
NON CI CREDO MA CAMBIO STRADA!
Dal gatto nero al cornetto, ecco la storia delle abitudini anti-iella più diffuse. Sono 13 milioni gli italiani che ricorrono a riti e oggetti scaramantici nella speranza di “pilotare” la fortuna. Un recente studio ha addirittura dimostrato che gli amuleti migliorano le prestazioni degli sportivi rendendoli più sicuri e determinati a vincere
Parte II
Linus aveva la sua copertina, ma anche ognuno di noi, perfino i meno superstiziosi, ha un oggetto portafortuna da cui non si separa. Magari senza accorgersene. Che sia un vero e proprio talismano o un regalo donatoci da qualcuno di importante, l’oggetto benaugurante ha una funzione precisa. In uno studio pubblicato su Psychological Science, la psicologa Lysann Damisch dell’Università di Colonia (Germania) ha dimostrato che gli amuleti migliorano realmente le prestazioni degli sportivi e li rendono più sicuri e determinati a vincere. Nell’ambito dell’esperimento, ad alcuni sportivi professionisti di discipline diverse è stato chiesto di consegnare il portafortuna inseparabile che li accompagnava in tutte le gare. Il laboratorio è stato invaso da anelli, braccialetti, pupazzetti di peluche… A un gruppo di atleti, il portafortuna è stato riconsegnato prima della competizione, mentre al gruppo di confronto, con una scusa, no. Ebbene: le prestazioni degli sportivi costretti a gareggiare senza il portafortuna sono state nettamente peggiori rispetto a quelle di coloro a cui era stato restituito.
L’ansia del tifoso
Gli psicologi spiegano il calo di rendimento con l’ansia da separazione da un oggetto che infonde sicurezza, al quale si attribuisce il potere di preservare il pilota dalla macchia d’olio sulla pista, il ciclista dalla foratura o il calciatore dal ferirsi in uno scontro di gioco. Un meccanismo illusorio, come sottolinea la stessa Damisch: «La superstizione illude di poter controllare qualcosa che di fatto è incontrollabile». Ma è talmente forte l’ansia provocata dall’evento sportivo che spesso il talismano è un oggetto inseparabile anche per i tifosi. Un celebre spot della birra Bud, negli Stati Uniti, mostra gruppi di amici intenti a fare gesti scaramantici o a sistemare le bottiglie di birra secondo un ordine meticoloso con lo scopo di controllare il risultato della squadra del cuore. Di queste strane manie si sono accorti anche gli studiosi dei fenomeni di marketing: una ricerca pubblicata dal Journal of consumer research ha rilevato che chi segue assiduamente partite e competizioni sportive allo stadio o in tv acquista birre e patatine da consumare durante la visione del match in base al ricordo di quanto aveva mangiato e bevuto in occasione delle precedenti vittorie. «La preferenza per prodotti portafortuna aumenta proporzionalmente al desiderio di controllo del risultato», spiegano gli autori, Eric J. Hamerman e Gita V. Johar della Tulane e della Columbia University (Usa).
Alla larga dai ciarlatani
Finché il talismano è un semplice portafortuna, nulla di grave. A volte però siamo di fronte a dipendenza psicologica e a criminali che approfittano della credulità popolare per proporre oggetti “miracolosi”. Quando l’incertezza è troppa, molti si abbandonano infatti a maghi e ciarlatani. Se una stima sull’uso dei portafortuna è praticamente impossibile, diverso è il discorso che riguarda gli operatori dell’occulto. Secondo il Rapporto 2011 su magia e occultismo curato dal Telefono antiplagio, più di 12 milioni e mezzo di italiani si rivolgono ogni anno ai sensitivi, il cui giro d’affari nel nostro Paese ha toccato nel 2010 quota 6 miliardi di euro. Al primo posto la Lombardia con 2.500 operatori dell’occulto e 180mila cittadini disposti a ricorrere ai loro consulti. «Niente di nuovo», commenta Enrico Comba, antropologo dell’Univesità di Torino. «Già durante l’Impero romano c’erano astrologi e maghi». Perché queste forme di fede popolare resistono nelle società avanzate? «Rappresentano un’insoddisfazione verso il dominio della scienza, ma anche verso le religioni istituzionali», chiarisce Comba. «Talismani e amuleti rappresentano una ricerca di risposte pratiche. Ma quando la domanda di sacro si trasforma in ricerca di prodotti di consumo, si apre la strada a speculazioni e inganni».
Come sono nati i 9 gesti scaramantici per evitare la sfortuna
Non proseguire per quella strada se viene attraversata da un gatto nero
Nel Medioevo, quando l’illuminazione notturna delle vie non esisteva, un gatto nero che attraversasse di colpo la strada rischiava di far inciampare o imbizzarrire i cavalli che trainavano le carrozze, oppure di far cadere di sella i cavalieri. Questa, la “sfortuna” che poteva portare. Inoltre, per la loro abitudine a uscire di notte, i gatti neri venivano considerati i diabolici compagni delle streghe, se non addirittura dei demoni portatori di morte al loro servizio.
