
SACRA SINDONE, UN MISTERO DELLA FEDE CHE LA SCIENZA NON RIESCE A RISOLVERE
È il lenzuolo in cui è stato avvolto il corpo di Cristo dopo la crocifissione o un manufatto medievale fatto apposta per ingannare? A tutt’oggi l’enigma divide gli esperti
Fedeli e curiosi vengono da tutto il mondo a vederla. È il drappo funebre che avvolse il corpo di Gesù dopo la crocifissione o è un manufatto creato ad arte nel Medioevo? Il mistero attanaglia il mondo canonico, scientifico e del paranormale da secoli. La Sacra Sindone è un telo di lino di 4,4 metri per 1,13, dove si intravede l’immagine frontale e dorsale di un corpo umano. Avrebbe avvolto il corpo di Cristo prima della deposizione nel santo sepolcro. Gli esami spettrografici stabiliscono che la tessitura risale proprio al tempo di Cristo e un’analisi chimica dimostra che i pollini rinvenuti tra le fibre appartengono a specie di piante allora esistenti in Palestina. L’elemento più significativo a sostegno dell’autenticità del telo è che evidenzia numerose macchie di sangue corrispondenti ai segni delle lesioni della Passione. Tuttavia, se per la Chiesa si tratta indiscutibilmente di una sacra reliquia da venerare (e per questo vengono organizzate le ostensioni: una è attualmente in corso fino al 24 giugno), gli scienziati sono meno compatti e si dividono tra fautori della tesi autenticistica e contrari, tesi a dimostrare il falso storico.
In viaggio da secoli
La storia della Sindone può essere datata con certezza solo a partire dal XIV secolo. Fu il generale francese Geoffroy de Charny a depositarla nel 1353 nella chiesa di Lirey (Champagne) e, successivamente, sua figlia Marguerite la trasse in salvo dalle devastazioni della Guerra dei Cent’anni (1337-1453) portandola in giro per l’Europa fino a quando trovò accoglienza dai duchi di Savoia a Chambéry. Dopo un’iniziale collocazione nella chiesa dei francescani, fu sistemata nella cappella reale dei Savoia nel 1453. Nel dicembre 1532 un incendio le causò notevoli danni, che furono parzialmente riparati nel 1534 dalle monache Clarisse della città. Nel 1578 il duca Emanuele Filiberto ordinò che fosse trasportata a Torino, dove è rimasta fino a oggi. Ma com’è arrivata in Francia da Gerusalemme? Nel 1978, Ian Wilson, uno scrittore inglese che l’aveva studiata, avanzò l’ipotesi di assimilarla a un’altra reliquia scomparsa, il Mandylion di Edessa (l’attuale Urfa, in Turchia): una sorta di fazzoletto che circolava tra I e XII secolo con impressa l’immagine del volto di Gesù Cristo. Secondo Wilson, il Mandylion sarebbe stato la Sindone ripiegata 8 volte, in modo tale da mostrare unicamente il volto. Si sa con certezza che era conservato a Edessa almeno dal 544 e si dice che l’imperatore Giustiniano avesse deciso di costruire la cattedrale di Santa Sofia in questa città proprio per custodirlo. Poco prima dell’anno 1000 fu traslato a Costantinopoli, dove rimase fino al 1244, data in cui si persero le sue tracce. E in Turchia come ci sarebbe arrivato il sudario di Cristo? Il Mandylion potrebbe essere stato portato ad Edessa da San Giuda Taddeo, apostolo di Gesù. Corrobora questa tesi un documento del segretario del patriarca Tarasio, in cui si narra dell’arrivo dell’apostolo e della venerazione coeva della reliquia.
La fotografia della Passione?
