
SOSIA: CI SONO 7 COPIE IDENTICHE PER CIASCUNO DI NOI
Il mondo dello spettacolo lo conferma: quante persone si sono guadagnate da vivere perché somigliavano a certi attori? Per la scienza invece la probabilità che ci siano due persone identiche è scarsa. Ma che cosa rende somiglianti due soggetti?
Si racconta che Paul McCartney, storico componente dei Beatles, sia morto da tempo e sia stato sostituito da una persona …identica a lui. Nulla di strano: in fondo, si dice anche che per ciascuno di noi ci siano sette copie identiche. Quello dei sosia e del doppio è un tema ricorrente nella cultura popolare, nell’immaginario collettivo, nella storia e nei miti. In molti contesti il sosia è descritto come un doppio, talvolta maligno, ma sempre inquietante: per definirlo si utilizza anche il termine tedesco Doppelgänger che ne descrive proprio questo lato oscuro. In alcune culture primitive, infatti, vedere il proprio sosia è un presagio di morte.
Secondo Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, incontrare una persona identica a noi ci porta a una regressione alla primissima infanzia, quando nella psiche non era ancora tracciata una netta separazione tra l’Io e il mondo esterno. Per questo, ancora da adulti, vedere un nostro sosia ha un effetto straniante, che tuttavia non ci impedisce di cercarlo. Tutt’altro: qualche anno fa aveva fatto parlare di sé il progetto digitale Twin Strangers, che, grazie alla potenza dei social network e alla ormai grande disponibilità di immagini di volti online, prometteva di trovare il proprio doppio nascosto chissà dove nel mondo.
È quasi impossibile
Secondo la statistica, però, trovare una persona identica a noi è molto difficile. Nel 2015 Teghan Lucas dell’Università di Adelaide (Australia), ricercatrice nell’ambito delle scienze forensi, si era interrogata sul rischio che un innocente venga scambiato per un criminale a causa di una forte somiglianza fisica. Impiegando specifici software aveva analizzato più di 4mila immagini di volti umani, misurandone varie distanze tra gli elementi principali del viso, quali occhi e orecchie.
Dallo studio emerse che le possibilità che due soggetti condividano anche soltanto 8 misurazioni identiche sono bassissime: basti pensare che nel 2015 con 7,4 miliardi di persone sulla Terra c’era 1 probabilità su 135 che al mondo esistesse un solo paio di sosia.
Considerando che la somiglianza totale non dipende solo dalle 8 misurazioni, le chance che due soggetti non gemelli siano identici sono ancora più esigue. Questo è rassicurante per chi usa sistemi di riconoscimento facciale per sbloccare i propri dispostivi elettronici: è infatti pressoché impossibile che un’altra persona riesca ad accedere al nostro smartphone.
Giudichiamo le somiglianze
Nella realtà, però, non ci sembra così difficile imbatterci in volti che appaiono simili tra loro. Il mondo dello spettacolo è pieno di persone che si guadagnano da vivere come sosia di personaggi celebri: Vito D’Eri, imbianchino lucano, grazie alla somiglianza fu persino scelto da Lucio Dalla per sostituirlo in alcuni eventi pubblici.
«Un conto è definire sosia persone che appaiono simili ad altre persone, altro è riferirsi alla somiglianza percepita da un software», ha spiegato lo statistico David Aldous dell’Università della California a Berkeley (USA) in un’intervista. Lo studio di Lucas si basa infatti su misurazioni millimetriche, mentre nella realtà il nostro occhio non percepisce differenze così minime. «Nel processo di riconoscimento non contano solo la struttura del volto, gli aspetti geometrici e le distanze tra le parti, ma anche altre caratteristiche come la superficie del viso», spiega Sofia Landi, ricercatrice presso il Laboratory of Neural Systems alla Rockefeller University (USA). Interpretiamo quindi le somiglianze in modo più generale rispetto a quanto fa un software di riconoscimento facciale: il cervello percepisce le caratteristiche di un volto come una somma delle parti e non per singole e precise misurazioni isolate.
È questo che ci permette di continuare a riconoscere il viso di un amico che non vediamo da tempo anche se nel frattempo si è fatto crescere la barba oppure è invecchiato.
Vediamo troppi volti…
È quindi presto spiegato perché vediamo più sosia di quelli che realmente esistono. «Probabilmente tendiamo a sovrastimare le somiglianze tra i volti», prosegue Landi, «anche perché l’uomo si è evoluto nel contesto di piccolo gruppi, e non interagendo con le centinaia di visi che oggi possiamo vedere online. Il nostro cervello potrebbe pertanto non essere pronto a confrontare tra loro l’enorme numero facce a cui siamo tutti esposti».
C’è poi un altro aspetto: quando diciamo che una persona è sosia di un’altra siamo spesso ingannati da fattori sociali e culturali come simile, l’appartenenza agli stessi gruppi sociali e persino la stessa professione: «Alcuni studi condotti da Galit Yovel della Tel Aviv University, in Israele, mostrano la maggiore tendenza a ricordare i volti delle persone di cui conosciamo l’occupazione», aggiunge Landi. E tanto più memorizziamo i loro volti quanto è più facile individuarne eventuali somiglianze.
