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SE NON CI FOSSERO GLI INSETTI

… sarebbe un Pianeta totalmente diverso. Senza cioccolato per esempio. Ma soprattutto senza l’uomo

Sono ovunque. Fastidiosi, pericolosi, addirittura letali. Ma molto più spesso utili ed essenziali, indispensabili per il funzionamento di tutti gli ecosistemi tranne il mare e i ghiacci antartici. Gli insetti sono così tanti che è difficile pensare a una Terra che ne sia priva: finora abbiamo contato 1,5 milioni di specie, ma si stima che potrebbero essere almeno 5,5. Eppure, secondo alcuni rapporti, il pericolo che stiano scomparendo sembra esistere, eccome. Una raccolta di articoli uscita sulla rivista scientifica Pnas denuncia infatti la diminuzione di alcune specie in alcuni ambienti terrestri. Se questa tendenza fosse reale, e scomparissero tutti gli insetti, quindi, cosa succederebbe al Pianeta? Una domanda di questo genere ha risposte complesse. Mi è difficile pensarci, o meglio: credo che togliere gli insetti dal sistema Terra, come quello in cui viviamo, vorrebbe dire vivere in un altro sistema con un altro equilibrio. Che non sappiamo quale possa essere.

ONNIPRESENTI

Basta solo considerare le funzioni che gli insetti svolgono all’interno degli ecosistemi, cioè quelle che gli studiosi chiamano “nicchie ecologiche”, per capire quanto siano fondamentali nel mondo che conosciamo.

Prima di tutto sono i più grandi spazzini del Pianeta: ingeriscono detriti, materiali in decomposizione, legno vivo o morto, materiale acquatico sospeso, altri componenti dei vegetali compresa la linfa degli alberi. In questo modo riciclano i nutrienti, disperdono i funghi, smaltiscono le carogne e le feci degli animali. E poi degradano il legno e le foglie, una funzione fondamentale soprattutto in foreste e savane dove più facilmente si accumulerebbe il legno morto: In certi ambienti tropicali il 100% della massa di legno morto passa per il corpo degli insetti, come le termiti. Con questi loro interventi mantengono in equilibrio le singole specie della comunità ecologica. E lo dimostra un esempio: Nelle foreste tropicali molti grossi mammiferi che disperdevano i semi voluminosi sono scomparsi, eppure le giungle continuano a vivere. Se non ci fossero gli insetti invece la foresta scomparirebbe. Perché sono proprio questi ultimi a essere fondamentali per la propagazione delle piante, grazie all’impollinazione e appunto
la dispersione dei semi.

DA PREDATORI A PREDE

Gli insetti non sono soltanto predatori o parassiti. In molti casi sono cibo per altre specie; se non ci fossero, tutti gli uccelli o i ragni o i pesci che se ne nutrono direttamente o indirettamente scomparirebbero. Persino gli uccelli che si cibano di semi, i cosiddetti granivori come passeri o fringuelli, potrebbero scomparire perché catturano gli insetti da dare in pasto ai loro piccoli.

Anche i rapporti di collaborazione tra specie sono importanti. Oggi non esiste un paesaggio senza piante da fiore, e molti tra questi invertebrati si sono evoluti assieme a esse: senza farfalle, zanzare e altri insetti perderemmo quindi molte specie di piante. Si stima che in tutto il mondo ci siano oltre 300mila specie di piante provviste di fiore che richiedono di essere impollinate dagli animali, che in gran parte sono insetti. Se scomparissero, o addirittura non ci fossero mai stati, perderemmo per così dire 400 milioni di anni di evoluzione e di rapporti tra gli insetti e le altre specie del Pianeta, uomo compreso. Ma se dovessimo “perdere” adesso gli insetti, e quindi la loro biodiversità, quanto ci metteremmo a tornare indietro? All’attuale tasso di comparsa delle specie, ci vorrebbero milioni di anni. Sarebbe una tragedia tale che in confronto anche il riscaldamento globale – che rimane la più grande minaccia per l’uomo – apparirebbe una crisi passeggera: Il cambiamento climatico è iniziato poco più di un secolo fa, e potremmo anche riuscire a rimediare ai danni nel giro di un altro secolo circa, se seguiamo politiche corrette. Non sarebbe altrimenti se gli insetti sparissero.