I segni della Passione sono numerosi su entrambi i lati del telo. Sono quattro grandi macchie che potrebbero essere state lasciate da coaguli di sangue umano (teoria dimostrata da due studi paralleli, uno svolto in Italia e uno negli Stati Uniti), rivelatosi del gruppo AB. Poi s’intravedono due piedi sovrapposti ed escoriazioni diffuse, compatibili con la crocifissione e la flagellazione descritte nei Vangeli per l’esecuzione di Gesù. Ciò che però ha dell’incredibile è che quest’immagine impressa nel drappo funebre sia una sorta di negativo fotografico. Quando, alla fine del XIX secolo, fu portato alla luce questo elemento, entrarono in gioco anche studiosi di fama internazionale del paranormale. Tutto iniziò con una foto scattata nel 1898 dal fotografo Secondo Pia (avvocato italiano e fotografo amatoriale) il quale evidenziò che sul drappo appariva in negativo l’immagine di un uomo nudo alto circa 1,81 m. Nel XX secolo si sono susseguite le indagini più disparate: test fotometrici, cromografici, spettroscopici e microspettrometrici, termochimici e radiometrici, vaporografici e al carbonio 14. Ma andiamo per ordine. Il primo studio critico-scientifico del tessuto e dell’impronta risale al 1898, quando appunto il fotografo Secondo Pia ne immortalò l’immagine per la prima volta. Nel 1902 l’agnostico Yves Delage identificò per primo nell’impronta il corpo di Gesù Cristo. Nel 1931 un altro fotografo, Giuseppe Enrie, scattò altre foto che, assieme a quelle del 1969 di Judica Cordiglia e confrontate poi con altre a colori di Vernon Miller del 1978, confermarono le fattezze anatomiche dell’impronta (appartenenti a un uomo supino di circa 40 anni, alto un metro e ottanta) e sottolinearono i segni inconfutabili della Passione. Tutte le analisi delle immagini e i relativi confronti portarono alla conclusione che si trattasse effettivamente di un negativo fotografico. Quel che è certo è che l’impronta umana esiste, ma come si sia formata nessuno ancora è riuscito a spiegarlo compiutamente. Un elemento interessante viene da due studiosi americani, Jackson e Jumper, che ne evidenziarono la tridimensionalità. I rilievi effettuati dallo studioso svizzero Max Frei e dagli israeliani Danin e Baruk negli Anni 90, isolarono invece tracce di pollini, compatibili con una provenienza mediorientale.
Dal carbonio 14 ai neutroni
Nel 1988 il sudario fu sottoposto al test al carbonio 14, utile per ottenere la datazione più precisa possibile. I risultati lasciarono spiazzati i sostenitori dell’autenticità del telo perché il carbonio lo farebbe risalire al 1260-1290 e cioè a oltre un millennio dopo la crocifissione di Cristo. C’è però da dire che le contaminazioni di tipo chimico o biologico alle quali è stato sottoposto il tessuto nel tempo potrebbero alterare i risultati e quindi risultare fuorvianti per l’attribuzione dell’età. Nel 2010, Giulio Fanti, professore associato di Misure meccaniche e termiche all’Università di Padova, ha condotto con la sua équipe uno studio sostenuto da analisi chimiche e meccaniche ed è arrivato alla conclusione che la datazione più appropriata sarebbe tra il 300 a.C. e il I secolo d.C. con un margine di errore di circa 250 anni, il che smonterebbe nuovamente la tesi del falso medievale. Bisogna tener presente che dal 1988 a oggi la Chiesa non ha più permesso indagini sul sacro sudario per non alterarlo. Queste ultime sono state effettuate sulle fibre utilizzate nel corso delle prime ricerche. I risultati di Fanti corroborerebbero non solo l’autenticità del telo, ma confermerebbero anche che si tratta di un negativo fotografico. Ancora. La più recente delle ipotesi viene formulata da un’équipe del Politecnico di Torino, guidata da Alberto Carpinteri, ordinario di Scienza delle costruzioni, secondo il quale il sudario potrebbe essere datato esattamente al 33 dopo Cristo, età della morte di Cristo. A confermarlo sarebbe il rilevamento di neutroni sul telo, emessi probabilmente nel corso del forte terremoto che avrebbe avuto luogo poco tempo dopo la sepoltura di Cristo nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il flusso di neutroni sarebbe stato così violento da generare e imprimere l’immagine della Sindone sul lino che avvolgeva il corpo di Cristo. In conclusione, neutroni, pollini, isolamento di coaguli di sangue e carbonio 14 continuano ad alimentare studi sulla base dei quali si formulano ipotesi contrastanti. Il mistero che avvolge quest’immagine umana in “negativo” è destinato a non essere sciolto facilmente e ad alimentare invece le teorie più ardite da parte di credenti e agnostici. Intanto la cattedrale di Torino continua a ricevere folle di visitatori, come dimostra anche l’ostensione in corso attualmente.