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TUTTI EROI! O IL PIAVE O TUTTI ACCOPPATI

Così recita uno dei più famosi motti patriottici della Prima Guerra mondiale: dopo tre anni di durissima guerra, sfiancati dagli sforzi e decimati dalle perdite, gli italiani sfidano austriaci e tedeschi e, a un anno esatto dalla catastrofe di Caporetto, vincono sul Piave, costringendo i nemici a ritirarsi

Il 24 ottobre 1917, 350mila tra austriaci e tedeschi attaccarono di sorpresa 250mila italiani schierati lungo la valle dell’alto Isonzo e approfittando di circostanze favorevoli operarono un rovinoso sfondamento. La II armata cedette creando un largo varco nel fronte attraverso il quale gli austrotedeschi raggiunsero la pianura friulana circondando sia la III armata italiana (schierata verso il mare) sia la IV armata (che invece teneva il Cadore). Per non cadere in mano al nemico, le due formazioni si precipitarono a ovest, accalcandosi sui ponti del Tagliamento o lungo la valle del Piave. Sacrificandosi, i pochi reparti indenni tentarono di rallentare l’avanzata nemica per consentire al grosso delle truppe di ripiegare. In altri casi invece, come a Codroipo, furono i tedeschi ad arrivare ai ponti sul fiume Tagliamento prima degli italiani, che rimasero imbottigliati sulla riva sinistra del fiume. Il 4 novembre fu chiaro che neppure il Tagliamento poteva essere difeso: il generale Luigi Cadorna, comandante supremo dell’esercito italiano, diede l’ordine della ritirata sul Piave, una delle sue poche giuste decisioni prima di essere destituito a favore del generale Armando Diaz l’8 novembre. Sul Piave le difese erano già state preparate: col suo largo alveo sassoso che gli attaccanti avrebbero dovuto attraversare allo scoperto, era una linea difensiva perfetta.

La battaglia d’arresto

La linea difensiva si attestò quindi sul fiume e sul monte Grappa. Fu qui che si combatterono gli scontri più duri della cosiddetta “battaglia di arresto”, quella che bloccò l’avanzata nemica. Scendendo lungo la vallata del Piave, infatti, gli austrotedeschi contavano di ripetere qui lo sfondamento di Caporetto e, sfruttando una schiacciante superiorità numerica, volevano passare lungo il Brenta o lungo il Piave per prendere alle spalle la III armata. Il generale austriaco Franz Conrad paragonò la situazione italiana sul Grappa a «quella di un naufrago aggrappato ad una tavola di salvataggio, per cui sarebbe bastato mozzargli le dita per vederlo annegare». Invece il 10 novembre, quando l’offensiva iniziò, i comandi austrotedeschi si accorsero che era cambiato qualcosa nella testa dei soldati italiani. Le stesse truppe che nei giorni precedenti erano state spazzate via con facilità ora opponevano una strenua resistenza. Così, nonostante gettassero nella mischia tutto quello che avevano (60 battaglioni su un fronte di 25 chilometri nella conca di Feltre), gli austrotedeschi riuscirono ad avanzare solo pochi chilometri tra le cime e le vallate del massiccio. Ogni posizione veniva difesa con energia, per quanto senza gli accanimenti suicidi che avevano caratterizzato le battaglie sul Carso: il Comando Supremo delegava le decisioni tattiche ai comandi locali, che spesso ritiravano le truppe per impedirne il massacro sotto i bombardamenti, ma poi le mandavano al contrattacco per recuperare le posizioni perdute. Inoltre le forze italiane potevano contare su continui, anche se modesti, rifornimenti grazie alla Strada Cadorna. Il 26 novembre i comandi nemici dovettero ammettere la sconfitta e accettare che l’offensiva fosse finita.

