sarebbe ripetuto all’infinito. Ogni rito aveva la propria simbologia di riferimento: vi era quello che si riferiva al ciclo delle stagioni con la morte ogni autunno e la rinascita in primavera.
Vi era quello che faceva riferimento agli insegnamenti di un grande iniziato e quelli, come il Mitraismo, che facevano riferimento alle costellazioni, ai pianeti al loro muoversi nel cielo. Il ciclo di morte e rinascita era rappresentato dal giorno e dalla notte. Quindi il ciclo solare giornaliero.
I più diffusi riti misterici, a parte i Mitraici, furono: i misteri Eleusini presso il tempio di Demetra ad Eleusi, i misteri Dionisiaci (dio Dioniso), Orfici (dal predicatore Orfeo), i misteri Sabati dal dio/demone Sabazio che si imperniavano sulla fertilità donata dal serpente, generatore dell’umanità. Questi misteri dalla Frigia si diffusero in Grecia e giunsero fino a Roma. Infine i misteri Cabiri originari della regione della Samotracia. Questo rito si imperniava sul Dio Efesto ed un gruppo di divinità che governavano l’oltretomba. Dall’Anatolia giunsero i riti di Attis e Cibele basati sui cicli delle stagioni. Culto in realtà complesso e affascinante che ebbe successo anche in Italia. Il culto misterico di Serapide, nato in Egitto ma in ambiente ellenistico. Infine l’affascinante culto misterico egizio di Iside e Osiride basato sulla morte e rinascita. Si trattava, nel caso di Mithra, di culti misterici basati sulla conoscenza degli astri e dei loro movimenti come percorso iniziatico per ottenere la sapienza e quindi la luce. Non sappiamo dove e quando questi misteri sorsero ma è chiaro l’ambiente.
Sicuramente l’apporto mesopotamico con la conoscenza degli astri, che doveva essere preservata dall’abbruttimento del trascorrere del tempo, e dall’apporto persiano dei sacerdoti-astronomi (i Magi) che, anch’essi, dovevano preservare la loro sapienza trasmettendola oralmente a degli iniziati.
I Magi, noti nella teologia Cristiana come re-magi, erano in realtà degli astronomi-sacerdoti persiani.
I persiani-medi erano divisi in sei clan, classi paragonabili alle caste indiane. Una di queste caste era dedita all’astrologia e al sacerdozio oltre agli studi alchemici. Erano di culto zoroastriano, ossia avente Ahura-Mazda come dio al vertice del panteon e Zaratustra come profeta. Una religione nata sulle rive dell’Indo e giunta poi sugli altipiani iranici.
Con l’arrivo delle truppe romane che, sotto il pesante passo delle legioni, portarono l’Ordine Romano in queste terre, lentamente ma progressivamente i riti misterici mitraici si insinuarono fra gli ufficiali ed i legionari romani. Sino a raggiungere un notevole successo in questo ambiente.
I motivi possono essere molteplici, come vedremo nel dettaglio: il fatto che si trattasse di culti gerarchicamente ben strutturati, l’identificazione del dio supremo nel Sole, come l’imperatore, il fatto che fossero riservati ai soli uomini. Quando le legioni venivano spostate per motivi strategici o contingenti, questi uomini si portavano appresso i loro riti, ed ecco che la maggior parte dei mitrei (i locali-tempio dedicati al culto) che conosciamo, sono siti in quella lunga linea che partendo dall’Olanda risale il corso del Reno sino alle sorgenti nel sud della Germania, qui incontra le sorgenti del Danubio e accompagna il suo percorso sino al suo sfociare nel mar Nero. Questi fiumi erano, all’epoca, il confine nord-orientale dell’impero romano ed erano terre molto presidiate dall’esercito. I famosi limes, atti a bloccare le invasioni che giungessero dalle pianure paludose dell’est Europa. Erano difesi da guarnigioni composte da uomini che giungevano, come nascita, da ogni provincia dell’impero: dalla penisola iberica, da quella italica, dall’Illiria, dalla Gallia, dalla Siria. E gli uomini di queste guarnigione entravano in contatto con quelle legioni che vi giungevano come nuova destinazione militare provenienti dal Medioriente.
E come detto, si portavano appresso i riti di Mithra. Quindi lungo questa linea ritroviamo centinaia di mitrei. Spartani, come si addice a dei militari, ma funzionali per il loro scopo. E quando il legionario giungeva al termine della ferma e gli veniva assegnata della terra da coltivare come compenso per il suo servizio, questi, giunto nella nuova sede, assieme ad ex commilitoni, costruiva nuovi mitrei. Così ne troviamo a Londra, in Francia, a Roma, in Campania. Nel I sec d.C. i riti misterici di Mithra erano di gran lunga i più noti e seguiti dell’impero. Nonostante fosse impedito l’accesso alle donne e agli uomini non liberi.