Non passare sotto una scala
Appoggiata a un muro la scala forma un triangolo con il muro e il pavimento. Dato che il triangolo simboleggia la SS. Trinità, per i primi cristiani passarci in mezzo significava violare lo spazio divino e attirarsi l’ira di Dio. Un’altra credenza risale agli attacchi ai castelli nel Medioevo, che avvenivano appoggiando una scala a un muro. Da queste invasioni ci si difendeva versando liquidi bollenti su chi da sotto reggeva la scala e che, quindi, poteva dirsi davvero sfortunatofi
Non aprire l’ombrello in casa
Questa credenza risalirebbe al Medioevo, quando i sacerdoti che andavano nelle case a impartire l’estrema unzione ai malati in fin di vita aprivano un baldacchino nero – una specie di ombrello – sopra la testa del moribondo. Da qui l’associazione fra l’ombrello aperto in casa e la morte. Non solo. L’azione richiamerebbe anche la povertà: l’ombrello si apriva in casa quando pioveva dal tetto rotto e non c’erano i soldi per ripararlo.
Non rompere lo specchio…
… altrimenti sono 7 anni di sfortuna. Secondo le culture antiche lo specchio aveva proprietà magiche e custodiva parte dell’anima di chi vi si specchiava. Infrangere l’immagine della persona rompendo lo specchio significava indebolirne la salute e distruggere parte del suo spirito. E dato che gli antichi Romani credevano che la vita si rinnovasse ogni 7 anni, questo era considerato il tempo necessario per guarire. Nell’antica Roma, inoltre, gli specchi erano merce preziosa a base di oro e argento. Romperne uno voleva dire dover fare 7 anni di sacrifici prima di poterne acquistare un altro.
Non rovesciare il sale
Da sempre merce preziosa, presso gli antichi romani il sale veniva usato per retribuire i soldati (da qui la parola “salario”) e posto in una coppa al centro della tavola come sacro vincolo di amicizia verso gli invitati. Si narra che un giorno, inavvertitamente, un commensale rovesciò la coppa. Il sale si sparse e il padrone di casa, preso dall’ira, sguainò la spada e uccise il maldestro commensale. Anche nel dipinto L’ultima cena di Leonardo da Vinci c’è del sale rovesciato sulla tovaglia. Alle cena, seguì il tradimento di Giuda. Secondo la scaramanzia, se il sale si rovescia a tavola, per scongiurare la malasorte se ne deve gettare un pizzico dietro la spalla sinistra – dove sarebbe appostato il diavolo -, per accecarlo.
Non vestirsi di viola durante uno spettacolo
L’odio di attori e registi verso il viola risale a una legge medievale che durante la Quaresima (quando i preti indossano i paramenti sacri viola) vietava di tenere rappresentazioni teatrali e spettacoli pubblici. Non potendo lavorare, le compagnie di commedianti, musicanti o saltimbanchi che tenevano rappresentazioni per le strade, andavano incontro a 40 giorni di fame e di stenti.
Non regalare mai un portafoglio vuoto
La scaramanzia vuole che un portafoglio vuoto rimanga vuoto. Trattandosi di un gesto simbolico, non sono necessarie grandi cifre: bastano pochi centesimi perché il regalo diventi benaugurale e “attiri” denaro nelle tasche del destinatario.
Non sedersi a tavola in 13
Il riferimento è all’Ultima Cena, a cui sedevano 13 commensali: Gesù Cristo e i 12 Apostoli. Com’è noto, subito dopo Gesù venne tradito da Giuda Iscariota e morì sulla Croce. Da allora, sedersi a tavola in 13 è considerato di cattivo auspicio. La superstizione vuole che il primo ad alzarsi da tavola sia anche il primo a morire o che comunque il 13° commensale sia destinato a morire entro l’anno. C’è però un antidoto anti-iella: apparecchiare un posto in più.
Non dire “buona pesca” e “buona caccia” a pescatori e cacciatori
Secondo la scaramanzia, quando si augura una cosa, succede il contrario. Per questa ragione, si usa augurare il contrario di quello che si desidera che accada. Dunque, ai pescatori e ai cacciatori si dirà semplicemente “in bocca al lupo”. Un esempio in tema di pesca ci viene dal romanzo Il vecchio e il mare dello scrittore americano Ernest Hemingway, in cui il protagonista Santiago, un vecchio pescatore, afferma: “Non lo disse, poiché sapeva che se si dice una cosa bella, questa potrebbe non accadere”.