La battaglia del Solstizio

Nei sei mesi successivi entrambi gli eserciti si prepararono. Sul Grappa i nostri costruirono potenti opere difensive come la galleria Vittorio Emanuele III; sul fronte opposto gli austriaci (i tedeschi si erano ritirati) accumularono 946mila uomini e quasi 7mila cannoni per scardinare le difese italiane (870mila uomini). Il piano prevedeva una manovra a tenaglia: le forze del feldmaresciallo Conrad avrebbero attaccato da nord tra l’altopiano di Asiago e il monte Grappa, mentre quelle del feldmaresciallo Borojevic avrebbero attraversato il Piave. Ma rivalità e incomprensioni tra comandanti fecero sì che lo sforzo non si concentrasse sui punti più deboli dello schieramento italiano. Diaz non si lasciò sorprendere come Cadorna a Caporetto: quando l’artiglieria austriaca iniziò il bombardamento nella notte del 15 giugno i cannoni italiani risposero subito rallentando l’avanzata nemica. L’attacco venne presto bloccato sul Grappa, mentre sul Piave le truppe di Vienna riuscirono a passare il fiume creando alcune teste di ponte, tra cui quelle di Falzè, della Grave di Papadopoli e di Fagaré. A questo punto tutto dipendeva dalle passerelle gettate sul fiume, sulle quali dovevano passare rifornimenti e rinforzi. L’aviazione italiana iniziò a bombardare sistematicamente questi passaggi, che per di più vennero travolti da una piena del Piave. Dopo una settimana di combattimenti il comando asburgico si rassegnò alla sconfitta e ordinò la ritirata. Questa battaglia, che Gabriele D’Annunzio battezzò “la battaglia del Solstizio”, non fu seguita da una controffensiva italiana perché Diaz sperava di ricevere rinforzi americani (che non arrivarono mai).

La battaglia finale

Già a settembre gli austriaci inviarono una richiesta di armistizio al presidente Usa Wilson. Il governo italiano, intuendo che la fine del conflitto era vicina, fece pressioni sul comando militare perché fosse organizzata un’offensiva, per evitare che la pace arrivasse mentre le truppe austriache occupavano ancora il Veneto. Controvoglia, il generale Diaz ordinò di preparare i piani per un’avanzata generale alla fine di ottobre: si prevedeva un’azione diversiva della IV armata sul monte Grappa e una spallata dell’VIII armata sul Piave. I combattimenti iniziarono il 24 ottobre (anniversario di Caporetto). Sul Grappa i reparti austriaci resistettero per molti giorni, mentre il Piave in piena rese difficile mantenere aperti i ponti e le passerelle. In effetti solo il 29 ottobre l’VIII armata riuscì a passare il fiume, sfruttando una testa di ponte alla Greve di Papadopoli e a sfondare a Vittorio Veneto. A questo punto però l’imperatore asburgico decise di chiedere l’armistizio e la notizia minò la volontà di combattere dei soldati. Alcuni reparti, per esempio quelli ungheresi e croati, si rifiutarono di entrare in azione. Diaz allora ordinò l’avanzata generale. Dal 1° novembre la resistenza austriaca cessò e la battaglia si trasformò in un inseguimento per catturare il maggior numero di soldati austriaci e occupare quanto più territorio possibile prima dell’armistizio. Dopo convulse trattative a villa Giusti a Padova, alle ore 15 del 3 novembre la delegazione austriaca accettò le condizioni italiane, tra cui far cessare le ostilità esattamente 24 ore dopo.


I QUATTRO GENERALI: A CHI TOCCARONO

Luigi Cadorna
Nato a Pallanza (Verbania) nel 1850, era figlio del generale Raffaele, col quale partecipò alla presa di Roma nel 1870. La sua carriera nell’esercito fu lenta, ma regolare. Nel 1914 divenne Capo di Stato maggiore. Condusse le operazioni militari fino a Caporetto, insistendo per una condotta offensiva delle battaglie. Morì nel 1928.

Armando Diaz
Nato a Napoli nel 1861, iniziò giovanissimo la carriera militare. Sostituì Cadorna dopo Caporetto e riorganizzò l’esercito, curandone soprattutto le condizioni materiali e psicologiche e portandolo alla vittoria finale. Partecipò al primo governo Mussolini per precisa volontà del re Vittorio Emanuele III, che si fidava di lui. Morì nel 1928.

Franz Conrad von Hötzendorf
Nato a Vienna nel 1852, iniziò giovane la carriera militare, scalando tutta la gerarchia militare. Durante la guerra mondiale commise numerosi errori, che portarono a un immenso numero di caduti nell’esercito austriaco. Venne destituito dall’incarico di capo di Stato Maggiore nel 1917 e definitivamente allontanato dopo la battaglia del Solstizio. Morì nel 1925.

Svetozar Borojevic von Bojna
Nato nel 1856 a Kistajnica da una famiglia serba ortodossa, diventò generale nel 1906. Combatté sul fronte russo, poi fu trasferito su quello italiano dove bloccò tutte le offensive di Cadorna. Comandò il fronte sud nella battaglia del Solstizio. Fu accusato della sconfitta dell’Austria e morì, solo, nel 1920.

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