Affrontiamo ora la struttura dei templi utilizzati dai discepoli dei riti mitraici. Innanzitutto i mitrei erano sotterranei. Questa scelta costruttiva fu adottata per un duplice motivo. Il primo era quello della riservatezza totale in quanto così costruiti non vi era possibilità che i non adepti potessero visionare quanto vi avveniva ed i riti segreti erano salvi. Il secondo motivo era poter mettere in opera una particolare apertura nel soffitto che permetteva l’accesso della luce mattutina secondo particolare angolatura e tramite la medesima apertura la visione del cielo stellato. Il mitreo era composto da un locale non molto ampio di forma rettangolare. Con le pareti correttamente orientate secondo i punti cardinali. L’accesso era ad occidente. Lungo le pareti nord e sud vi erano delle strutture, normalmente in muratura ove i fedeli dovevano sedersi o sdraiarsi in base al rito. Verso la parete orientale vi era un’ara. Su questo piccolo altare avvenivano i riti. Lungo la parete orientale vi era un bassorilievo, una statua o un affresco rappresentante Mithra intento nella tauromachia, ossia l’uccisione rituale del toro. Che analizzeremo successivamente.
Questa era la struttura minima, poi arricchibile con altre simbologie. Come detto la dimensione non era notevole, e di conseguenza vi partecipavano pochi discepoli, per poter permettere a tutti gli adepti di partecipare attivamente ai riti e avere un ambiente adatto allo studio dei simboli. Se un gruppo cresceva di numero vi era una figliazione e ne veniva formato uno nuovo con il proprio mitreo. Il Mitraismo si basava, come accennato, sul simbolismo astrale. Per quanto giunto a noi, la più grande rappresentazione simbolica era quella posta lungo la parete est del mitreo. Come possiamo osservare vi era raffigurata la tauromachia effettuata da Mithra stesso. La rappresentazione, sempre uguale, è una summa di fattori simbolici. Abbiamo Mithra che ha atterrato un toro, forse un giovane toro viste le dimensioni. Sovente, anche se non sempre, gli tiene sollevato il capo avendogli inserito indice e medio nelle narici e tirandogli la testa verso l’alto. Con il ginocchio sinistro posto sulla schiena tiene il toro adagiato a terra e con il piede destro gli tiene ferma la coda. Il toro così bloccato è costretto ad offrire la gola a Mithra e questi con una corta spada lo uccide recidendogli la giugulare. Da essa fluiscono abbondanti flutti di sangue. In alcuni casi invece del sangue, dalla ferita, fuoriescono dei granuli, apparentemente dei chicchi di grano. Il sangue scorre sul fianco del toro e prima di essere sparso a terra, viene bevuto da un cane e da un serpente. Questi si osservano arrampicati sul fianco del toro medesimo. A livello del terreno si può osservare uno scorpione che attacca i testicoli del toro, forse per castrarlo. Il toro ha una particolarità: ha la coda che termina con due spighe invece del comune fiocco di peli bovino. A fare contorno sopra questa scena abbiamo un arco di stelle. Presso il quale vi è un corvo. In alcuni casi i corvi sono due, uno per lato di Mithra.
Mithra è vestito con il tipico abbigliamento frigio, che era comune anche fra i persiani: ha una corta tunica, le brake, ossia i pantaloni tipici di quelle terre. Ha un mantello azzurro che sovente è punteggiato di stelle. Ha come copricapo il tipico berretto frigio, quello che divenne famoso in Europa al tempo della rivoluzionefrancese. Mithra non sta osservando ciò che sta compiendo, ma è rivolto all’indietro con lo sguardo verso l’alto: ossia rivolto verso la figura del Sol Invictus rappresentato all’interno del disco solare. In alcune rappresentazioni, dagli occhi del Sol Invictus partono due raggi di luce che illuminano il volto di Mithra. Sovente il Sol Invictus è accomunato ad Apollo in Europa o alla divinità solare nei vari luoghi in cui era presente il mitreo: quindi Belenos fra i Celti, Amon in Egitto, Agni fra gli Indu, Malakbel nelle religioni arabe pre-islamiche, Ekhi fra le popolazioni preindoeuropee iberiche (Baski), Usil per gli Etruschi, Shamash per gli Accadi e Utu per i Sumeri, in Mesopotamia. Questa divinità, con la testa raggiata, pare approvare l’atto di sacrificare la vita del toro. In corrispondenza del Sole, sull’altro lato della rappresentazione vi è la luna, con il volto della dea al centro. Talune volte la dea ha in mano una stella, altre volte una stella in ogni mano. Dea identificata in Artemide, Diana, Ishtar, la babilonese Inanna, in base ai luoghi.
Anche ad un profano è semplice intuire che si tratta di una rappresentazione del cielo con una serie di costellazioni. Abbiamo il toro, cane (minore, trattandosi di un cane di non grandi dimensioni), serpente (idra), corvo e spiga. Vedremo successivamente il rito collegato, ma proviamo ad immaginare cosa si voleva trasmettere con questa complessa rappresentazione simbolica. Non essendoci giunte informazioni scritte possiamo solamente avanzare ipotesi. Ad esempio: il sangue, simbolo vitale, che abbevera il serpente (l’animale intelligente) e il cane (animale fedele) rappresentante la donazione della vita. Si potrebbe quindi dedurre che la vita per la stirpe del serpente e per la stirpe dei sottomessi (cane), proverrebbe da una stella?
Da una analisi della mappa stellare della costellazione del Toro, in corrispondenza alla ferita inflitta, vi troviamo le Pleiadi. Le Pleiadi sono posizionate proprio nel collo del toro da dove fuoriesce il flusso vitale, vuoi sangue simbolo della vita o il grano simbolo della nascita della vita. Curiosamente, se Mithra avesse voluto uccidere velocemente il toro, gli avrebbe tagliato la gola, invece, il trafiggere la giugulare alla base del collo, è un processo più complesso e lungo per ottenere la morte. Quindi la rappresentazione è voluta e non casuale. Ma la particolarità è che la rappresentazione del toro è come se si vedesse non dalla terra ma dallo spazio. Se noi osserviamo la costellazione, questa ha la testa del toro rivolto a sinistra, mentre nella rappresentazione mitraica la costellazione è rivolta a destra.
