Nextpapers online
Il meglio del web

UN COMPUTER TRAPIANTATO NEL CERVELLO

Imparare senza fatica una lingua straniera o a suonare il pianoforte. Come? Collegando un computer al cervello, proprio come accadeva al protagonista di Matrix. Ecco i risultati dei primi esperimenti scientifici

Fra non molti anni la fatica di imparare potrebbe essere solo un ricordo del passato. Saper suonare il pianoforte come un virtuoso, colpire con precisione una pallina da golf, conoscere alla perfezione una lingua straniera potrebbe diventare un gioco da ragazzi. Proprio come succedeva a Neo, l’eroe del film di fantascienza Matrix, capace di acquisire all’istante stupefacenti abilità tramite un computer collegato direttamente ai centri neurali. Facendo ricorso a una tecnica chiamata neurofeedback decodificato, in grado di stimolare la corteccia visiva inculcando un enorme “usso di nozioni al cervello, le persone potrebbero imparare senza neppure accorgersene. Lo sostiene il neuroscienziato Takeo Watanabe della Brown University (Usa) che, insieme a un team di ricercatori giapponesi degli Atr computational neuroscience laboratories di Kyoto, qualche tempo fa ha condotto i primi incoraggianti esperimenti.

Una “lezione” da guardare

Watanabe ritiene che la corteccia visiva primaria del nostro cervello possa venir indotta a elaborare inconsapevolmente schemi d’attività cerebrale capaci di migliorare determinate prestazioni. È, inoltre, convinto che con questo sistema anche il cervello degli adulti, e non solo quello dei giovani, sia abbastanza plastico da riuscire ad apprendere nuove nozioni. Per dimostrarlo lo studioso ha sottoposto alcuni volontari all’esame di una macchina per la cosiddetta “risonanza magnetica funzionale per immagini”, o fMRI (vedi box), capace di fornire mappe dell’attività cerebrale per tutta la durata dei test. I soggetti erano invitati a guardare dei monitor sui quali erano proiettati cerchi striati messi in varie orientazioni: la loro visione generava specifici schemi cerebrali che la macchina registrava. Veniva poi fatto apparire sullo schermo un piccolo cerchio verde e si chiedeva ai soggetti di provare a ingrandirlo: non era fornita alcuna spiegazione su come fare, ma veniva promesso un premio a chi fosse riuscito a ottenere il disco più grande. Tale risultato poteva essere ottenuto solo quando la macchina per l’fRMI scopriva che nella corteccia visiva riapparivano gli schemi mentali nati dall’osservazione dei cerchi striati. L’apparecchiatura era stata anche programmata in modo che i dischi verdi sui monitor diventassero sempre più grandi via via che la “rievocazione” si faceva più precisa. Era la dimostrazione che attraverso la corteccia visiva primaria si possano indurre schemi di attività cerebrale capaci di farci apprendere qualcosa senza esserne consapevoli.

Prestazioni da campione

I risultati di questo esperimento sembrano promettenti per avvicinarci alle prestazioni di Neo. Se, infatti, a quei primi modelli di attivazione totalmente privi di significato come i dischi striati si sostituisse qualunque tipo di informazione concreta, una persona potrebbe scoprire di averla acquisita ogni volta che la rievocasse. Ciò significa che in via teorica è possibile apportare al cervello delle modifiche, equiparandone alcune caratteristiche a quelle, per esempio, di un atleta. Ecco come si potrebbe fare. Immaginiamo di voler imparare qualcosa che richieda un grande impegno da parte della corteccia visiva, per esempio una mossa di kung fu. Cerchiamo allora un campione di kung fu, infiliamolo in una macchina per l’fMRI e registriamo cosa succede nel suo cervello quando visualizza la mossa di questa antica arte marziale. Adesso abbiamo uno schema di riferimento che invece dei dischi striati riguarda la pratica del kung fu che vogliamo imparare. Il passo successivo consiste nell’entrare a nostra volta nella macchina dopo averla programmata per indurre nel nostro cervello le immagini di kung fu registrate prima. Per “farle nostre” basterà rievocarne gli schemi come avveniva con i cerchi verdi, ed ecco che saremo anche noi a conoscenza dei segreti del campione. Più realisticamente, Watanabe ritiene che il metodo sia adatto per curare la depressione, usando come stimoli primari la registrazione di mappe connesse a stimoli visuali positivi: le foto di cuccioli, bambini o altri soggetti capaci di favorire il buon umore.


Con le onde radio studio il tuo cervello

A differenza della normale risonanza magnetica, che fornisce immagini delle strutture cerebrali nel loro complesso, la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) permette di mappare le aree cerebrali che si attivano durante l’esecuzione di un determinato compito. Si tratta di una tecnica che utilizza le proprietà magnetiche dei nuclei degli atomi costituenti il nostro corpo. I segnali di risonanza delle molecole sono misurati con l’aiuto di campi magnetici e onde radio. Quando si compie un’azione, come muovere un piede o leggere una frase, vengono “reclutate” alcune aree cerebrali specifiche: le stesse in cui viene bruciato più ossigeno e varia il rapporto fra le sostanze presenti nelle aree attivate. La fMRI rileva queste variazioni e le traduce in immagini. I ricercatori ritengono che tale tecnica possa essere usata come macchina della verità, con risultati più precisi del poligrafo.


Ti ho letto nel pensiero! Non è uno scherzo

I ricercatori dell’Università di Berkeley, in California, hanno ideato una tecnica di lettura computerizzata della mente che potrebbe consentire di scoprire a cosa si sta pensando. Sono statti fati esperimenti per individuare le immagini registrate nella mente di chi le guarda. In una prima fase una macchina per l’fMRI ha registrato l’attività cerebrale di un gruppo di volontari, mentre questi osservavano centinaia di foto a colori e in bianco e nero: panorami, ritratti, animali… In un secondo tempo si è passati al test, che è consistito nell’esaminare l’attività cerebrale senza sapere quali foto le persone stessero guardando. Confrontando le due serie di mappe cerebrali, un computer doveva indicare quale fosse quella osservata. Su un totale di 120 immagini, la predizione si è rivelata corretta nove volte su dieci. Secondo ricercatori l’impiego di scanner cerebrali più sofisticati consentirà un giorno di “vedere” anche i sogni e “leggere” la mente di coloro che non possono comunicare vocalmente, come i pazienti in coma o colpiti da ictus.

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.