CIOCCOLATO ADDIO

L’impollinazione delle piante, questa volta quelle coltivate, è fondamentale anche per gli aspetti più propriamente economici: vale infatti una cifra tra i 235 e i 577 miliardi di dollari. Alcuni stimano addirittura che i 3/4 delle specie di piante che in qualche modo fanno parte della dieta dell’uomo dipendano dall’impollinazione degli insetti. Non è il caso del grano che è impollinato dal vento così come le graminacee in genere. Tuttavia, la maggior parte delle colture agricole che sono alla base della nostra alimentazione utilizza proprio l’impollinazione animale. E dunque gli insetti. Al di là delle api, che sono specie domestiche e potrebbero anche essere salvate da un eventuale disastro ambientale che coinvolgesse gli insetti selvatici, ci sono altri casi assolutamente imprevedibili. Il cacao, per esempio, vive solo nei climi tropicali e per l’impollinazione si affida a piccoli moscerini che preferiscono il caldo. Senza di essi l’intera industria del cioccolato scomparirebbe.

Ma ci sono altri servizi che gli insetti forniscono agli ecosistemi e all’economia mondiale. Per esempio il controllo biologico delle specie infestanti, quali nematodi, virus e crostacei. Ci sono persino formiche che difendono alcune piante dagli altri erbivori. E poi c’è il riciclaggio della materia organica in tutti gli ambienti: Se non ci fossero le mosche, la gran parte dei cadaveri di animali grandi e piccoli rimarrebbe negli ambienti senza essere degradata. Con tutte le conseguenze che possiamo pensare per quanto riguarda la presenza di batteri e virus che rimangono nell’ambiente e che potrebbero “saltare” all’uomo.

LIBERI DALLE ZANZARE?

A prima vista ci sarebbero però anche aspetti positivi, nella scomparsa di questi animali. Senza zanzare e mosche, per esempio, non ci sarebbero più malattie trasmesse da questi vettori come virus, batteri o altri parassiti come i plasmodi. Il problema in realtà è più complesso: Per quanto in alcuni casi ci danneggino, mosche e zanzare sono comunque un tassello del sistema di cui facciamo parte anche noi. Se poi volessimo, con una prospettiva davvero limitata, distruggere solo le zanzare, i nostri tentativi porterebbero alla distruzione di tutto l’ecosistema, prima della scomparsa di questi animali.

In definitiva, la perdita della biodiversità degli insetti sembra essere al di là della nostra capacità di comprensione: quasi uno scenario da fantascienza. Qualcuno suggerisce che altri potrebbero prendere il loro posto. Le mosche che si nutrono di cadaveri in fondo sono sulla Terra da circa 50 milioni di anni. Prima, qualche altra specie aveva questo “compito ecologico” di spazzino. E quindi anche dopo di esse qualche altro animale si assumerebbe questo compito: Ma sicuramente noi come umanità non saremmo lì a osservare la situazione. Con gli insetti, scompariremmo anche noi.


4 piccoli identikit

FORMICHE
Esistono circa 15.000 specie di formiche, insetti dinamici e diligenti che ci appaiono così piccoli da sembrare insignificanti. In realtà il loro mondo è pieno di sorprese. Prima di tutto, si trovano quasi ovunque, anche nei luoghi dove l’uomo stenta a sopravvivere; sono onnivore, ma in genere si nutrono di prede animali (vive o morte), della melata degli afidi e, in piccola parte, di semi; e sono molto diverse tra loro anche come dimensioni: variano da 1 a 30 mm, a seconda delle specie, mentre le regine possono raggiungere i 6 cm.

Il loro capo è robusto, gli occhi piccoli (non essendo il loro organo più importante), le mandibole straordinariamente forti, soprattutto quelle dei soldati, le antenne, fondamentali per la comunicazione, molto sviluppate. Le loro 6 zampe sono dotate di un artiglio uncinato che le aiuta ad arrampicarsi verticalmente.