Eppure le profonde conoscenze astronomiche dei mitraici non potevano portare ad un errore così grossolano. Ma vi è un ulteriore particolare. Presso la popolazione masai, i giovani guerrieri si abbeverano del sangue bovino mischiato al latte, e il sangue non viene desunto con la morte del bovino, ma viene estratto con un salasso praticato con una piccola freccia. Dopo di che, il bovino può riprendersi e guarire della ferita. Possiamo forse pensare che in realtà Mithra non stia uccidendo il toro ma gli pratichi solamente un salasso per abbeverare il cane ed il serpente? A questo punto, un attento lettore, potrebbe osservare che vi è anche lo scorpione che attenta i testicoli. Si potrebbe avanzare, quindi, l’ipotesi che lo scorpione, con la sua punta (pungiglione) si appresta ad estrarre lo sperma dai testicoli del toro. E da ciò possono aprirsi tutti i ragionamenti derivanti da un seme che giunge dalla costellazione del toro. E qui mi fermo perché non ho letteratura da portare a supporto di questa ipotesi.
In taluni mitrei si trova anche un’altra immagine simbolica. Quella del dio Phanes. Osserviamo il dio che è rappresentato con le ali, che significano il legame con la divinità, poiché gli dei erano ritenuti in grado di volare. Il dio poggia i suoi piedi su una sorta di braciere da cui escono fiamme. Questo simbolo potrebbe rappresentare l’origine non umana del dio in quanto è noto che gli uomini sono stati creati con la creta (terra e acqua) mentre gli dei nascono dal fuoco. I suoi piedi non sono umani, come il resto del corpo, ma curiosamente sono biforcuti, come se si trattasse degli zoccoli del dio Pan. Con la mano sinistra regge ciò che apparentemente è un bastone mentre in realtà si tratta di uno scettro, ossia il simbolo di governo presso i popoli antichi. Oggi lo scettro è simbolicamente rappresentato in forma ridotta, ma un tempo era di dimensione maggiore. Con la mano destra regge il simbolo delle corna ritorte dell’ariete, curiosamente l’ariete è l’era astronomica successiva a quella del toro. Simbolo che ritroviamo, curiosamente, fra gli artigli dell’aquila napoleonica. Questo era il simbolo del dio Amon, di cui appunto l’ariete era l’emblema. La testa del dio Phanes è addobbata da un palco di corna. Notoriamente due corna sono simbolo divino (ad esempio El) ma un numero maggiore di corna rappresenta un livello gerarchico più elevato nel panteon degli dei.
Dietro il dio si osserva l’uovo cosmico, l’uovo generatore della vita. E sull’uovo vi è un serpente. Come a rappresentare che la vita è donata attraverso l’intervento del serpente. Il simbolismo maggiore della rappresentazione è il serpente che avvolge il dio, come nella rappresentazione classica del paradiso terrestre ove il serpente avvolge l’albero della vita nel momento che offre la mela ad Eva. Ma la testa del serpente è occultata dietro la testa del dio Phanes. Ossia adiacente all’uovo cosmico. Il dio è attorniato dai simboli zodiacali che rappresentano da un lato il cielo e dall’altro lo scorrere del tempo. Al centro del torso del dio Phanes vi è rappresentata la testa di un leone, altro simbolo astrale. Leone che forse sta ad indicare un preciso punto del cielo per poter desumere ove si trova il serpente o comunque l’uovo cosmico. Decisamente curioso ed interessante il suo mito, il quale narra che dio Phanes venne catturato dai Titani, ucciso e smembrato. Le sue carni vennero arrostite ed i Titani se ne cibarono come pasto sacrificale. Ma la dea Athena riuscì a rubare il cuore, ancora pulsante, ed a portarlo a Zeus. Questi fu così in grado di ricreare il dio Phanes ed a ridargli la vita. Quindi ecco creato il mito del ciclo di morte-rinascita che fu dei riti misterici dionisiaci e mitraici, entrambi basati su questo mito. E’ evidente che la narrazione, benché in altra situazione, riporta il medesimo mito di Iside e Osiride.
In taluni mitrei si trova un altro interessante bassorilievo. Troviamo il dio Sol Invictus in cielo affiancato a Mithra. La Luna è appartata e pare disinteressarsi di quanto avviene al di sotto, ossia sulla terra. Sul suolo rileviamo Cautes e Cautopates che curiosamente non hanno le fiaccole ma entrambe hanno lo scettro. Così come hanno lo scettro sia Sol Invictus che Mithra. Fra i due fedeli servitori di Mithra vi è un contenitore su cui è raffigurato un serpente. Cautopates è anche dotato di un caduceo, il bastone di Hermes dotato di facoltà mediche. Il caduceo è puntato verso la base del contenitore. Dal caduceo parrebbero uscire fiamme o un raggio di luce.