Infine ci sono fattori psicologici. Ad esempio una ricerca pubblicata quest’anno su Cognition ha rilevato che più percepiamo due persone simili come carattere e più ci appaiono simili fisicamente, anche se non lo sono.
Caratteri e volti simili
Per arrivare a questa conclusione DongWon Oh e Jonathan B. Freeman dell’Università di New York (USA) e Mirella Walker dell’Università di Basilea (Svizzera), autori dello studio, hanno coinvolto volontari e chiesto loro di giudicare la somiglianza fisica e caratteriale tra alcuni personaggi famosi: a personalità percepite come simili corrispondevano giudizi di maggiore somiglianza fisica. Lo stesso test è stato poi condotto con foto di sconosciuti: quando ai partecipanti veniva detto che due soggetti avevano personalità simile, questi li indicavano come più simili anche fisicamente. «Il nostro studio», ha spiegato Jonathan B. Freeman, «dimostra che il riconoscimento
delle somiglianze è influenzato da quanto già sappiamo su chi stiamo osservando».
Una necessità evoluzionistica
Alla base della percezione delle somiglianze c’è, ovviamente, la capacità del nostro cervello di riconoscere i volti degli altri: «Siamo animali sociali e ci siamo evoluti per riconoscere le facce delle persone che conosciamo», aggiunge Landi. È infatti vitale per l’uomo saper distinguere tra loro i suoi simili: uno studio pubblicato quest’anno da Science, e di cui Landi è coautrice, ha identificato una classe di neuroni connessi tanto alla percezione immediata di un viso quanto alla memoria a lungo termine. Questo spiega la nostra spiccata capacità di distinguere i volti noti da quelli sconosciuti, ma forse anche la tendenza a vedere sosia anche laddove la somiglianza non esiste davvero: è infatti talmente spiccata la capacità di individuare i visi conosciuti che talvolta il nostro cervello è spinto a percepire familiarità anche in facce di estranei.
Impariamo da neonati
Data l’importanza evolutiva del riconoscimento facciale, non stupisce che questa abilità sia molto precoce: «Già a 4 giorni di vita i neonati discriminano la faccia della propria madre da quella di una persona sconosciuta», spiega Ilaria Minio-Paluello dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del CNR e membro del Laboratorio di neuroscienze cognitive e sociali dell’Istituto Santa Lucia di Roma, «mentre da adulti riusciamo a riconoscere l’identità di migliaia di persone in poche centinaia di millisecondi e quasi automaticamente». Ciò spiega anche perché i volti umani sono estremamente diversi tra loro, molto più di quanto lo siano altre parti del corpo: «Gli esseri umani si riconoscono principalmente dal viso, che sembra essersi evoluto proprio per segnalare l’identità individuale».
Così il cervello riconosce i volti
«Studi basati su neuroimaging funzionale, stimolazione magnetica transcranica e stimolazione elettrica diretta hanno portato all’individuazione di 3 principali aree cerebrali implicate nel riconoscimento dell’identità facciale », spiega Ilaria Minio-Paluello dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del CNR e membro del Laboratorio di neuroscienze cognitive e sociali dell’Istituto Santa Lucia di Roma: «l’area occipitale della faccia nel giro occipitale inferiore, l’area fusiforme della faccia nel giro fusiforme laterale mediale e il giro fusiforme anteriore nel lobo temporale anteriore».
Perché alcune coppie si assomigliano?
Per cause genetiche: «La capacità di riconoscere l’identità dai volti è ereditabile, non dipende dall’intelligenza», spiega la neuroscienziata Ilaria Minio-Paluello. Ai due estremi ci sono i super recognizer, persone con un’eccezionale capacità di riconoscere i volti, e dall’altro chi è affetto da prosopagnosia evolutiva. «Questa condizione causa difficoltà nel riconoscere i volti, persino delle persone familiari, in assenza però di un danno cerebrale». Si può diventare prosopagnosici nel corso della vita come conseguenza di un ictus o di un trauma cranico che interessa una specifica area di corteccia cerebrale, in particolare dell’emisfero destro.
Impariamo da neonati
Data l’importanza evolutiva del riconoscimento facciale, non stupisce che questa abilità sia molto precoce: «Già a 4 giorni di vita i neonati discriminano la faccia della propria madre da quella di una persona sconosciuta», spiega Ilaria Minio-Paluello dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del CNR e membro del Laboratorio di neuroscienze cognitive e sociali dell’Istituto Santa Lucia di Roma, «mentre da adulti riusciamo a riconoscere l’identità di migliaia di persone in poche centinaia di millisecondi e quasi automaticamente».
Ciò spiega anche perché i volti umani sono estremamente diversi tra loro, molto più di quanto lo siano altre parti del corpo: «Gli esseri umani si riconoscono principalmente dal viso, che sembra essersi evoluto proprio per segnalare l’identità individuale».