Casa – Ogni formica ha il proprio compito e ruolo all’interno del formicaio, che può avere diverse strutture a seconda della specie: troviamo infatti formicai sotterranei e altri superficiali, ma sono spesso costruiti nella terra. Dotati di varie entrate, tutte sorvegliate, al loro interno è un susseguirsi di cuniculi e camere.

Le formiche sono insetti sociali, nel senso che vivono riuniti in società ove ogni individuo lavora in funzione del benessere della comunità. Colonna portante di questa società sono le formiche operaie che difendono il territorio, allevano i piccoli, cercano e immagazzinano il cibo, costruiscono il formicaio e lo mantengono pulito e in ordine. I soldati sono sempre femmine e hanno il compito di difendere il formicaio da eventuali predatori, ma se serve partecipano alla raccolta del cibo assieme alle operaie.

La regina è la formica feconda: dà la vita ad altre formiche ed è anche in grado di decidere il sesso dei nascituri, solitamente femmine operaie, ma una volta all’anno genera nuove giovani regine e maschi alati, garantendo la continuità della specie grazie alla nascita di nuovi clan di cui le giovani regine si prenderanno cura.

Il compito dei maschi è quello di prendere il volo, partecipando alla sciamata del volo nuziale, per poi morire dopo l’accoppiamento.

Comunicazione – Si basa su messaggi chimici affidati ai feromoni, sostanze chimiche che molti animali, tra cui le formiche, secernono da apposite ghiandole. Nel caso delle formiche esploratrici i feromoni vengono lasciati sul terreno da una ghiandola rettale e fungono da “traccia olfattiva” per le operaie che sono incaricate di recuperare il cibo.

Trovato il cibo, un’operaia fa ritorno al formicaio e qualora incontri sulla strada alcune sue compagne, cercherà di “convincerle” agitando la testa e, se il cibo è liquido, lo farà assaggiare. Una volta convinte, le altre formiche potranno seguire tutte in fila la traccia verso la fonte di cibo.

API

Osservando il fermento che c’è in un alveare, si potrebbe giungere a una conclusione affrettata: nella casa delle api regna l’anarchia. In realtà, ogni individuo all’interno di essa ha un preciso ruolo. Le api appena nate, per i primi tre giorni della loro breve vita, svolgono il ruolo di “spazzine” pulendo celle dove l’ape regina deporrà le uova. Dopo questo periodo di gavetta, vengono promosse al ruolo di nutrici e dovranno nutrire le larve. Alcune, nei giorni successivi, producono la cera che verrà usata per la costruzione di nuove celle.

Regine e operai – Ma come è organizzata la società nell’alveare? L’ape regina è in cima alla gerarchia: vive fino a cinque anni (le operaie arrivano a un massimo di novanta giorni) ed è l’unica feconda. Sarà anche una testa coronata, ma la regina trascorre tutta la vita nel buio alveare, tranne al momento del volo nuziale, il momento della riproduzione che dura una ventina di giorni e durante il quale depone circa duemila uova al giorno: nelle celle più piccole e più delicate depone quelle che diventeranno le api operaie, nelle celle più grandi e più grezze deporrà i futuri fuchi, ovvero l’ape maschio.

Durante il volo nuziale la regina si accoppia con circa dodici o quindici fuchi, però non tutte le uova verranno fecondate. Da quelle fecondate, che acquisiscono i geni di entrambi i genitori, nascono le operaie; da quelle non fecondate nascono i fuchi, che acquisiscono i caratteri della sola madre.

Con l’età l’ape regina verrà sostituita da una regina più giovane e più fertile. Nell’alveare sono presenti diverse vergini pretendenti al trono, in competizione tra loro, che spesso si uccidono l’un l’altra.

Maschi oggetto – In una colonia, che può arrivare a ospitare fino a sessantamila api, vengono anche allevati in media dai duemila ai seimila fuchi: privi di pungiglione, sono più grandi di un’operaia media, ma più piccoli di una regina e hanno un numero di recettori visivi maggiore rispetto alle compagne. Perché? Per vederci meglio durante la fase dell’accoppiamento quando devono individuare la regina e corteggiarla con una danza specifica.