Sull’altro lato abbiamo Cautes che pare consegnare qualcosa al Sol Invictus. Non abbiamo documentazioni che illustrino la scena, pertanto possiamo solamente fare supposizioni. E’ evidente che la scena ruoti attorno al contenitore. Cosa possiamo immaginare contenga questo misterioso oggetto? Avendo un coperchio, dobbiamo pensare contenga qualcosa; e avendo rappresentato sopra un serpente, possiamo immaginare si tratti dell’uovo cosmico contenente la vita dell’Adam Kadmon, il primo uomo. Quindi possiamo interpretare che si tratta della rappresentazione della creazione della vita dell’essere umano, ove, sotto la supervisione del Sol Invictus, tramite un’arte medica (caduceo), viene data la vita al contenuto dell’uovo cosmico, da cui nascerà il primo essere umano. Ma, ripeto, si tratta di una ipotesi non suffragata da documentazione alcuna.
Affrontiamo ora i riti del Mitraismo. Innanzi tutto dobbiamo tener presente che i riti mitraici suddividevano gli adepti in gradi, come fa ancora oggi la Massoneria, ossia il neofita appena iniziato ai misteri era al primo grado. Quindi con il progredire della conoscenza e tramite riti successivi, questi poteva salire la scala gerarchica al cui vertice vi era il Pontefice Massimo al settimo grado. Grado gerarchico detenuto da una sola figura. Il più famoso Pontefice Massimo dei riti di Mithra fu l’Imperatore Costantino. Vediamo i gradi:
I) Corax (corvo), ossia il neofita appena iniziato ai misteri il cui pianeta e dio di ferimento era Mercurio.
II) Nynphus (crisalide) il cui pianeta e dea di riferimento era Venere.
III) Miles (soldato) pianeta e dio era Marte, ha come attributi la corona e la spada. Si trattava del grado di pienezza dei riti mitraici, quelli superiori sono gradi gerarchici e di sapienziali raggiungibili da pochi. Questo tipo di organizzazione è tuttora vigente nella Massoneria, che peraltro ha il tempiologgia organizzato praticamente come un mitreo, ove nei primi tre gradi (apprendista, compagno d’arte, maestro) si raggiunge la conoscenza, poi vi sono i gradi di perfezionamento attraverso vari riti (York, Scozzese, Memphis e Misraïm etc).
IV) Leo (leone) il cui pianeta ed il dio di riferimento è Giove.
V) Perses (Persiano, inteso come soldato della guardia imperiale. Che erano detti “Immortali”) il cui pianeta e dea di riferimento è la Luna-Selene.
VI) Heliodromus (Corriere del Sole, auriga del carro solare) il cui pianeta di riferimento era il sole e il dio era il Sol Invictus-Apollo, ha come attributi la torcia, la frusta e la corona. Questo era il massimo grado raggiungibile ove l’uomo diventava uguale a dio. Ossia immortale in quanto si era liberato delle catene che lo legavano al ciclo di vita-morte-rinascita. Con il rito, misterioso, di passaggio dal V al VI grado l’adepto rinasceva come “uomo nuovo”.
VII) Pater (Padre), rappresentante in terra del dio Mithra, il cui dio e pianeta di riferimento era Saturno, ha come attributi il berretto frigio rosso, la verga (scettro) e l’anello. Questo grado era riservato al Pontefice Massimo del rito ed era appannaggio, come detto, di una sola persona. Questi sette gradi li ritroviamo nel Cristianesimo: catecumeno, fedele, diacono, prete, vescovo-abate, arcivescovo-cardinale, pontefice. Quest’ultimo detto “papa”. E anche per il cristianesimo vi sono tre riti per raggiungere il perfezionamento: battesimo, prima comunione e cresima.
Vediamo ora i riti dei misteri mitraici, per quel poco che è giunto a noi. Abbiamo visto che i mitrei erano locali sotterranei, questo perché dovevano rappresentare la grotta ove era nato Mithra il 25 dicembre. Ed in tale giorno si praticava nell’occasione una festa in quanto il dio ritualmente scendeva dalle stelle e, passando nella fessura del soffitto, veniva a nascere nella grotta. Qui, invece dei pastori adoranti indicati dalla tradizione mitraica, vi sono gli adepti dei misteri. Grazie al fatto che era il dio che presiedeva il mattino, dava inizio al nuovo ciclo di allungamento delle giornate, sconfiggendo la morte-notte-inverno.
Un particolare. Il sacerdote aveva ai lati dell’altare o lungo la parete di fondo le due statue dei tedofori Cautes e Cautopates i quali hanno l’uno la torcia abbassata ed il secondo sollevata.
Il primo rappresenta il buio della notte ed il secondo la luce del giorno. Posti quindi ai lati di Mithra che, come governante dell’alba, li divide.
Altro rito importante era la cena rituale, non sappiamo quanto sovente venisse celebrato questo rito, ove i fedeli, accompagnando la cena con canti di gloria, si cibavano del pane, fatto ritualmente con le spighe della coda del toro, e con il sangue del toro stesso, rappresentato dal vino. Taluni ritengono che l’atto che compie il sacerdote Cattolico di sollevare l’ostia (che in questo caso rappresenterebbe il Sole), durante la consacrazione, sia una parte residua del rito mitraico in cui il sacerdote sollevava un pane di forma circolaresolare rappresentando l’alba, momento della giornata governato da Mithra.