LE ORIGINI DEI 9 RITI PORTAFORTUNA PIÙ COMUNI
Toccare ferro
Secondo le antiche credenze, il ferro avrebbe preso origine da un fulmine e quindi sarebbe un elemento magico di unione fra cielo, terra e fuoco. Estratto dalle viscere della Terra, è un metallo duro, ideale per far da scudo contro i pericoli e il male. Anticamente, per “ferro” si intendeva la spada, a cui si metteva mano per difendersi. Ecco perché “toccare ferro” è considerato un gesto di difesa. In altri Paesi si usa invece “toccare legno”, degenerazione superstiziosa del toccare la Croce (che è di legno) per invocare la protezione divina.
Appendere in casa un ferro di cavallo
Secondo una teoria, il ferro di cavallo unisce la simbologia del metallo di cui è composto alla forma a mezzaluna che si rifà a diverse divinità della tradizione orientale e occidentale. Secondo un’altra interpretazione, un tempo soltanto i ricchi potevano permettersi un cavallo e possedere un ferro era segno di ricchezza e fortuna. Se un povero ne trovava uno, poteva rivenderlo o ricevere una ricompensa, restituendolo al proprietario.
Incrociare le dita
Il gesto, che consiste nell’incrociare il dito indice della mano sotto al medio, ha origini religiose. Nel Medioevo, veniva praticato per tenere lontano il diavolo, fonte di ogni male, in quanto si pensava che questi potesse introdursi nell’anima di una persona passando attraverso le dita. Incrociandole, gli si sbarrava la via. Fatto di nascosto mentre si mente, il gesto proteggerebbe dalle conseguenze delle bugie dette.
Pestare la pupù
In passato, quando ci si recava a teatro sulle carrozze trainate dai cavalli, tanta pupù sulle strade significava un buon af”usso di persone allo spettacolo e quindi successo e guadagno per gli attori (ai quali, prima di andare in scena, si augura tuttora: “merda”). Durante la Seconda guerra mondiale, quando i campi erano cosparsi di mine, poggiare il piede sulla pupù significava camminare al sicuro, poiché dove vi era un escremento era già passato un animale e di conseguenza non poteva esserci una mina.
Augurare a qualcuno “in culo alla balena”
Si rifà alle vicende bibliche del profeta Giona, che durante una tempesta marina trova rifugio nel ventre di una balena. Vi rimane al sicuro per 3 giorni e 3 notti (tempo che richiama la resurrezione di Gesù al terzo giorno), e viene poi vomitato su una spiaggia a pericolo scampato. L’augurio è di rimanere protetti in seno alla buona sorte fino al buon esito di un’impresa. Non per niente si risponde: “Speriamo che non cachi”fi
Fare il gesto delle corna
Le corna sono sempre state considerate il simbolo del buon augurio per eccellenza e la migliore antitesi al “malaugurio” (o augurio maligno) lanciato dello jettatore (colui che lancia la “jella”). Per questa ragione, già in passato le corna di buoi e caproni venivano affisse all’ingresso di fattorie, case e botteghe per allontanare il malocchio dalla famiglia e dall’attività lavorativa. Da qui, il gesto scaramantico di fare le corna per allontanare un male o un pericolo.
Farsi regalare un cornetto rosso
Si riallaccia alle corna come antidoto agli in”ussi malefici e simboleggia la vita e la potenza creatrice. Sin dalla preistoria, all’entrata delle capanne veniva appeso un corno propiziatorio. La mitologia racconta che Giove, re degli dei, in segno di ringraziamento verso la sua nutrice le regalò un corno dai poteri magici. Nel Medioevo i corni venivano fabbricati a mano e di colore rosso, simbolo della vittoria sui nemici. La scaramanzia napoletana esige che il corno, per portare fortuna, venga regalato – non comprato – e che sia fabbricato in materiale rigido, cavo all’interno e con la punta.
Toccarsi i genitali (maschili)
L’usanza risale al culto di Priapo, dio della mitologia greco-romana noto per le dimensioni smisurate del suo fallo. I patrizi romani ponevano una sua statuetta di terracotta all’ingresso delle case e toccarne l’enorme membro era un buon auspicio per propiziare la fertilità maschile, la prole e difendersi dall’invidia e dal malocchio. Da ciò deriva lo scongiuro maschile di toccarsi i genitali per esorcizzare la sfortuna e i pericoli, soprattutto quelli che possano pregiudicare la continuazione della vita.
Avere una corona d’aglio
Dalla notte dei tempi si crede che l’odore pungente dell’aglio (dovuto alla presenza di disolfuro di allile, un composto chimico contenente zolfo) metta in fuga vampiri, streghe e spiriti del male. Nell’Odissea di Omero, Ulisse sfugge al sortilegio della maga Circe grazie all’aglio. Nell’antica Grecia si appendevano delle teste d’aglio nelle stanze delle partorienti per preservare i neonati dai sortilegi. La tradizione d’appendere l’aglio in casa contro gli spiriti maligni è sopravvissuta fino ai giorni nostri.
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