I luoghi di accoppiamento sono sempre gli stessi, i cosiddetti “luoghi di raduno”, che possono estendersi per diverse centinaia di metri. Dopo aver portato a termine il suo scopo principale, il fuco muore, lasciando il suo apparato riproduttore attaccato alla regina.

Scendendo nella scala gerarchica delle api ci si imbatte nelle operaie che costituiscono la gran parte della popolazione: quando nascono sono piccole, pelose, bianchicce, maldestre e inoffensive. Raggiunta la fase adulta, vivono una vita breve, che varia tuttavia a seconda delle stagioni: dai 30 ai 40 giorni in primavera e in estate e intorno ai 180 giorni in autunno e in inverno. Nei primi 21 giorni non escono dall’alveare e si dividono vari compiti; solo in seguito diventano bottinatrici.

FARFALLE

Questi magnifici insetti non hanno una loro società, vivono infatti principalmente da soli, senza organizzarsi come invece fanno api e formiche. Fin da quando escono dalle loro uova, non sono accuditi dai loro genitori: attraversano da sole la fase più difficile della loro vita, cioè quando sono piccoli bruchi facili prede degli uccelli. Una volta pronti per la “metamorfosi” finale, formano un “bozzolo”, chiamato crisalide, dove si trasformano in farfalle: giunto a maturazione, l’involucro si spacca, l’insetto adulto si arrampica fuori e, dopo che le sue ali si sono espanse e asciugate, vola via. Ma sapevate che in realtà le loro splendide ali sono trasparenti? Sono infatti insetti appartenenti all’ordine dei Lepidotteri, ossia dotati di ali con squame, e sono proprio queste ultime a riflettere la luce e a donar loro i colori e le magnifiche fantasie che vediamo.

Primati – Abitano quasi tutto il mondo, eccetto l’Antartide. E data la loro ampia varietà, ce ne sono di enormi e di minuscole. Il primato per le ali più grandi è stato assegnato alla Farfalla della regina Alessandra (Ornithoptera alexandrae), il cui esemplare femmina arriva a 28 centimetri di apertura alare. La più piccola farfalla conosciuta è invece il pigmeo blu occidentale (Brephidium exilis). Vive in Nord America e raggiunge una dimensione massima di 12 millimetri.

E la più bella? Difficile decidere: molti assegnano il primato alla Peacock Butterfly o Vanessa Io, per la ricchezza cromatica delle sue ali. Infine, c’è la farfalla monarca: non detiene record, ma è una delle più conosciute al mondo nonché insetto nazionale degli Stati Uniti d’America dal 1989. La sua particolarità sta nelle grandi migrazioni che compie. Gli sciami delle monarca degli Stati Uniti volano per migliaia di chilometri, per poi svernare negli Stati del Sud. Quelle canadesi, invece, arrivano fino in Messico, dove possono raggrupparsi oltre 14 milioni di individui. Non è l’unico caso: questi insetti infatti non sono in grado di volare con il freddo e perciò vanno a svernare in alcuni luoghi specifici. Per esempio nella Valle delle Farfalle, a Petaloudes (Grecia), dove si possono osservare migliaia di farfalle che riposano sugli alberi, attirate dalla resina del Liquidambar orientalis, pianta dal profumo di vaniglia.

Belle e utili – Sempre in cerca di fiori, le farfalle si nutrono del loro nettare e, proprio come le api, svolgono un importante ruolo di impollinazione. Sono anche uno snodo fondamentale nella catena alimentare: da una parte le larve di alcune specie mangiano insetti nocivi e sono predatrici di formiche, dall’altra sono parte della dieta di numerosi uccelli.

Per difendersi non hanno molte armi e sono svantaggiate da una vista non particolarmente sviluppata. Ma alcune specie sono in grado di mimetizzarsi: grazie ai colori e ai disegni delle ali sono quasi irriconoscibili vicino alla vegetazione circostante. Altre farfalle sviluppano, invece, difese chimiche: riescono a sottrarre tossine velenose alle piante e manifestano questa minaccia tramite colori sgargianti che avvertono gli altri animali.

In conclusione, questi magnifici insetti sono sempre sinonimo di bellezza e leggiadria, tanto che le atlete della squadra olimpionica italiana di ginnastica ritmica sono chiamate “Le farfalle”.