All’interno dei mitrei vi era una fossa scavata nel terreno. Una fossa sufficientemente grande per contenere un uomo coricato. Nel caso di una iniziazione questa fossa veniva riempita d’acqua e il neofita vi veniva disteso all’interno, vestito di un solo camice di lino bianco e, tramite abluzioni rituali, si purificava delle scorie della vita mondana e poteva essere così accolto nei misteri. Ciò che sappiamo è che il neo-adepto con questa purificazione veniva mondato dei suoi peccati. Non conosciamo l’intero rituale ma possiamo immaginare fosse più complesso e ricco di simbolismo.
Ma la purificazione rituale doveva avvenire ogni qual volta gli adepti accedevano al mitreo. Accanto all’ingresso vi era una piccola vasca ove l’adepto si doveva lavare mani e il volto pronunciando frasi rituali. Queste abluzioni sacre lo mondavano dalla vita profana.
Il passaggio dal I al II grado era la possibilità di accesso alla cena rituale e poter esprimere il proprio pensiero durante le riunioni misteriche. Attribuzione vietata a chi era inquadrato al primo grado il quale, pur potendo partecipare agli incontri, doveva tacere. Possiamo quindi pensare che vi fosse un rituale in cui l’adepto accedeva per la prima volta al banchetto e quindi poteva mangiare del pane e del vino consacrato.
Abbiamo poi alcuni accenni sul rituale di passaggio fra il II ed il III grado, allorchè l’adepto diveniva Miles, ossia soldato di Mithra. Ritualmente, il sacerdote gli versava in testa della cenere ricordandogli l’umiltà, quindi lo ungeva con olio sacro per consacrarlo ed infine gli conferiva un ceffone per ricordargli l’autorità che lo poteva punire per qualunque suo atto di superbia o insubordinazione. Secondo alcuni studiosi, poi il sacerdote faceva l’atto di cingergli la testa con la corona, ma questi la rifiutava asserendo che la corona spettasse solamente a Mithra. Ritualmente, quindi gli veniva consegnata la spada con cui doveva difendere i segreti dei riti Mitraici.
Non sappiamo altro sui riti di livello superiore se non in parte quello per il passaggio dal V al VI grado.
L’adepto veniva sdraiato nella fossa precedentemente menzionata. Su questa veniva posizionata una grata. Quindi, ritualmente, sopra questa grata veniva sacrificato un toro ed il sangue che ne sgorgava colava attraverso la grata medesima ed andava a impregnare gli abiti e bagnare/lavare il corpo dell’adepto. Questi, come il cane ed il serpente, e ne dissetava.
Acquisendo così la sapienza che discendeva dal toro, ossia che proveniva dalla costellazione del toro. La grata a questo punto veniva levata e l’adepto sollevato. Costui era ora rinato a nuova vita ed era simile agli dei, in quanto, come detto, liberato dal ciclo di vita-morte-rinascita e perché a conoscenza di quanto noto agli dei. Il rito deriva dal mito secondo il quale Mithra stringe un patto con il dio Sol Invictus. Questi, a tempo debito, gli invia il corvomessaggero che informa Mithra che è giunta l’ora di uccidere il toro primordiale. Mithra effettua il sacrificio e con il versamento del sangue dà vita al nuovo mondo. Quindi Mithra e il Sol Invictus partecipano al banchetto sacro rituale in ringraziamento ed in memoria dell’avvenimento. Secondo taluni studiosi, il mito ricorda la fine dell’era del Toro (2440 a.C. circa) e quindi l’inizio dell’era dell’Ariete. Non riesco ad essere d’accordo su tale ipotesi in quanto non si riesce a trovare alcun legame con questo avvenimento e con tutti gli altri simboli presenti. Concludiamo questa piccola disamina ricordando gli appellativi e le qualità del dio Mithra: vincitore della battaglia che avverrà alla fine dei tempi fra il bene ed il male. Come accennato è il dio del patto e dell’alleanza. E’ il giudice delle anime dei defunti. E’ il protettore dei giusti dalle forze del male e, quando queste si staccheranno dal corpo mortale, le accompagnerà alla dimora definitiva. Ed è onnisciente ed infallibile. In ambiente ellenistico nel I e II secolo d.C. oltre al Mitraismo si diffuse velocemente anche la dottrina di Apollonio di Thiana.
Negli ambienti del giudaismo della diaspora si diffuse la dottrina del rabbi Yeshua in aramaico e Yeoshua in ebraico, ossia Giosuè detto Iesus/Gesù. Le situazioni politiche, sociale e militare dell’impero Romano incominciano a rabbuiarsi. Continue lotte per la successione all’impero, l’eterna lotta contro la Persia, le pressioni dei popoli nordici e asiatici sui confini europei.
La stagnazione economica dovuta lla cessazione dell’espansione territoriale, le epidemie che falcidiavano la popolazione. Una situazione non ancora insostenibile ma che inizia a diventare seria. L’Imperatore Costantino decide, forse ben consigliato, che occorra trovare un fattore unificante per l’impero. Impero che aveva dato segni di azioni centrifughe nelle isole britanniche e soprattutto in Siria con il regno di Palmira della regina Zenobia.
Sommando queste preoccupazioni a quelle elencate, ritiene che un fattore unificante possa essere non più il mito di Roma, città eterna con i suoi fasti e certezze, in quanto ormai la capitale dell’impero era stata portata a Bisanzio in area ellenistica e solamente una piccola parte dei cittadini dell’Impero erano latini o loro discendenti. Ma forse occorreva una motivazione spirituale, controllata da un clero stabile che fosse capillarmente presente nel territorio; clero che, nei suoi strati bassi, dovesse guidare moralmente il popolo e nei livelli alti della gerarchia rispondere al governo imperiale. Le religioni degli antichi dei del panteon greco-romano non erano adatte in quanto non erano religioni spirituali ma solamente un insieme di riti di venerazione di esseri superiori.
Esseri che vivevano, amavano, lottavano, morivano. Occorreva trovare una religione nuova. Costantino che era, oltre che imperatore, anche Pontefice Massimo dei culti misterici di Mithra, semplice gli sarebbe stato imporre tale religione a tutto il popolo. Ma non era possibile per diversi ordini di cose: si trattava di culti misterici e non di una religione popolare. Il popolo ha bisogno di divinità locali a cui rivolgersi, ha bisogno di manifestazioni della potenza divina quali i miracoli, non di una via iniziatica per il miglioramento di se stessi. Poi il Mitraismo era, come abbiamo visto, riservato agli uomini e vietato alle donne e ai non liberi. Erano problemi insormontabili. Si pensò allora alla teologia di Apollonio di Thiana che tanto successo aveva in Medioriente in generale e in Anatolia in particolare. Ed era anche conosciuto in Italia e Grecia. Anche in questo caso vi erano problemi. La teologia apollonica era complicata da un substrato di conoscenze pitagoriche non alla portata di tutti.
E’ vero che i suoi sacerdoti si rivolgevano ad un dio impalpabile e sconosciuto ma non esisteva una gerarchia e i riti erano troppo semplici. Vi erano sì i miracoli, ma questi erano stati praticati solamente da Apollonio e poi erano cessati con la sua morte e ascesa in cielo. Inoltre non erano pochi coloro che accusavano Apollonio di magia. Ecco che a qualcuno, o a Costantino stesso, venne la folgorante idea di creare una religione nuova. Basata su un profeta sconosciuto. Un qualcuno che potesse fornire le esigenze del caso e fosse inattaccabile. Quindi uno sconosciuto o quasi. Uno che non avesse nemici. Ecco che la scelta cadde su Yeshua/Gesù. Non abbiamo, ovviamente, documenti che illustrino le motivazioni di questa scelta, ma le possiamo quantomeno intuire: sconosciuto ai più, nato, vissuto e morto in una provincia romana che aveva pochi o nulli contatti con l’esterno: la Palestina. Di un popolo che viveva appartato, quello giudaico benché Gesù fosse galileo e non giudeo. E vi era anche un altro grande vantaggio. Questo popolo, l’ebraico, aveva un libro, la Bibbia, che sarebbe potuto servire come base per la sua vita e predicazione. Ossia vi era un substrato religioso già esistente. Bibbia che era conosciuta a Bisanzio in quanto tradotta in greco ad Alessandria d’Egitto circa cinque secoli prima. Certo, non era uguale alla Bibbia ebraica ma questo poco importava.
Bastava interpretare alcuni passaggi di essa come profezie della venuta del dio sulla terra ed il legame era creato.
Al fine di gettare le basi di questa nuova religione, Costantino convocò a Nicea, presso Bisanzio, per il 325 un concilio che cambiò la storia d’Europa. Vennero convocati i circa 1000 vescovi delle diocesi dell’impero Romano d’Oriente e gli 800 vescovi dell’impero Romano d’occidente. Di questi 1800 prelati se ne presentarono circa 250 e forse furono presenti in 270 alla fine del concilio. Altri ne arrivarono dopo il suo termine. Il concilio dibatté essenzialmente del concetto del dogma, ovvero la verità di fede. Che deve essere accettato dal fedele senza alcuna discussione per non incorrere nell’eresia. Concetto inesistente in tutte le religioni contemporanee e preceedenti. Gli incontri si effettuarono sotto la presenza di Costantino che, come detto, non era cristiano. Il concilio si protrasse dal 19 giugno al 25 luglio del 325. Il documento finale fu firmato dal rappresentante imperiale Osio di Cordova e poi dai rappresentanti dei patriarcati.