MOSCHE

Quante volte, specialmente quando pranziamo all’aperto, un piccolo essere nero e fastidioso decide di posarsi sul pezzo di carne che abbiamo nel piatto. Tutto ciò che è materia organica attira le mosche. Vi depositano circa mille uova prodotte nei loro 8/10 giorni di vita, come per primo ha dimostrato Francesco Redi con un celebre esperimento nel XVII secolo sull’origine delle larve nella carne in putrefazione. Questo volo continuo tra i cibi nei nostri piatti e qualunque sostanza in decomposizione è causa di malattie soprattutto nei Paesi con bassi livelli di igiene. Eppure le mosche si tengono pulite. Facile notare che passano molto del loro tempo a strofinarsi le zampe. I peli che coprono gli arti sono infatti il loro organo sensitivo maggiore. Attraverso di essi questi insetti individuano le numerose sostanze con cui vengono a contatto e per riconoscerle hanno bisogno che le loro zampe siano perfettamente pulite.

Prova a prendermi – Ma i loro superpoteri non finiscono qui: hanno una velocità di movimento e una tecnica di volo tra le più straordinarie. Florian Muijres alla Washington University di Seattle (Usa) ha scoperto che questo dipende dalla loro capacità di ruotare sul loro asse esattamente come fanno i jet, anche se con risultati indubbiamente migliori in termini di capacità di manovra e più velocemente. Il movimento infatti si integra con l’azione delle ali, gestite da due “muscoli” diversi, uno che le tiene in movimento (generando circa 200 battiti al secondo) e uno più piccolo che serve a modificare la dinamica motoria e a variare l’assetto di volo, permettendo di cambiare direzione in un centesimo di secondo, 50 volte più velocemente di quanto serva a completare un battito di ciglia. Non c’è da stupirsi se poi non siamo capaci di prendere le mosche.

E vogliamo parlare della vista? Uno studio del Trinity College di Dublino ha misurato la capacità dell’occhio della mosca d’inviare segnali al cervello scoprendo che è quasi sette volte superiore a quella dell’occhio umano.

Più antiche di noi – Nonostante le malattie che possono trasmettere, le mosche sono importanti per l’uomo e per la natura: sono impollinatrici seconde solo alle api. Per antonomasia si associa il nome di mosca alla mosca domestica (Musca domestica). Anche se la famiglia a cui appartiene ha origini molto più antiche, si ipotizza che questa specie si sia evoluta circa 65 milioni di anni fa.

Le mosche sono citate nei miti dell’antica Grecia e in quelli degli antichi popoli siberiani o dei nativi americani. In araldica (lo studio degli stemmi) l’insistenza tipica della mosca nel molestare gli altri esseri compare come elemento decorativo dei blasoni, mentre in astronomia la Mosca è una delle dodici costellazioni introdotte da Petrus Plancius nel XVI secolo. In letteratura molte opere hanno menzionato questo insetto. Luciano di Samosata, autore greco del II secolo d.C., scrisse un’operetta retorica intitolata Elogio della mosca mentre ai giorni nostri sono numerose le intrusioni nelle pagine di letterati da Luigi Pirandello a William Golding. Nella celebre fiaba dei fratelli Grimm Sette in un colpo, il sarto protagonista si vanta di aver ucciso sette mosche in un colpo solo facendo credere a tutti i personaggi che incontra che si tratti di uomini. Questo equivoco permette al protagonista di compiere le imprese più temerarie che si possano immaginare.

La mosca appare anche nell’arte e in molti quadri. Giorgio Vasari racconta un aneddoto su Giotto che, ancora apprendista di Cimabue, dipinse su un’opera una mosca in modo così convincente da far sì che il maestro cercasse di scacciarla.

Nel linguaggio comune il termine mosca assume significati legati alle sue piccole dimensioni (“uccellimosca” sono chiamati i colibrì, piccolissimi volatili) o alla loro leggerezza (nella boxe la categoria dei pesi mosca è quella col limite di peso più basso, almeno nella European Boxing Union). Ma per quanto comuni e per quanto abili questi insetti ci infastidiscono. Non a caso quando perdiamo la pazienza diciamo che ci salta la mosca al naso.

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