Ricordiamo, all’epoca, a dispetto di quanto ci si vuol far oggi credere, la figura centrale del Papa di Roma non esisteva. Vi erano cinque patriarcati: Gerusalemme, Antiochia, Alessandria d’Egitto, Bisanzio e Roma. Inoltre vi erano correnti teologiche inconciliabili, al punto che non tutti firmarono, come i seguaci del vescovo Ario e del Vescovo Eusebio di Nicomedia, considerati poi eretici. La lotta fu acerrima al punto che il Vescovo di Bari Nicola, poi santo, picchiò il Vescovo Ario. Quindi fu una minoranza, ancorché non compatta, che gettò le basi del Cristianesimo come lo conosciamo oggi. Ma vi è un particolare interessante. Poiché parte della teologia fu desunta da quella di Apollonio di Thiana e le gerarchie ed i riti ereditati dai culti misterici di Mithra, riteniamo comprensibile che anche i rappresentanti di queste due organizzazioni fossero presenti. Per quanto riguarda il mitraismo ne siamo certi, poiché il loro Pontefice Massimo, Costantino, presiedeva i lavori. Ma riteniamo non fosse l’unico. Ecco che con l’impulso dato dall’impero, il Cristianesimo inizia ad imporsi e proprio dall’Italia. Ecco sorgere le chiese. Edifici di culto che prima non esistevano. In quanto gli scarsi fedeli protocristiani si ritrovavano presso abitazioni o in locali disadorni. Invece vediamo innalzarsi edifici che ricordavano i templi degli dei del panteon greco-romano. Al suo interno vi era un altare come nei mitrei. Non vi era il simbolismo mitraico ma il nascente simbolismo cristiano. E curiosamente le prime chiese furono costruite sui mitrei già esistenti. I riti di Mithra in breve scomparvero come se fossero stati inghiottiti dalle tenebre del mistero. Solamente a Roma, per fare un esempio, dei sette mitrei conosciuti e giunti sino a noi, tre sono sotto delle chiese. O meglio, le chiese sono state costruite sopra i mitrei: San Clemente in via San Giovanni in Laterano, Santa Prisca sull’Aventino e Santo Stefano Rotondo. Poi vi sono: quello adiacente il Circo Massimo, quello delle Terme di Caracalla, quello sotto Palazzo Barberini e quello ritrovato sotto via San Giovanni Lanza. Da questo momento inizia l’ascesa inarrestabile della Chiesa Cristiana sino a diventare avversaria dell’Impero ai tempi di Carlo Magno e di Federico Barbarossa, per fare due esempi. La chiesa post-conciliare non aveva quasi più nulla del giudeocristianesimo dei primi tempi. Aveva abbandonato la circoncisione, i riti ebraici, l’iconoclastia, anzi inondava le nuove chiese di quadri e statue. Ma questa è un’altra storia. Però la chiesa neo-Cristiana aveva adottato consuetudini e tradizioni del mitraismo: quali il 25 dicembre come data di nascita di Gesù, come Mithra: Solstizio d’inverno, la settimana di sette giorni ed i paramenti sacerdotali, che vedremo oltre.
La gerarchia. Il rito della cresima con la trasformazione del fedele in “soldato di Cristo” come evoluzione del rito di passaggio al terzo grado. Dopo battesimo e prima comunione. Insomma, Mithra era scomparso ma sopravviveva in tutta Europa. Vediamo ora cosa hanno lasciato in eredità i riti di Mithra nei paramenti sacri utilizzati ancora oggi dagli officianti i riti cattolici, ossia la messa. La casula, detta anche pianeta, ossia il copriabito che era tipico dei sacerdoti officianti i riti mitraici. La pianeta, nome forse non curioso, varia di colore nell’arco dell’anno. Vediamoli nel dettaglio: verde nel “tempo ordinario”, ossia al di fuori dei periodi di seguito indicati. Viola: durante l’Avvento, la Quaresima, alla festa dei santi e durante la commemorazione di un defunto. Rosa: nella terza domenica di Avvento e nella quarta domenica di Quaresima. Bianco: Natale, Pasqua, Matrimoni e altre festività solenni. Giallo/oro può sostituire gli altri, escluso il viola e il nero. Rosso: feste di preparazione pasquale (Palme, venerdì santo) e quelle legate allo Spirito Santo e agli evangelisti e apostoli. Nero: requiem e uffici per i defunti. Azzurro, facoltativo per i riti legati alla Madonna.
Se noi eliminiamo quelli specifici cattolici (azzurro, rosa) abbiamo il bianco/oro per le feste, viola per il periodo di attesa della festa, verde officiazioni comuni, rosso per le feste degli angeli e nero defunti. Questi colori sono legati al ciclo notte/giorno e quindi ai riti mitraici. Partiamo dal nero, colore della notte, ove il Sole è “morto”. Quindi vi è il viola, ossia di quando il cielo inizia a prendere colore, e siamo nell’attesa della rinascita del sole e quindi del nuovo giorno. Bianco/oro: celebrazione della luce e quindi della nascita del sole. Atto, la nascita del sole, sotto il governo di Mithra.
Ove il bianco è il colore della luce e l’oro del Sole medesimo. Rimane il rosso. Questo era il colore degli dei. Ricordiamo che gli imperatori romani durante il Trionfo, la parata militare dopo una campagna militare favorevole, si dipingevano di rosso il volto per assomigliare ad Apollo o comunque agli dei. Ma l’eredità del mondo moderno non è solamente legata ai riti. Vi sono anche i giorni della settimana. Sappiamo che i latini indicavano i giorni come Primo, Secondo etc su cicli di 8 giorni. Ma i riti mitraici portarono a Roma il calendario lunisolare di 7 giorni (1/4 del ciclo lunare di 28 giorni) su anno solare di 365 giorni.
Calendario di origine caldea e quindi di derivazione sumera. I giorni erano: dies Mercurii (dedicato a Mercurio pianeta e dio), dies Veneris (dedicato a Venere), dies Martis (dedicato a Marte), dies Iovis (dedicato a Giove), dies Lunae (dedicato a Luna-Selene), dies Solis (dedicato al sole-Apollo), dies Saturni (dedicato a saturno).
Vediamo che curiosamente l’ordine non è il medesimo di quello attuale, oltre al fatto che il giorno di festa è quello dedicato a Saturno, ossia il sabato. Questo calendario si iniziò ad utilizzare a Roma nel I sec d.C. Ossia al massimo fulgore dei riti mitraici. Poi con il sopravvento della nascente chiesa cristiana vi fu un rimescolamento dei giorni con la sostituzione del giorno festivo sabato con quello domenicale. Cambiandogli il nome nel 383, passando da dies Solis, dedicato al Sol Invictus, a dies Dominica: giorno del signore, sottintendendo Dio.
Ma l’ordine diverso dei giorni aveva un significato preciso nei riti mitraici. In quanto ogni grado di appartenenza al rito aveva un pianeta corrispondente. Abbiamo visto i sette gradi, vediamo i pianeti corrispondenti: Corax – Mercurio, Nymphus – Venere, Miles – Marte, Leo – Giove, Perses – Luna, Heliodromus – Sole, Pater – Saturno. Ma questi sette livelli corrispondono, come abbiamo visto, anche ai sette livelli della gerarchia all’interno della cristianità cattolica: Catecumeni, fedeli, diaconi, sacerdoti, vescovi- abati, arcivescovi-cardinali, Sommo Pontefice, detto Papa che, combinazione!, è un termine che deriva dal Pater mitraico.
Occorre ancora ricordare il noto copricapo utilizzato dai Vescovi, dal Papa, dai Cardinali e da alcuni Abati autorizzati: la Mitra, nome che ne denuncia immediatamente l’origine, anche se questo era di origini ancora più antiche e riporta, pare, al dio Oannes. Il dio pesce che istruiva gli abitanti della Mesopotamia. Qualcuno potrebbe chiedersi se gli abiti indossati dai sacerdoti siano tutti di origine mitraica. La risposta è no. Abbiamo due accessori dei sacerdoti cristiani che sono di origine ebraica: l’amitto che è la versione cristiano-cattolica del Tallit Qatan (Katan), ossia il Tallit ridotto che viene sempre indossato sotto l’abito dagli ebrei osservanti. Anche se nella versione cristiana è solamente bianco senza gli intarsi azzurri. E il Pileolo, meglio conosciuto come zucchetto o papalina. Utilizzato dagli ebrei per coprirsi il capo quantomeno nell’entrare in Sinagoga.
Vorrei finire con una osservazione. Abbiamo visto le immagini dei tedofori Cautes e Cautopates. Ebbene, l’immagine di Cautes la troviamo ancora oggi. Ed è un’immagine ben nota. Si tratta di una statua rappresentata sempre uguale, o quasi, in almeno 30 città del mondo, da Parigi a Singapore, da Lima a Rio de Janerio, da Mumbai a Gerusalemme. Ma la più famosa è quella situata all’ingresso del porto di New York. La cosiddetta Statua della Libertà. Si ispira alla posa di Cautes ma con le fattezze della dea egizia Iside e/o quella babilonese Semiramide. Ma ha la testa “raggiata” tipica di Mithra. E’ nella posizione della “luce”, ossia del momento in cui il Sol Invictus spande sulla terra la sua forza e sapienza. Come noto fu progettata da Gustave Eiffel (quello della Torre di Parigi che porta il suo nome) e da Frédéric Auguste Bartholdi, entrambi ferventi massoni e ne fecero una prima versione ora sulle sponde della Senna a Parigi. Poi per il centenario dell’indipendenza degli Stati Uniti la Massoneria francese volle regalare una copia gigantesca della statua da installare alla porta di accesso della nuova nazione americana. Ma i tempi furono lunghi e la messa in opera terminò solamente nel 1886, con dieci anni di ritardo. Essendo formata da una struttura in acciaio ricoperta di 300 fogli di rame modellati, appena inaugurata la statua era di un rosso sfolgorante, salvo poi divenire verde per l’ossidazione del rame.
Ma questa era la prima statua di questo genere? No. L’artista italiano Camillo Pacetti nel 1810 ne pose due sulla facciata del duomo di Milano. Curiosamente dal 1805 al 1812 il viceré d’Italia era Eugène de Beauharnais, figlio della prima moglie di Napoleone Bonaparte e capo della Massoneria italiana.
Queste due statue sono poste ai lati del balcone posto sulla facciata del duomo. Sulla destra vi è una figura femminile triste che sorregge, come Mosè, le tavole della Legge.
E, a dire dell’artista, rappresenta l’Antico Testamento. Mentre sulla sinistra vi è una giovane dall’aspetto brillante, che con la mano destra sorregge una fiaccola, come Cautes e la statua della Libertà, ha il capo raggiato come Mithra e il braccio sinistro si poggia sulla croce.
Non valorizzandola come simbolo del Cristianesimo, ma come un semplice sostegno. Secondo l’artista, questa seconda statua rappresenta il Nuovo Testamento. Ora, non occorre essere fini osservatori per comprendere che in realtà la seconda statua rappresenta la nuova religione, diciamo il Cristianesimo, che solleva la fiaccola di Mithra in onore del Sol Invictus e si poggia alla croce come ad un qualunque sostegno.
Cosa possiamo concludere. Che il dio Mithra ha attraversato i secoli, si è adattato alle mutazioni sociali, economiche, politiche, alle carestie ed alle pestilenze, ma è ancora qui che dietro le quinte, e i sacerdoti di oggi, consapevolmente o inconsapevolmente, utilizzano parte dei suoi riti, narrano i suoi miti, vestono i suoi paramenti, e lodano il dio, Sol Invictus, che dall’alto osserva la vita scorrere sulla terra.